20140813 Medea balletto Renato Zanella Teatro Romano Verona 1217 Teatro romano

Medea danza al Teatro Romano in prima nazionale


13 e 15 agosto 2014 – ore 21.00
Teatro Romano di Verona

Medea

Balletto su musica di Mikis Theodorakis

Direttore corpo di ballo Renato Zanella
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia

INTERPRETI
Medea Teresa Strisciulli
Glauce Scilla Cattafesta
Giasone Antonio Russo
Egeo Evghenij Kurtsev
Creonte Pietro Occhio

Mercoledì 13 e venerdì 15 agosto  Fondazione Arena presenta il debutto italiano del balletto Medea, nell’ambito della rassegna Estate Teatrale Veronese 2014.

Galleria fotografica Medea


Renato Zanella porta in scena per la prima volta in Italia il dramma di Medea, tema ripreso dall’omonima tragedia di Euripide, una vicenda che ancora oggi sa di sconvolgente attualità: moglie e madre vittima del tradimento del marito Giasone, Medea diventa crudele carnefice dei suoi stessi figli per vendicarsi della violenza subita. «È la storia di una donna come di tante donne – afferma Zanella – è un dramma familiare che ancora oggi si ritrova nelle cronache nere che possiamo leggere sul giornale o vedere in televisione».

Primi ballerini, Solisti e Corpo di ballo della Fondazione Arena di Verona

Video gallery

A differenza degli altri spettacoli dell’Estate Teatrale Veronese, che offrono la gratuità per persona disabile e accompagnatore, per questo balletto  si pagano 2 biglietti ridotti (2×15 euro).

Medea, figlia di Eeta, re della Colchide, è uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze”, infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri divini.

Quando Giasone arriva in Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago a conto di Eete, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Iolco con il Vello d’Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l’inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l’amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un “pharmakòn”, dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.

Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest’ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea.

Vista l’indifferenza di Giasone di fronte alla sua disperazione, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è pieno di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch’egli il mantello, e muore.

Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo la tragedia di Euripide, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli (Mermero e Fere) avuti da lui (Secondo Diodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano tre: i due gemelli Tessalo e Alcimene e Tisandro[1])

Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all’ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.

Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete.

TEATRO ROMANO. Il balletto con le musiche di Mikis Theodorakis. Domani alle 21 la replica

In «Medea» l’animo umano scandagliato nei meandri

Gianni Villani

Zanella va alla ricerca delle verità dei personaggi. Smagliante Strisciulli

Dopo il celebrato Zorba il Greco del 1988 in Arena, Medea di Mikis Theodorakis, seconda apparizione del compositore greco in terra veronese, ha visto il suo esordio nazionale fra le pietre di un altro sito grondante storia: il Teatro Romano. Grande pagina, questa Medea, che sembra apparire al compositore come l’ultimo capitolo possibile per guardare all’antichità classica e una chiamata a porsi di fronte al grande retaggio della tragedia greca, nonché a reinventarne la fruizione come teatro attuale, recuperato alla sua matrice culturale e insieme profondamente legato alla storia.
Per essa, Thedorakis sembra definire una specifica dimensione di canto e suono, partendo dalla salmodia sacra più arcaica e poggiandola su un vasto tappeto di sonorità, prodotto da un ingente parco di strumenti e di cori. La svolge con esiti di impassibile eppur alta tragicità, con una perfezione formale quasi assoluta, con una durezza spesso granitica di linguaggio, che pure generano continuamente un’onda maestosa di nobilissima pietas. Ma è soprattutto impressionante il senso di progress tragico che pervade impercettibilmente e implacabilmente tutta la tragedia, vista a ritroso come un racconto già vissuto, sino a che la catastrofe e la catarsi finale finiscono per pararsi innanzi come il repentino, inevitabile cadere di un sipario.
Renato Zanella, pur riducendo il testo a una accettabile esecuzione temporale (90 minuti), si avvicina agli archetipi del repertorio ballettistico o letterario con una curiosità umana che sviscera le dinamiche psicologiche e sentimentali. Va alla ricerca delle verità dei personaggi e del loro sviluppo emotivo, ne coglie in pieno la dimensione intima, creando una coreografia che afferma con vigore la sua forte personalità d’artista navigato a ogni tipo di danza.
I suoi «ragazzi» del corpo di ballo areniano, sul palcoscenico, gli danno una consistente mano per svolgere al meglio l’affascinante pagina, non indugiando talvolta su belle immagini plastiche e atmosfere poetiche, che sembrano la loro forza. Tutto in questo balletto – dai singoli passi, al loro accurato intreccio, ai colorati e stilizzati costumi moderni (sono dello stesso Zanella), ma di vago sapore greco-antico – indica la volontà di riferirsi a un’ autentica, innovativa dimensione di contemporaneità, che ha una sua genuina vitalità.
Teresa Strisciulli è una Medea in forma smagliante, concentratissima, dal solido bagaglio tecnico, una bella linea di gambe, piedi felici a esaltare l’impresa e contribuire a migliorare la tenuta drammaturgica dell’insieme. Non sono da meno la Glauce di Scilla Cattafesta (dallo splendido corpo avvolto d’oro) e il Giasone di Antonio Russo: danzano con non poca autorevolezza, come trascendendo l’elemento esibizionistico del virtuosismo. Tutti gli uomini indossano agli inizi una maschera d’oro, compreso l’Egeo di Evghenij Kurstev e il Creonte di Pietro Occhio, che hanno poi doti caratteristiche tecniche e interpretative insospettabili. In palla anche i tre messaggeri Marco Fagioli, Ivan Piccioli e Massimo Schettini, con la corifea Sofia Pintzou (unica danzatrice ospite) che inizia il racconto partendo dalla platea con un enorme vaso sacrificale – e le varie donne di Corinto. La scena non è affatto spogli: un pontile bianco rappresenta il palazzo di Creonte, una barca sull’arenile e una sedia bianca raffigurano la casa. Le luci (sempre di Renato Zanella), blu e grigio-biancastre sono lì a disegnare un clima marino in palcoscenico. L’impercettibile è a volte d’uopo. Ma si tratta di pochi momenti e subito ti invade un’ondata di movimento, di cui Zanella possiede il segreto, il piacere di una danza solare che ritorna molto presto. Buona la presenza del pubblico e caloroso il suo sostegno nell’applauso.


 

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