20160705 Giulio Cesare Shakespeare Rigola Teatro Romano Verona dismappa 664 Video applausi

Giulio Cesare inaugura il Festival Shakespeariano al Teatro Romano


Teatro Romano di Verona
6-7-8-9 luglio 2016, ore 21.15
Incontro con gli attori giovedì 7 luglio alle 17.30 in Biblioteca Civica

Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

GIULIO CESARE

di William Shakespeare
regia di Àlex Rigola
con Michele Riondino (Marco Antonio), Maria Grazia Mandruzzato (Giulio Cesare), Stefano Scandaletti (Bruto), Michele Maccagno (Cassio), Silvia Costa (Porzia), Margherita Mannino (Casca), Eleonora Panizzo (Decio), Pietro Quadrino (Metello), Riccardo Gamba (Lepido), Raquel Gualtero (Cinna), Beatrice Fedi (Ottaviano) e Andrea Fagarazzi (Servitore)

Finale e applausi alla prima

Inaugura il Festival Shakespeariano è il dramma storico Giulio Cesare che non compariva da dieci anni nei programmi dell’Estate Teatrale Veronese. La regia è a firma di uno degli esponenti di punta dell’innovazione teatrale europea, Alex Rigola, attuale direttore della Biennale Teatro di Venezia. Nello spettacolo il ruolo di Marco Antonio è interpretato da Michele Riondino, attore che ha raggiunto grande notorietà in televisione nella parte del giovane Montalbano.

Galleria fotografica della prova generale di Giulio Cesare

«Possiamo chiedere a una persona di giudicare il proprio figlio in maniera equa?
Viene prima la ragione o il sentimento?
Fino a che punto il fine giustifica i mezzi?
La violenza è lecita?
Esiste la democrazia?
Viviamo in una vera democrazia?
Se siamo consapevoli di non vivere in una vera democrazia, perché non facciamo nulla?
Se sono le lobby economiche a tenere le fila di una falsa democrazia, come possiamo difenderci?
Cos’è più violento: l’uomo che per disperazione scaglia una pietra contro una banca, o la polizia che in nome dello Stato sfratta un pensionato perché non può pagare l’affitto e lo lascia vivere in mezzo alla strada?
Lo Stato non dovrebbe tutelare il cittadino a rischio di esclusione sociale piuttosto che salvaguardare a tutti i costi il sistema economico?
Non è questa la vera violenza?
E il cittadino come reagisce?
Siamo disposti a venderci per soli ottanta euro?
È possibile che la gran parte dei cittadini non cada vittima del populismo?
Se tra le poche persone che leggono, la maggior parte preferisce un cattivo romanzo infarcito di emozioni edulcorate a un rigoroso trattato di filosofia, come possiamo pretendere che rispetto alla politica la società non reagisca nello stesso modo?
Esiste una soluzione?
Ci sono persone che sparano in nome di una falsa democrazia?
Non si dovrebbe lottare per avere una democrazia reale con tutti i mezzi a disposizione, compresa la
violenza?
Avremmo ucciso Hitler prima delle elezioni federali tedesche del 1930, quando non era ancora un capo di Stato fanatico e un efferato assassino?
Lo faremmo oggi sapendo come sarebbe andata a finire?
Siamo sicuri che non ci siano delle reincarnazioni di Hitler anche tra chi di fatto detiene le fila del potere contemporaneo?
Dovremmo intervenire con TUTTI i mezzi possibili per evitare l’affermarsi di una figura simile?
E poi cosa succederebbe?
Come potrebbe nascere una nuova democrazia se questa fosse figlia del sangue?
E gli effetti collaterali?
Esiste una soluzione?
Cosa ne e stato dei veri uomini di Stato?
Esiste una soluzione?
Dobbiamo travestirci da lupo?
Bisogna tornare a celebrare i Lupercali come ai tempi dell’antica Roma?
E tutti quei lupi che oggi si travestono da agnelli?
Chi danneggia maggiormente la societa: i lupi o quegli agnelli disposti a
seguire la strada piu semplice?
Possiamo fare qualcosa?
Ma cosa?
Come controlliamo il lupo che è dentro di noi?
Esiste una soluzione?
Benvenuti ancora una volta nella contraddizione umana…
e mentre riflettiamo su questi temi, lasciamo che muoia ancora qualche bambino sulle spiagge di Lesbo.»
Àlex Rigola

 

ÀLEX RIGOLA (1969) – Drammaturgo e regista spagnolo, è l’attuale direttore della Biennale Teatro di Venezia dopo avere diretto, dal 2003 al 2011, il Teatre Lliure di Barcellona. Tra le sue più celebri regie (alcune assurte a successi internazionali e portate più volte in tournée), Kafka: Il processo, Le troiane di Euripide, The water engine di David Mamet, Suzuki I & II di Alexei Xipenko, Woyzeck di Georg Büchner, Ubú di Alfred Jarry, La notte poco prima della foresta di Bernard-Marie Koltès e Lungo viaggio verso la notte di Eugene O’ Neill.

MICHELE RIONDINO (1979) – Nato a Taranto, si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Dopo il diploma, comincia a interpretare dei ruoli in teatro ed esordisce nella serie televisiva Distretto di Polizia dove è presente dal 2003 al 2005 per tre stagioni. Tra le sue interpretazioni cinematografiche Il passato è una terra straniera (2008) di Daniele Vicari e Dieci inverni (2009) di Valerio Mieli. Dal 2012 è il protagonista della nuova fiction Rai Il giovane Montalbano con la regia di Gianluca Maria Tavarelli. Nel 2012 debutta come regista teatrale con La vertigine del drago di Alessandra Mortelliti in scena al Festival dei due Mondi di Spoleto. Nel 2015 interpreta Pietro Mennea nell’omonimo film tv diretto da Ricky Tognazzi.

Tutti gli spettacoli dell’Estate Teatrale Veronese sono gratuiti per spettatore disabile in sedia a rotelle e accompagnatore

William Shakespeare

GIULIO CESARE

PERSONAGGI

GIULIO CESARE

OTTAVIO CESARE

MARCO ANTONIOM. EMILIO LEPIDO: triumviri dopo la morte di Cesare

CICERONEPUBLIOPOPILIO LENA: Senatori

MARCO BRUTOCASSIOCASCATREBONIOLIGARIODECIO BRUTOMETELLO CIMBROCINNA: cospiratori contro Giulio Cesare

FLAVIO e MARULLOtribuni

ARTEMIDOROsofista di Cnido

Un Indovino

CINNApoeta

Un altro poeta

LUCILLO; MESSALA; TITINIO; CATONEil giovane; VOLUNNIO: amici di Bruto e Cassio

VARRONE CLITO CLAUDIO STRATONE LUCIO DARDANO: servi di Bruto

PINDARO servo di Cassio

CALPURNIA moglie di Cesare

PORZIA moglie di Bruto

Senator iCittadini Guardi e alcuni Servi ecceter eccetera

Scena: Durante una considerevole parte del dramma a Roma; quindi presso Sardi e presso Filippi

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA – Roma. Una strada

 

(Entrano FLAVIOMARULLO ed alcuni Popolani)

 

FLAVIO: Via! A casa fannulloni andate a casa; che è festa oggi?

Come! Non sapete che essendo artigiani non dovreste passeggiare in giorni feriali senza il contrassegno del vostro mestiere? Di’che mestiere fai tu?

PRIMO POPOLANO: Faccio il falegname signore.

MARULLO: Dove hai il grembiale di cuoio ed il regolo? Che fai con i tuoi abiti da festa? E tuche mestiere fai?

SECONDO POPOLANO: In veritàsignoreparagonato ad un operaio finenon sono altro che come chi dicesse un ciabattino.

MARULLO: Ma che mestiere fai? Rispondimi a tono.

SECONDO POPOLANO: Un mestiere signore che spero di poter esercitare con coscienza tranquilla; e sarebbe invero signore quello di acconciare le rotture di tomaie.

MARULLO: Che mestiere furfante? Ignobile furfante che mestiere?

SECONDO POPOLANO: Novi pregosignorenon logoratevi la salute; ma se ve la logoratesignorevi posso riparare.

MARULLO: Che intendi dire con questo? Ripararmiimpertinente!

SECONDO POPOLANO: Ehsignorerattacconarvi!

FLAVIO: Sei ciabattino dunque?

SECONDO POPOLANO: In veritàsignorenon vivo che col trincetto; ma non trincio i panni addosso a mercanti né a mercantesse: e per quanto io non trinci pannison cerusico di vecchie pelli; quando esse sono in gran pericolo io le rimetto in gamba. I più begli uomini che mai abbiano calpestato cuoio di vitello sono passati sulla mia mano d’opera.

FLAVIO: Ma perché non sei nella tua bottega oggi? Perché porti in giro questi uomini per le strade?

SECONDO POPOLANO: Veramentesignoreper fare consumare loro le scarpe e procurarmi dell’altro lavoro. Masul seriosignorefacciamo festa per vedere Cesare e godere del suo trionfo.

MARULLO: E perché godere? Quale conquista riporta egli in patria?

Quali tributari lo seguono fino a Romaper onorare con catene di prigionia le ruote del suo carro? Ciocchi di legno che sietemacignicose meno che insensibili! O duri cuoricrudeli uomini di Romanon conosceste Pompeo? Quante volte siete saliti sulle mura e sugli spaltisulle torri e alle finestresì fin sui comignolicon i vostri bimbi fra le bracciae lì siete rimasti seduti l’eterna giornatain paziente aspettativaper vedere il gran Pompeo passale per la strade di Roma: e quando vedevate appena spuntare il suo carronon avete voi innalzato un grido universale così che il Tevere tremava sotto le sue rive a udire il rimbombare dei vostri clamoritra le sue concave sponde? Ed ora indossate gli abiti da festa? Ed ora vi pigliate un giorno di vacanza? Ed ora spargete fiori pel cammino di colui che viene a trionfare sul sangue di Pompeo? Andatevene! Correte alle vostre casecadete in ginocchiopregate gli dèi di ritardare la peste che necessariamente dovrà ricadere su questa ingratitudine.

FLAVIO: Andateandatebuoni compatriotieper questa colpariunite tutti i poveri della vostra sorta; conduceteli sulle sponde del Tevere e piangete le vostre lagrime nel suo alveo finché la più bassa corrente lambisca le sponde più elevate. (Escono tutti i Popolani) Guardate se la loro rozza anima non è commossa! Spariscono ammutoliti nella loro colpevolezza. Andate voi di là verso il Campidoglio; io andrò di qua: spogliate le immaginise le trovate decorate di insegne onorifiche.

MARULLO: Possiamo farlo? Sapete che è la festa dei Lupercali.

FLAVIO: Non importa: nessuna immagine sia adorna di trofei di Cesare.

Io andrò attorno e scaccerò il volgo dalle strade: così fate voi quando li vedete in folla. Queste penne crescenti strappate all’ala di Cesare faranno volare ad un’altezza normale colui che altrimenti si librerebbe al di là della vista umana e tutti ci terrebbe in servile timore.

 

(Escono)

 

SCENA SECONDA – Roma. Una pubblica Piazza

(Entrano in processione con musica CESARE ANTONIO pronto per la corsa CALPURNIA PORZIA DECIO CICERONE BRUTO CASSIO e CASCA; segue una gran folla fra la quale un Indovino)

 

CESARE: Calpurnia!

CASCA: Silenziolà! Cesare parla!

 

(Cessa la musica)

 

CESARE: Calpurnia!

CALPURNIA: Eccomisignore.

CESARE: Mettetevi sulla strada di Antonioquando egli fa la sua corsa. Antonio!

ANTONIO: Cesare? Signor mio?

CESARE: Non vi dimenticate nella vostra corsaAntoniodi toccare Calpurniache i nostri avi dicono che le sterilitoccate durante questa sacra corsasi liberano dalla maledizione della loro sterilità.

ANTONIO: Lo ricorderò: allorché Cesare dice: “Fa’ questo”è fatto.

CESARE: Cominciate; né omettete cerimonia alcuna.

INDOVINO: Cesare!

 

(Musica)

 

CESARE: Eh? Chi chiama?

CASCA: Cessi ogni rumore: di nuovo silenzio!

 

(Cessa la musica)

 

CESARE: Chi è nella calca che mi chiama? Odo una vocepiù acuta di tutta la musicagridare “Cesare”. Parla; Cesare è volto ad ascoltare.

INDOVINO: Guardati dalle Idi di marzo.

CESARE: Che uomo è quello?

BRUTO: Un indovino vi ingiunge di guardarvi dalle Idi di marzo.

CESARE: Portatemelo dinanzi; ch’io veda il suo volto.

CASSIO: Uomouscite dalla folla; guardate Cesare.

CESARE: Che mi dici ora? Riparla.

INDOVINO: Guardati dalle Idi di marzo.

CESARE: E’ un sognatorelasciamolo: avanti!

 

(Fanfara. Escono tutti eccetto Bruto e Cassio)

 

CASSIO: Andrete a vedere lo svolgersi della corsa?

BRUTO: No.

CASSIO: Vi pregoandate.

BRUTO: Non ho gusto per i divertimenti: mi manca alquanto di quella vivacità che è in Antonio. Che io non ostacoli i vostri desideriCassio; vi lascerò.

CASSIO: Brutovi sto osservando da qualche tempo: non trovo più nel vostro sguardo quella gentilezzaquella dimostrazione d’affetto che io solevo trovarvi: guidate con mano troppo pesante e troppo straniera l’amico che vi ama.

BRUTO: Cassionon ingannatevi; se io ho velato il mio sguardovolgo il turbamento del mio volto unicamente su me stesso. Turbato sono io da qualche tempo da passioni in conflittoda pensieri che riguardano me solo e che forse alquanto offuscano la mia condotta; ma non s’addolorino per questo i miei buoni amici – e tra essiCassiosiete voi pure – né diano alla mia trascuratezza altro significato se non che il povero Brutoin guerra con se stessodimentica le dimostrazioni d’affetto verso gli altri.

CASSIO: DunqueBrutoassai male ho interpretato il vostro stato d’animo; così che questo mio petto ha tenuto sepolti preziosi pensieri e gravi riflessioni. Ditemibuon Brutopotete vedervi in viso?

BRUTO: NoCassioché l’occhio non può vedere se stesso che per riflessoper mezzo di qualche altra cosa.

CASSIO: E’ giusto: ed è molto deploratoBrutoche voi non abbiate un simile specchio per riflettere dinanzi al vostro occhio il nascosto valore che è in voicosì che possiate vedere la vostra immagine. Io ho udito molte persone di massimo riguardo a Romasi eccettui l’immortale Cesareche nel parlare di Brutoe gemendo sotto il giogo di questi tempihanno desiderato che il nobile Bruto avesse i suoi occhi.

BRUTO: In quali pericoli vorreste spingermiCassiovoi che vorreste che io cercassi in me stesso ciò che non è in me?

CASSIO: Quindibuon Bruto siate pronto ad udire: esiccome sapete che non potete mai vedere voi stesso così bene come per riflessoioil vostro specchiomodestamente svelerò a voi stesso ciò che di voi ancora non conoscete. E non sospettate di megentile Bruto; se io fossi un volgare beffatoreo fossi solito invilire il mio amore facendo i medesimi voti ad ogni nuovo amicose sapeste che io adulo gli uominie li abbraccio stretti e dopo ne sparloo se sapeste che io mi profondo in voti d’amicizia nei banchetti a tutta la masnadaallora dovreste tenermi per pericoloso.

 

(Fanfara e grida)

 

BRUTO: Che significano queste grida? Io temo che il popolo elegga Cesare re.

CASSIO: Ah sìvoi lo temete? Allora io debbo credere che così non vorreste?

BRUTO: Non lo vorreiCassio: eppure lo amo caramente. Ma perché mi trattenete qui così a lungo? Di che vorreste mettermi a parte? Se si tratta di qualcosa per il bene comune ponetemi l’onore dinanzi ad un occhio e la morte dinanzi all’altroed io guarderò ambedue indifferentemente; ché mi aiutino gli dèi tanto quanto io amo il nome dell’onore più che non tema la morte.

CASSIO: So altrettanto bene che questa virtù è in voiBrutoquanto conosco le vostre sembianze esterne. Ebbenel’onore è l’argomento del mio discorso. Non posso dire ciò che voi ed altri pensate di questa vita; maquanto a me solosarei altrettanto contento di non essereche di vivere per paventare oggetto pari a me stesso. Io nacqui libero come Cesare; così nasceste voi: ambedue ci siamo altrettanto bene nutriti ed ambedue possiamo sopportare il freddo invernale come lui:

ché una voltain una giornata rigida e tempestosaquando il conturbato Tevere ribolliva contro le sue spondeCesare mi disse:

“Osi tuCassiosaltare ora con me in questa furiosa corrente e nuotare fino a quel punto?”. Detto fatto: nell’arnese in cui eroio mi tuffaie gl’ingiunsi di seguirmi: e cosìinfatti egli fece. Il torrente rumoreggiava; e noi lo battemmo con muscoli gagliardifendendolo e rintuzzandolo con l’animo di contendenti; ma prima che potessimo arrivare al punto sceltoCesare gridò: “AiutamiCassioo annego!”. Iocome Eneail nostro grande avofuori dalle fiamme di Troia portò sulle spalle il vecchio Anchisecosìdalle onde del Teveretrassi lo stanco Cesaree quest’uomo ora è divenuto un dioe Cassio è una vile creatura e deve curvare la schienase Cesare cosìdistrattamentesi degna fargli cenno col capo. Egli ebbe le febbri quando era in Spagnae quando l’accesso lo prendeva io notavo come egli tremasse: è veroquesto dio tremava: le sue codarde labbra fuggivano i loro colori: e quello stesso occhioil cui sguardo spaventa il mondoperdeva la sua luce: lo sentivo gemere; sìquella sua linguache ordinò ai Romani di stargli attenti e di scrivere i suoi discorsi nei loro libriahimè gridava: “Dammi da bere.

Titinio!”come una fanciulla malata. O dèimi stupisce che un uomo di così debole tempra possa talmente aver la precedenza sul maestoso mondo e portare da solo la palma.

 

(Grida. Fanfara)

 

BRUTO: Un’altra acclamazione generale! In verità io credo che questi applausi siano per alcuni nuovi onori piovuti sul capo di Cesare.

CASSIO: Maamicoegli sovrasta lo stretto mondo come un colossoe noi omuncoli passeggiamo sotto le sue enormi gambe e scrutiamo attorno per trovarci tombe disonorate. Gli uominia un certo momentosono padroni dei loro destini: la colpacaro Brutonon è nelle nostre stellema in noi stessise noi siamo degli schiavi. Bruto e Cesare:

che cosa dovrebbe essere in quel “Cesare”? Perché dovrebbe quel nome essere pronunziato più del vostro? Scriveteli accanto l’uno e l’altroil vostro è nome altrettanto bello; pronunziatelisuona in bocca altrettanto bene; pesateliesso è altrettanto peso; fate con essi degli scongiurie Bruto evocherà uno spirito così presto come Cesare.

Orain nome di tutti gli dei insiemedi che cibo si nutre questo nostro Cesare ch’egli è divenuto sì grande? O tempisiete coperti di vergogna! O Romatu hai perduto la schiatta di nobili giovani! Quando mai passò un’epocadal gran diluvio in poiche non fosse resa famosa da più di un uomo? Quando potevano dire finora coloro che parlavano di Romache le sue ampie mura non cingevano che “un” uomo? Ora sì ch’è Romae romita davveroché non vi è in essa che un solo uomo. Ohvoi ed io abbiamo udito i nostri padri dire che una volta vi fu un Bruto che avrebbe sopportato tanto facilmente che l’eterno diavolo tenesse la sua corte a Romaquanto che ce la tenesse un re.

BRUTO: Che voi mi amiateio non ne dubito; di ciò a cui vorreste condurmiposso farmene un’idea; come io abbia pensato a questo e a questi tempiracconterò più tardi; per il momento non vorreise amorevolmente vi potessi così pregareessere di più sollecitato. Su quello che avete dettorifletterò; quello che avrete ancora da direl’udrò pazientemente; e troverò un momento adatto tanto ad ascoltare quanto a rispondere a sì gravi cose. Fino alloramio nobile amicoruminate questo: Bruto preferirebbe essere un villico piuttosto che reputarsi un figlio di Roma nelle dure condizioni che questi tempi minacciano di imporci.

CASSIO: Sono felice che le mie deboli parole abbiano acceso anche questa piccola parvenza di fiamma in Bruto.

BRUTO: I giuochi sono terminati e Cesare ritorna.

CASSIO: Mentre essi passanotirate Casca per la manicaed egli col suo modo agro vi racconterà ciò che è avvenuto oggi degno di nota.

 

(Rientra CESARE col suo Seguito)

 

BRUTO: Lo farò. Ma guardateCassiol’impronta dell’ira arde sulla fronte di Cesaree tutti gli altri sembrano un codazzo di gente strapazzata: pallida è la guancia di Calpurnia; e Cicerone guarda con occhi infocati di furetto come l’abbiamo visto in Campidoglioquando era contrariato nelle discussioni da qualche senatore.

CASSIO: Casca ci dirà che cosa è successo.

CESARE: Antonio…

ANTONIO: Cesare?

CESARE: Ch’io abbia intorno a me degli uomini grassigente dal capo lisciato e che dorma la notte; quel Cassio ha un aspetto magro e famelico; pensa troppo: tali uomini sono pericolosi.

ANTONIO: Non lo temeteCesareegli non è pericoloso: è un nobile romano e di buona pasta.

CESARE: Vorrei fosse più grasso! Ma non lo temo. Eppurese il mio nome fosse suscettibile di pauranon so quale uomo eviterei tanto quanto quel Cassio sparuto. Egli legge molto; è un grande osservatoree penetra con gli occhi fino in fondo alle azioni degli uomini; egli non ama gli spettacolicome fai tuAntonio; non ama sentire la musica; di rado egli sorridee quando sorride è in tal modocome se egli deridesse se stessoe si beffasse del proprio animoche può essere indotto a sorridere di cosa alcuna. Gli uomini come lui non hanno mai l’animo tranquillofinché vedono uno più grande di loro; e quindi sono molto pericolosi. Io ti dico piuttosto ciò che va temuto che quel che io temaché sono sempre Cesare. Vieni alla mia destraché questo orecchio è sordoe dimmi in verità ciò che pensi di lui.

 

(Squilli di tromba. Esce Cesare con tutto il Seguito eccetto Casca)

 

CASCA: Mi avete tirato pel mantello; vorreste parlare con me?

BRUTO: SìCasca; diteci quello che è avvenuto oggiche Cesare ha sì triste cera.

CASCA: Come! eravate con luinon è vero?

BRUTO: Non domanderei allora a Casca quello che è avvenuto.

 

CASCA: Ebbenegli è stata offerta una corona; equando gli è stata offertaegli l’ha respinta col dorso della manocosì; e allora la gente si è messa a gridare.

BRUTO: E il secondo schiamazzo per che cosa?

CASCA: Eh! sempre per questo.

CASSIO: Hanno gridato tre volte: per che cosa è stato l’ultimo grido?

CASCA: Eh! Sempre per questo.

BRUTO: Gli è stata offerta tre volte la corona?

CASCA: Giàproprio cosìe tre volte l’ha rifiutata ed ogni volta con minore energia dell’altra; e ad ogni rifiuto i miei onesti vicini gridavano.

CASSIO: E chi gli offriva la corona?

CASCA: EhAntonio.

BRUTO: Diteci il modobuon Casca.

CASCA: M’è più facile farmi impiccare che dirvene il modo: è stata una semplice buffonata; non ci ho fatto caso. Ho visto Marc’Antonio offrirgli una corona; nonon era nemmeno una coronaera uno di quei diademi: e come v’ho detto l’ha respinta una volta; ma nondimenoho ideaavrebbe ben voluto accettarla. Allora gliel’ha offerta di nuovoed egli di nuovo l’ha respinta: maho ideaben gli spiaceva di staccarne le dita. E allora gliel’ha offerta per la terza voltae per la terza volta l’ha respinta: e sempre quand’egli la rifiutavala plebaglia urlava e batteva le mani screpolate e gettava in aria i berretti bisunti ed esalava tal copia di fiato fetente perché Cesare rifiutava la coronache quasi ha soffocato Cesare: perché egli è svenuto ed è caduto a terra: e per parte mia non osavo ridere per paura di aprire la bocca e di respirare l’aria fetida.

CASSIO: Maadagiovi prego: come! Cesare è svenuto?

CASCA: E’ caduto a terra nel Foro con la schiuma alla bocca ed è restato senza favella.

BRUTO: E’ possibilissimo: egli ha il mal caduco.

CASSIO: NoCesare non l’ha; ma voied io e l’onesto Cascanoiabbiamo il mal caduco.

CASCA: Non so cosa vogliate dire con questoma sono sicuro che Cesare è caduto. Se la marmaglia cenciosa non l’applaudiva e non lo fischiava a seconda che egli piaceva o dispiaceva a lorocome sogliono fare agli istrioni al teatroallora sono un bugiardo.

BRUTO: Che cosa ha detto quando è tornato in sé?

CASCA: Per Baccoprima di caderequando s’è accorto che il vile gregge era contento che egli rifiutasse la coronasi è aperta la veste ed ha offerto loro la gola da tagliare. S’io fossi stato un qualunque artigianovorrei andare all’inferno tra la canagliase non l’avessi preso in parola. E così è caduto a terra. Quando è tornato in sé ha detto che se avesse fatto o detto qualcosa non a versodesiderava che le lor signorie l’attribuissero alla sua malattia. Tre o quattro cianedove stavo ioesclamarono: “Ahimè poveretto!” e gli perdonarono di cuore: ma non c’è da badarci: se Cesare avesse pugnalato le loro madrinon avrebbe fatto di meno.

BRUTO: E dopo ciò egli se n’è venuto via così triste?

CASCA: Sì.

CASSIO: Ha detto nulla Cicerone?

CASCA: Sìha parlato in greco.

CASSIO: E che cosa ha detto?

CASCA: Nose ve lo dicessinon vi guarderei più in viso; ma quelli che l’hanno inteso han sorriso l’uno all’altro e hanno scosso la testamaper conto mioper me era greco. E altre notizie potrei darvi: Marullo e Flavio sono stati fatti tacere per avere tolto le infule alle immagini di Cesare. Addio. Vi sono state altre buffonate ancorase potessi ricordarle.

CASSIO: Volete cenare con me staseraCasca?

CASCA: No; ho promesso altrove.

CASSIO: Volete desinare con me domani?

CASCA: Sìse sono vivoe non cambiate di parere e il vostro desinare valga la pena di mangiarlo.

CASSIO: Benevi aspetterò.

CASCA: Va bene: addio a tutti e due.

 

(Esce)

 

BRUTO: Che uomo rude è diventato costui! Era d’animo vivace quando era a scuola.

CASSIO: E lo è anche ora nell’esecuzione di qualche ardita o nobile impresaper quanto egli assuma quest’aria d’apatia. Questa rudezza è il condimento del suo vivace ingegno che dà alla gente stomaco per digerire le sue parole con migliore appetito.

BRUTO: E cosi è. Per ora vi lascerò: domanise vi piace parlare con meverrò a casa vostra: ose voletevenite voi da mee vi aspetterò.

CASSIO: Verrò: e fino allorapensate al mondo. (Esce Bruto) EbbeneBrutotu sei nobile; eppureio vedo che il tuo nobile metallo può essere lavorato fino a stornarlo da quello per cui è disposto; è quindi bene che le nobili menti si tengano sempre con i loro similiperchéchi è sì saldo che non possa essere sedotto? Cesare male sopporta mema ama Bruto; s’io fossi Bruto oraed egli CassioCesare non mi abbindolerebbe. Questa notte gli getterò nelle sue finestre alcuni scritti in varie calligrafiecome se venissero da vari cittadinii quali tutti espongano il grande onore nel quale Roma tiene il suo nome; e in essi velatamente si accennerà all’ambizione di Cesare: e dopo questoCesare si segga ben saldoché noi lo scoteremo o sopporteremo giorni ancora peggiori.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA – Roma. Una strada

 

 

(Tuoni e lampi. Entrano da parti opposte CASCAcon la spada sguainata e CICERONE)

 

CICERONE: Buona seraCasca. Avete accompagnato Cesare a casa? Perché siete senza fiato? E perché sbarrate gli occhi così?

CASCA: Non siete commosso quando tutto l’ordinamento della terra vacilla come cosa malferma? O Cicerone! Ho visto tempesteallorché i venti infuriati hanno sradicato le nodose querce; e ho visto l’orgoglioso oceano gonfiare ed infuriare e spumeggiareper innalzarsi fino alle minacciose nubi: ma mai fino a stanottemai fino ad ora sono io passato per una tempesta grondante gocce infocate. O vi è lotta intestina nei cielio il mondotroppo impudente verso gli dèili provoca a mandare la distruzione.

CICERONE: Avete veduto altro di più meraviglioso?

CASCA: Un umile schiavolo conoscete bene di vistaalzò la sinistra che fiammeggiò e bruciò come venti torce riunite; eppure la manoinsensibile al fuocorimase incombusta. Inoltree da allora non ho più ringuainato la spadaal Campidoglio ho incontrato un leone che m’ha fissatoe torvoè passato oltre senza molestarmi: e là in un mucchio erano ammassate cento donne squallidestravolte dal terrore:

e giuravano di aver visto degli uomini tutti in fiammeandare su e giù per la strada. E ieri l’uccello notturno si posò perfino a mezzodì nel Foroululando e stridendo. Quando simili prodigi coincidono cosìgli uomini non dicano: “Queste ne sono le ragioni: essi sono fenomeni naturali”giacchéio credosono cose gravide di portenti pei paesi ai quali essi si indirizzano.

CICERONE: Invero sono tempi stranamente disposti: ma gli uomini possono interpretare le cose in un modo lorointeramente contrario al significato delle cose stesse. Viene Cesare in Campidoglio domani?

CASCA: Viene; ché disse ad Antonio di avvertirvi che vi sarebbe stato domani.

CICERONE: Buona nottedunqueCasca; questo cielo sconvolto non è fatto per passeggiare.

CASCA: AddioCicerone.

 

(Esce Cicerone)

 

 

(Entra CASSIO)

 

CASSIO: Chi va là?

CASCA: Un romano.

CASSIO: Cascadalla vostra voce.

CASCA: Il vostro orecchio è buono. Cassioche notte è questa!

CASSIO: Una notte piacevolissima per la gente onesta.

CASCA: Chi mai ha visto cieli così minacciosi?

CASSIO: Coloro che hanno conosciuto la terra così piena di colpe. Per conto mioho passeggiato per le strade esponendomi alla perigliosa notteecosì discinto come mi vedeteCascaho porto nudo il mio petto alla folgore; e quando l’azzurra serpeggiante saetta sembrava squarciare il seno del cielomi sono fatto avanti proprio dove andava a cadere e nella sua stessa vampa.

CASCA: Ma perché fino a tal punto tentate voi il cielo? E’ dovere degli uomini di paventare e tremare quando i potentissimi dèi con portenti inviano tali terribili araldi ad incutere in noi lo stupore.

CASSIO: Siete tardoCasca; e quelle scintille di vita che dovrebbero trovarsi in ogni romanoo vi mancanoo non date prova di averle.

Siete pallido e sbarrate gli occhi e vi vestite di spavento e vi sprofondate nello stuporenel vedere la strana collera dei cieli: ma se voi consideraste la vera causa di tutti questi fuochidi tutti questi striscianti spettrie perché uccelli e bestie si dipartono dalla loro natura e specieperché dei vegliardi agiscono da scemi e dei fanciulli profetizzanoperché tutte queste cose si allontanano dal loro modo di essere preordinatodalla loro natura e dalle loro originali facoltà per assumere mostruosi aspetti: ebbenevoi troverete che il cielo ha infuso in loro questi caratteri per farne strumenti di terrore e di ammonimentoin vista di qualche mostruoso stato di cose. OraCascapotrei io nominarti un uomo simile a questa notte spaventosail quale tuona e saetta e apre tombe e rugge come il leone in Campidoglioun uomo non più potente di te o di me nella sua personale azioneeppure diventato portentoso e terribilequanto tali strani prodigi.

CASCA: E’ Cesare di cui intendete parlarenon è veroCassio?

CASSIO: Sia chi sia: ché ora i Romani hanno muscoli e membra come i loro antenatimaahimèè morto lo spirito dei nostri padri e siamo governati dall’animo delle nostre madri; il nostro giogo e la nostra tolleranza ci mostrano femminei.

CASCA: Inverodicono che domani i senatori intendono eleggere Cesare re; ed egli potrà portare la sua corona per mare e per terra ovunqueeccetto che in Italia.

CASSIO: So dove io porterò questo pugnaleallora; Cassio riscatterà Cassio dalla schiavitù: in questodèifate fortissimi i deboli; in questodèisconfiggete i tiranni: né torri di pietra né mura di rame battutoné prigione senz’ariané forti catene di ferro possono frenare la forza dell’animo: ma la vitastanca di questi terreni ceppinon manca mai della facoltà di congedarsi. Se io so questoche tutto il mondo pure lo sappiache quella parte di tirannia che io sopporto la posso scuotere da me a mia volontà.

 

(Continua a tuonare)

 

CASCA: Ed io pure: così ogni schiavo porta nella sua mano il potere di annullare la sua schiavitù.

CASSIO: E perché dunque dovrebbe Cesare essere tiranno? Disgraziato!

So che egli non sarebbe un lupo se non vedesse che i Romani non sono che pecore: non sarebbe un leone se i Romani non fossero cervi. Coloro che vogliono in poco tempo fare un gran fuoco lo accendono con deboli pagliuzze: qual fascio di stecchi è Romaquale rifiuto e quale mucchio di trucioli quando serve da materia vile per illuminare cosa sì abietta come Cesare! Mao doloreove mi hai tu condotto? Forse io dico ciò dinanzi ad uno schiavo volontario: allora io so che dovrò rispondernema sono armatoed indifferente ai pericoli.

CASCA: Voi parlate a Cascaad uomo che non è un sogghignante delatore. Tenete: ecco la manoformate una fazione per por rimedio a tutti questi torti; ed io spingerò questo mio piede innanzi quanto colui che va più lontano.

CASSIO: Ecco un patto conchiuso. Ed ora sappiateCascaho già indotto certi Romani dei più nobili d’animo a compiere con me un’impresa che comporta onore quanto pericolie so che a quest’ora essi mi aspettano nel portico di Pompeo: giacché orain questa notte terribilenon v’è movimento o passaggio di gente per le strade; e l’aspetto del cielo rassomiglia l’opera che abbiamo in corsocosì sanguignoinfocatoe spaventoso com’è.

CASCA: Nascondetevi un momentoche viene qualcuno in fretta.

CASSIO: E’ Cinna; lo conosco all’andatura: è un amico.

 

(Entra CINNA)

 

Cinnadove andate così in fretta?

CINNA: A cercarvi. Chi è questi? Metello Cimbro?

CASSIO: Noè Cascauno associato alla nostra impresa. Non sono attesoCinna?

CINNA: Ho piacere. Che notte terribile è questa! Vi sono due o tre di noi che hanno veduto strani portenti.

CASSIO: Non sono atteso? Ditemi.

CINNA: Sìsiete atteso. O Cassiose poteste solo guadagnare il nobile Bruto al nostro partito…

CASSIO: State tranquillo. Buon Cinnaprendete questo foglioe guardate di porlo nel sedile pretorio dove solo Bruto possa trovarloe questo gettatelo dentro la sua finestraquesto affiggetelo con la cera alla statua del vecchio Bruto: fatto tutto ciòrecatevi sotto il portico di Pompeoove ci troverete. Sono là Decio Bruto e Trebonio?

CINNA: Tutti fuorché Metello Cimbro; egli è andato a cercarvi a casa vostra. Ebbenem’affretterò a distribuire questi fogli come mi avete ordinato.

CASSIO: Fatto ciòrecatevi al teatro di Pompeo. (Esce Cinna) VeniteCascavoi ed ioavanti che si faccia giornovedremo ancora Bruto a casa sua: tre quarti di lui sono già nostrie l’uomo intiero si arrende a noi al prossimo incontro.

CASCA: Ohegli siede ben alto nel cuore di tutta la gente e ciò che in noi sembrerebbe offesail suo consensoquale ricchissima alchimialo trasformerà in virtù e merito.

CASSIO: E lui e il suo valoree il nostro gran bisogno di luiavete ben giudicato. Andiamogiacché è passata la mezzanotte; eprima di giornolo sveglieremo e ce lo assicureremo.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

 

SCENA PRIMA – Roma. L’orto di Bruto

 

(Entra BRUTO)

 

BRUTO: OlàLucio! oh! Non possodal moto delle stelleindovinare di quanto sia vicino il giorno. Luciodico! Vorrei avere anch’io il difetto di dormire così duro. DunqueLuciodunque? Svegliatidico!

OhéLucio!

 

(Entra Lucio)

 

LUCIO: Avete chiamato signore?

BRUTO: Portami un cero nello studioLucio: quando è accesovieni qui a chiamarmi.

LUCIO: Sìsignore.

 

(Esce)

 

BRUTO: Dev’essere con la sua morte: e per conto mionon conosco alcun motivo per recalcitrare a luisalvo che per il loro comune. Vorrebbe essere incoronato: quanto potrebbe questo cambiargli l’indoleecco la questione: è la bella giornata che fa uscir la vipera e allora occorre procedere circospetti. Incoronarlo? Ecco; e alloralo ammettoponiamo in lui un pungolo per nuocere a volontà. L’abuso della grandezza si ha quando dalla potenza essa disgiunge la pietà: eper dire il vero di Cesarenon so quando le sue passioni l’abbiano dominato più della sua ragione. Ma è oggetto di comune esperienza che l’umiltà è la scala della giovane ambizionealla quale chi sale tien rivolta la facciama raggiunto che egli abbia l’ultimo gradinovolge allora il dorso alla scala e guarda le nuvoledisprezzando i gradini bassi per i quali è asceso: così potrebbe far Cesare; quindiper timore che possapreveniamo. Edacché il motivo di contesa sarebbe infondato rispetto a ciò che egli èponiamo la questione in questi termini: che ciò che egli èaccresciutoporterebbe a tali e tali estremi: e quindi consideriamolo come un uovo di serpente cheschiusodiverrebbesecondo la sua natura nocivoe uccidiamolo nel guscio.

 

(Rientra Lucio)

 

LUCIO: Il cero arde nel vostro studiosignore. Nel cercare un’esca presso la finestraho trovato (dandogli una lettera) questo fogliocosì sigillato; ene sono sicuronon vi era quando andai a letto.

BRUTO: Torna al tuo lettonon è ancora giorno. Domaniragazzonon sono le Idi di marzo?

LUCIO: Non lo sosignore.

BRUTO: Guarda nel calendario e fammelo sapere.

LUCIO: Sìsignore.

 

(Esce)

 

BRUTO: Le meteore che fischiano nell’aria fan tanta luce ch’io posso leggere al loro chiarore: (apre la lettera e legge) “Brutotu dormi; svegliati e guarda te stesso. Deve Romaeccetera. Parlacolpisciripara! Bruto tu dormi: svegliati!”. Tali istigazioni sono spesso state lasciate cadere ove io le ho raccolte. “Deve Romaeccetera”.

Così devo completarne il senso: Deve Roma vivere nel terrore di un uomo? Come! Roma? I miei antenati dalle strade di Roma scacciarono Tarquinio quando egli fu chiamato re. “Parlacolpisciripara!”. Mi implorano dunque di parlare e di colpire? O Romati faccio voto che se vi sarà possibile riparazionel’intera tua preghiera sarà esaudita per mano di Bruto!

 

(Rientra Lucio)

 

LUCIO: Signoremarzo è scemato di quattordici giorni.

 

(Bussano di fuori)

 

BRUTO: Va bene. Va’ al cancello; qualcuno bussa. (Lucio esce) Dacché la prima volta Cassio m’incitò contro Cesaremai più non ho dormito.

Tra l’esecuzione di una terribile azione e il primo impulso a farlatutto l’intervallo è quale un fantasma o un orribile sogno: l’anima che ragiona e le terrene passioni stanno allora a consiglio; e lo stato dell’uomoquale piccolo regnosoffre allora una specie di rivoluzione.

 

(Rientra Lucio)

 

LUCIO: Signorec’è vostro cognato Cassio alla portache desidera vedervi.

BRUTO: E’ solo?

LUCIO: Nosignorevi sono altri con lui.

BRUTO: Li conosci?

LUCIO: Nosignore: hanno i cappelli calcati sulle orecchiee le loro facce sono a metà sepolte nei mantellicosì che in nessun modo posso riconoscerli da qualsiasi lineamento.

BRUTO: Che entrino! (Lucio esce) Sono i cospiratori. O congiurati vergogni dunque di mostrare la tua pericolosa fronte di nottequando le male azioni hanno minor freno? Ohalloradi giornodove troverai una caverna abbastanza oscura per mascherare il tuo mostruoso volto?

Non cercarlao congiura: nascondilo in sorrisi e in modi affabili:

poiché se tu vai attornocon le tue native sembianzeErebo stesso non sarebbe abbastanza oscuro per sottrarti al discoprimento.

 

(Entrano CASSIOCASCADECIOCINNAMETELLO CIMBRO e TREBONIO)

 

CASSIO: Temo che siamo troppo arditi nel turbarvi il riposo: buon giornoBruto; vi disturbiamo?

BRUTO: Alzato sono da un’ora; tutta la notte sveglio. Conosco questi che vengono con voi?

CASSIO: Sìtutti; e non v’è uomo che qui non vi onorie ciascuno nient’altro vorrebbe se non che voi aveste di voi stesso quel concetto che ogni nobile romano ha di voi. Questi è Trebonio.

BRUTO: E benvenuto qui.

CASSIO: QuestiDecio Bruto.

BRUTO: Anch’egli è benvenuto.

CASSIO: Questi Cascaquesti Cinnae questi Metello Cimbro.

BRUTO: Sono tutti benvenuti. Quali vigili cure s’interpongono tra i vostri occhi e la notte?

CASSIO: Posso chiedervi una parola?

 

(Bruto e Cassio parlano in disparte)

 

DECIO: Qua sta l’oriente: non sorge qua il giorno?

CASCA: No.

CINNA: Ma scusatesignoresì; e quelle strie grige che orlano le nubi sono foriere del giorno.

CASCA: Confesserete che ambedue vi siete ingannati. Qua dove io punto la spada sorge il soleil quale si leva assai verso mezzogiornodata la giovine stagione dell’anno. Tra due mesi ancoraegli più suverso tramontanacomincerà a presentare il suo fuocoe il pieno oriente stacome il Campidogliodirettamente qua.

BRUTO: Datemi tutti la manouno dopo l’altro.

CASSIO: E giuriamo il nostro patto.

BRUTO: Nonessun giuramento; se non bastano gli sguardi degli uominile sofferenze delle nostre animegli abusi dei tempise questi moventi sono debolitronchiamo finché c’è tempoed ognuno ritorni di qui al suo letto d’ozioe che la tirannia dagli occhi d’aquila continui così le sue ruotefinché ogni uomo cada secondo il suo destino. Ma se questi moventicome ne sono sicurohanno in sé abbastanza fuoco per infiammare i codardi e per temprare di coraggio gli animi fiacchi delle femminealloracompatriotiperché abbisogniamo noi di uno sproneall’infuori della nostra causaper stimolarci al rimedio? Qual altro legame che quello di Romani prudenti che hanno dato parolae non tergiversano? E qual altro giuramento che non l’onestà all’onestà impegnata che questo sia o altrimenti si cada per questo? Fate giurare i sacerdotie i vigliacchie i furbivecchie infrollite carognee simili anime accomodevoli che accolgono con compiacenza le offese; per cattive cause fate giurare gli esseri che gli uomini hanno in sospetto: ma non macchiate la limpida virtù della nostra impresa né l’irreprimibile foga dei nostri animicol pensare che la nostra impresa o la nostra esecuzione di essa richiedano un giuramentoquando ogni singola goccia di sangue che ogni romano portae porta nobilmenteè rea di bastardagginese egli rompe la più piccola parte di qualsiasi promessa gli sia uscita dalla bocca.

CASSIO: MaCicerone? Dobbiamo sondarlo? Penso che egli sarà decisamente con noi.

CASCA: Non lo lasciamo fuori.

CINNA: No certamente.

METELLO: Ohuniamolo a noi: poiché l’argento delle sue chiome ci acquisterà una buona famae comprerà i suffragi degli uomini per lodare le nostre azioni: si dirà che il suo giudizio guidò le nostre mani; la nostra gioventùla nostra spensieratezza in nessun modo apparirannoma interamente saranno sepolte nella sua saggezza.

BRUTO: Ohnon lo nominate: non tocchiamo la questione con lui; perché egli non vuol mai seguire impresa che altri incominci.

CASSIO: Allora lasciamelo fuori.

CASCA: Infatti non è adatto.

DECIO: E nessun altro sarà toccato all’infuori di Cesare?

CASSIO: Ben dettoDecio. Non credo sia opportuno che Marco Antoniosì benamato da Cesaredebba a Cesare sopravvivere: troveremo in lui un nocivo macchinatore; e voi sapete che i suoi mezzise egli li sfrutta facilmentepossono arrivare a tal punto da danneggiarci tutti; e per impedire questoche Antonio e Cesare cadano insieme.

BRUTO: Troppo sanguinaria sarebbe la nostra condottaCaio Cassiose prima tagliassimo la testa e quindi straziassimo le membra: come l’ira nella morte edopol’odio: poiché Antonio non è che un membro di Cesare: siamo sacrificatorima non carneficiCaio. Tutti ci ergiamo contro lo spirito di Cesare; e nello spirito degli uomini non vi è sangue; ohse potessimo giungere allo spirito di Cesare senza smembrare Cesare! MaahimèCesare deve sanguinare per questo! Egentili amiciuccidiamolo con coraggioma non con ira; trinciamolo come una vivanda degna degli dèima non lo squartiamo come una carcassa degna di cani: e che i nostri cuoricome fanno i padroni scaltriaizzino i loro servi a un atto d’irae dopo sembrino rimproverarli. Questo farà sì che il nostro proposito apparirà necessario e non ispirato all’odiodi modo che così sembrando agli occhi del volgoci chiameranno purificatori e non assassini. E quanto a Marc’Antonionon pensate a luiché egli non può far di più che il braccio di Cesare quando la testa di Cesare è tagliata.

CASSIO: Eppure lo temo; perchénel ben radicato amore che egli porta a Cesare…

BRUTO: Ahimèbuon Cassionon pensate a lui: se egli ama Cesaretutto quello che può fare è contro se stesso: intristirsi e morire per Cesare: e questo sarebbe aspettarsi molto da lui; perché egli è incline ai giuochialla vita sfrenata e alla larga compagnia.

TREBONIO: Non v’è di che temere da lui; che non muoiaperché vivrà e riderà di questo dopo.

 

(Suona un orologio)

 

BRUTO: Silenzio! Contate i colpi.

CASSIO: L’orologio ha battuto tre colpi.

TREBONIO: E’ l’ora di separarci.

CASSIO: Ma è ancora dubbio se Cesare uscirà oggioppure no; perché di recente è divenuto superstiziosoproprio in contrasto con le sue comuni opinioni di una volta sulle fantasiesui sogni e sui portenti:

può darsi che questi manifesti prodigil’inusitato terrore di questa notte e gli argomenti dei suoi auguri possano tenerlo quest’oggi lontano dal Campidoglio.

DECIO: Non lo temete: se così ha deciso io posso persuaderlo; perché egli ama sentire che gli unicorni possono essere tratti in inganno con gli alberi e gli orsi con gli specchigli elefanti con buchei leoni con reti e gli uomini con adulatori; e quando gli dico che odia gli adulatoriegli consente: ed allora è al massimo adulato. Lasciatemi fare; perché io posso dare il giusto indirizzo al suo umore e lo condurrà al Campidoglio.

CASSIO: Anzisaremo tutti lì per scortarlo.

BRUTO: Per l’ottava ora al più tardiva bene?

CINNA: Al più tardie non mancate.

METELLO: Caio Ligario vuol male a Cesareil quale lo rimproverò per aver parlato bene di Pompeo: mi stupisco che nessuno di voi abbia pensato a lui.

BRUTO: Mio buon Metellopassate ora da casa sua: egli mi ama assai e gliene ho dato motivo; fate che egli venga qui ed io lo persuaderò.

CASSIO: L’alba ci sovrasta: vi lasciamoBruto: e voiamicisparpagliatevima tutti ricordate ciò che avete dettoe dimostratevi veri romani.

BRUTO: Buoni signorimostratevi tranquilli ed allegri; che il nostro aspetto non si ammanti dei nostri propositima comportiamoci come i nostri attori romanicon animo saldo e dignitosa fermezza. E cosìbuon giorno a tutti voi. (Escono tuttieccetto Bruto) Ragazzo! Lucio!

Addormentato? Non importa; godi la melliflua e pesante rugiada del sonno: tu non hai né gl’immaginari spettriné le fantasie che le affaccendate cure infiltrano nella mente degli uomini; per questo tu dormi così profondamente.

 

(Entra PORZIA)

 

PORZIA: Brutosignor mio!

BRUTO: Porziache fate? Perché vi alzate adesso? Non giova alla vostra salute l’affidare così il vostro debole corpo al crudo freddo mattutino.

PORZIA: Neppure alla vostra. Non gentilmenteBrutosiete scivolato fuori del mio letto: eieri seraa cenaa un tratto vi siete alzato e avete passeggiato attorno pensoso e sospirantecon le braccia conserte; e quando vi ho domandato che cosa fosseavete fissato gli occhi su di me con sguardo non gentile: vi ho interrogato ancora: vi siete passato la mano tra i capellie troppo impazientemente avete battuto il piede; ancora ho insistito e ancora non avete rispostobensìcon adirata mossa della manomi avete fatto cenno di lasciarvi: così ho fattotemendo di dare esca a quell’impazienza che troppo sembrava accesae tuttavia sperando che non fosse che l’effetto di un cattivo umoreche a volte trova la sua ora in ognuno.

Ma non vi lascia mangiarené dormire; ese potesse altrettanto sul vostro aspetto quanto ha prevalso sul vostro animo io non vi riconoscereiBruto. Signor mio caroditemi la ragione del vostro dolore.

BRUTO: Non sto bene di saluteecco tutto.

PORZIA: Bruto è saggioese non fosse in saluteegli adotterebbe i mezzi per riacquistarla.

BRUTO: Ebbenecosì faccio. Buona Porziaandate a letto.

PORZIA: Bruto è malato? E forse fa bene il passeggiare discinto e il suggere gli umori dell’umido mattino? Come Bruto è malatoe vuole furtivamente allontanarsi dal suo letto salubre per affrontare il sozzo contagio della notte e sfidare l’umida ed impura aria ad accrescere il suo male? NoBruto miovoi avete un male che offende l’animo vostrocheper il diritto al mio postoed in virtù di essoio dovrei conoscere: ein ginocchiovi scongiuro per la mia beltà una volta decantataper tutte le vostre proteste d’amoree per quel gran voto che unì i nostri corpie di noi fece una sola cosadi svelare a meche sono voi stessola metà vostraperché siete sì triste: e quali uomini stanotte sono convenuti da voiché ve ne sono stati sei o settei quali nascondevano il volto anche dalle tenebre.

BRUTO: Non v’inginocchiatedolce Porzia.

PORZIA: Non mi sarebbe necessariose voi foste il dolce Bruto. Nel contratto di matrimonioditemiBrutoviene escluso che io debba sapere alcun segreto che appartiene a voi? Sono io voi soltantoper così direin un certo modo e fino a un certo puntoper farvi compagnia ai pastiper rallegrarvi il letto e parlarvi di tanto in tanto? Vivo io solo nella suburra del vostro piacere? Se non è che cosìPorzia è la prostituta di Bruto e non sua moglie.

BRUTO: Voi siete la mia vera ed onorata sposasì cara a me quanto le rosse gocce che visitano il mio triste cuore.

PORZIA: Se questo fosse veroallora io conoscerei questo segreto. Ne convengosono una donna! pur tuttavia una donna che il nobile Bruto prese per moglie; ne convengosono una donnapur tuttavia una donna di degna famala figlia di Catone. Pensate voi che io non sia più forte del mio sesso con tale padre e con tale sposo? Ditemi i vostri segretiio non li svelerò: con severa prova ho mostrato la mia fermezza dandomi una volontaria ferita quinella coscia: questo dunque posso sopportare con pazienzama non i segreti del mio sposo?

BRUTO: O dèi! Rendetemi degno di sì nobile moglie! (Si bussa di fuori) Odiodi. Qualcuno bussa: Porziarientra per un pocoed a suo tempo il tuo petto condividerà i segreti del mio cuore: tutti i miei impegni svelerò a tetutto ciò che è scritto sulla mia triste fronte: lasciamipresto.

 

(Esce Porzia. Entrano LUCIO e LIGARIO)

 

Luciochi è che bussa?

LUCIO: Vi è un malato qui che vorrebbe parlarvi.

BRUTO: Caio Ligariodi cui parlò Metello. Ragazzosta’ in disparte.

Caio Ligariocome!

LIGARIO: Accetta il buon giorno da una debole lingua.

BRUTO: Ohqual momento avete sceltovaloroso Caioper portar la benda! Ohse non foste malato!

LIGARIO: Non sono malato se Bruto abbia in corso impresa alcuna degna d’esser detta onorevole.

BRUTO: Una tale impresa avrei in corsoLigariose voi aveste un orecchio sano per udirne parlare.

LIGARIO: Per tutti gli dèi davanti ai quali i Romani s’inchinanoqui scaccio il mio male! Anima di Roma! Valoroso figlionato da onorati lombi! Tuquale magohai rievocato la mia anima morta. Ora comandami di correreed io lotterò coll’impossibile; anzine avrò ragione. Che c’è da fare?

BRUTO: Un’opera che sanerà i malati.

LIGARIO: Ma non sono forse sani alcuni che dobbiamo rendere malati?

BRUTO: Anche ciò dobbiamo. Di che si trattiCaioti svelerò mentre andiamo da colui al quale deve essere fatto.

LIGARIO: Andate avanti; econ cuore riaccesoio vi seguo per fare non so che: ma basta che Bruto mi guidi.

BRUTO: Seguimi dunque.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA – Roma. Il Palazzo di Cesare

 

 

(Tuoni e lampi. Entra CESARE in veste da notte)

 

CESARE: Né cielo né terra sono stati in pace questa notte: tre volte Calpurnia ha gridato nel sonno: “Aiutooh! assassinano Cesare!” Chi è là?

 

(Entra un Servo)

 

SERVO: Signore?

CESARE: Va’ordina ai sacerdoti che subito offrano sacrifici e portami qui il loro responso sull’esito.

SERVO: Vadosignore.

 

(Esce)
(Entra CALPURNIA)

 

CALPURNIA: Che intendete di fareCesare? Pensate di andar fuori? Oggi non dovete muovervi dalla vostra casa.

CESARE: Sì che Cesare uscirà: i pericoli che mi hanno minacciato non mi hanno mai guardato che le spalle; appena vedranno il volto di Cesaresaranno svaniti.

CALPURNIA: Cesaremai non ho dato importanza ai presagieppure ora essi mi spaventano. V’è uno làa parte quello che noi abbiamo visto e uditoche racconta le cose più spaventose viste dalla ronda. Una leonessa ha partorito per la stradadelle tombe si sono spalancate ed hanno reso i loro morti; feroci fiammanti guerrieri hanno combattuto sulle nubi in file ed in squadroni ed in giusto ordine guerrescocosì che è piovuto sangue sul Campidoglio; rumore di battaglia rimbombava nell’aria; cavalli nitrivano ed uomini moribondi gemevanoe spiriti strillavano e stridevano per le strade. O Cesarequeste cose sorpassano ogni comune esperienza ed io le temo!

CESARE: Quale cosa può essere evitata il cui scopo è voluto dai potenti dèi? Tuttavia Cesare uscirà: perché queste predizioni si riferiscono a tutto il mondo in generale come a Cesare.

CALPURNIA: Quando muoiono i mendicanti non si vedono comete; i cieli stessi proclamano col furore la morte di principi.

CESARE: I codardi muoiono molte volte prima della loro morte; i valorosi non assaggiano la morte che una sola volta. Di tutte le meraviglie che abbia mai sentitola più stranami sembraè che gli uomini debbano temere: dato che la mortefine necessaria verrà quando vuole.

 

(Rientra il Servo)

 

Che dicono gli àuguri?

SERVO: Non vorrebbero che voi usciste oggi. Nell’estrarre le viscere della vittima non hanno potuto trovare il cuore dell’animale.

CESARE: Gli dèi fanno questo per svergognare la codardia: Cesare sarebbe un animale senza cuore se oggi dovesse stare a casa per paura NoCesare non lo farà: il pericolo ben sa che Cesare è più pericoloso di lui: noi siamo due leoni partoriti lo stesso giornoed io sono il più vecchio ed il più terribile: e Cesare uscirà.

CALPURNIA: Ahimèsignore miola vostra saggezza è annientata dalla cieca fiducia. Non uscite oggi: chiamatela paura mia quella che vi trattiene a casae non vostra. Invieremo Marc’Antonio al Senato: ed egli dirà che voi non state bene oggi: lasciate chein ginocchio. io ottenga questo.

CESARE: Marc’Antonio dirà che non sto bene; e pel tuo capriccioresterò a casa.

 

(Entra DECIO)

 

Decio Brutoegli lo dirà loro.

DECIO: Cesaresalve! Buon giorno magnanimo Cesare! Vengo per condurvi ai Senato.

CESARE: E siete venuto a tempo per portare il mio saluto ai senatorie dire loro che oggi non voglio venire: che non possaè falso; che non osiè ancora più falso: non voglio venire oggi: dite loro cosìDecio.

CALPURNIA: Dite che è malato.

CESARE: Deve Cesare inviare una menzogna? Ho io steso così lontano il mio braccio nella conquista per aver paura di dire a dei vecchi la verità? Decioandate a dire loro che Cesare non vuol venire.

DECIO: Potentissimo Cesarelasciate che io ne conosca la causaper timore che mi deridano quando dico loro così.

CESARE: La ragione sta nella mia volontà: non voglio venire; ciò basta per soddisfare il Senato. Ma per vostra personale soddisfazioneperché vi amove lo farò sapere: Calpurnia quimia mogliemi trattiene a casa: essa ha sognato questa notte che vedeva la mia statuada cuicome fontana dai mille gettiscorreva sangue puro; e molti baldi Romani venivano sorridenti e vi si lavavano le mani: e queste cose essa interpreta quali prodigi e moniti di sventure imminenti; ed in ginocchio ha implorato che lo restassi a casa oggi.

DECIO: Questo sogno è stato tutto interpretato male; era una visione bella e di lieto auspicio: la vostra statua che zampillava sangue da molti getti e nella quale tanti Romani sorridenti si bagnavanosignifica che da voi Roma la grande suggerà sangue ristoratore; e che dei grandi uomini s’affolleranno per avere blasonisegnireliquie ed attributi. Questo è il significato del sogno di Calpurnia.

CESARE: E così l’avete bene spiegato.

DECIO: E l’ho infatticome saprete quando avrete udito ciò che posso dire: sappiatelo adesso: il Senato ha deliberato di dare quest’oggi una corona al potente Cesare. Se mandate loro a dire che non verretepotranno cambiare di parere. Del restosarebbe scherno che si presenterebbe spontaneo per qualcuno il dire: “Togliete la seduta al Senato fino ad altra voltaquando alla moglie di Cesare capiteranno sogni migliori”. Se Cesare si nascondenon bisbiglieranno essi:

“GuardateCesare ha paura”? PerdonatemiCesareché la mia amorosa sollecitudine pel vostro vero bene fa che io parli cosìe la mia ragione cede di fronte al mio amore.

CESARE: Quanto vane mi sembrano ora le tue paureCalpurnia! Mi vergogno di aver ceduto di fronte ad esse. Datemi il mio mantello perché andrò.

 

(Entrano PUBLIOBRUTOLIGARIOMETELLOCASCATREBONIO e CINNA)

 

E guardate che Publio è venuto a prendermi.

PUBLIO: Buon giornoCesare.

CESARE: BenvenutoPublio. ComeBrutoanche voi siete fuori così presto? Buon giorno

CASCA: Caio LigarioCesare mai fu tanto vostro nemico quanto quella febbre che vi ha reso così magro. Che ora è?

BRUTO: Cesareson sonate le otto.

CESARE: Vi ringrazio per il vostro disturbo e la vostra cortesia.

 

(Entra ANTONIO)

 

Vedete! Antonio che spende la notte a far baldoria è ciò nonostante alzato. Buon dìAntonio.

ANTONIO: Altrettanto al nobilissimo Cesare.

CESARE: Ordinate che preparino di là: sono colpevole a farmi attendere così. Ecco Cinnaecco Metello; oh! Trebonio! Ho un’oretta di conversazione da dedicare a voi; ricordatevi di venire da me quest’oggi: statemi vicinoche io possa ricordarmi di voi.

TREBONIO: Lo farò. Cesare. (A parte) E così vicino starò che i vostri migliori amici desidereranno che fossi più lontano.

CESARE: Amicientrate e gustate il vino con me; poi andremo via insieme da amici.

BRUTO (a parte): Come amici! Che l’apparenza ingannao Cesareil cuore di Bruto soffre a pensarci.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA – Roma. Una strada presso il Campidoglio

 

(Entra ARTEMIDOROleggendo un foglio)

 

ARTEMIDORO: “Cesareguardati da Bruto; fa’ attenzione a Cassilo; non ti avvicinare a Casca; tieni d’occhio Cinna; non ti fidare di Trebonio; osserva bene Metello Cimbro; Decio Bruto non ti ama; tu hai fatto torto a Caio Ligario. Non v’è che un proposito in tutti questi uominied esso è diretto contro Cesare. Se tu non sei immortalesta’ attento; il senso di sicurezza facilita il complotto. Gli dèi potenti ti proteggano! Il tuo amico Artemidoro”. Qui starò finché Cesare non passeràe in veste di supplicante gli darò questo. Il mio cuore soffre che la virtù non possa vivere salva dal morso dell’invidia. Se tu leggi questoCesarepotrai viverese noi Fati complottano con i traditori.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA – Roma. Un altra parte della stessa strada di fronte alla casa di Bruto

 

 

(Entrano PORZIA e LUCIO)

 

PORZIA: Ti pregoragazzocorri al Senato; non perdere tempo a risponderema va’: perché tardi?

LUCIO: Per conoscere la mia commissionesignora.

PORZIA: Avrei voluto saperti già là e di ritorno prima che ti possa dire che cosa tu dovresti fare. (A parte) O fermezzasii forte dalla mia parteinnalzami un’immane barriera tra il cuore e la lingua! Ho la mente di un uomoma le forze di una donna. Quanto è difficile alla donna mantenere un segreto! Sei ancora qui?

LUCIO: Signorache cosa debbo fare? Correre al Campidoglioe null’altro? E così tornare a voie null’altro?

PORZIA: Sìportami notiziaragazzose il tuo padrone ha buona ceraché non stava bene quando è uscito: ed osserva bene che cosa faccia Cesarequali supplicanti gli facciano ressa attorno. Odiragazzo!

che rumore è quello?

LUCIO: Non lo sento signora.

PORZIA: Ti pregoascolta bene: ho sentito un clamore confusocome di una rissae il vento lo porta dal Campidoglio.

LUCIO: Propriosignoranon sento nulla.

 

(Entra l’Indovino)

 

PORZIA: Vieni quatu; da che parte sei stato?

INDOVINO: A casa miabuona signora.

PORZIA: Che ore sono?

INDOVINO: Verso le novesignora.

PORZIA: E’ già andato in Campidoglio Cesare?

INDOVINO: Signoranon ancora: vado a prendere posto per vederlo passare sulla via verso il Campidoglio.

PORZIA: Tu hai qualche supplica per Cesarenon è vero?

INDOVINO: Ne hosignora; se piacerà a Cesare essere così buono verso Cesare da ascoltarmilo scongiurerò di essere amico di se stesso.

PORZIA: Comesai tu di qualche male che gli si minacci?

INDOVINO: Nessuno che io sappia di certa scienzamolto che io temo possa accadere. Buon giorno a voi. Qui la strada è stretta: la folla che segue Cesare alle calcagnadi senatoridi pretori e di comuni supplicantifarebbe quasi morire schiacciato un uomo debole: io me ne vado in un posto più sgombro e là parlerò a Cesare quando s’avanza.

 

(Esce)

 

PORZIA: Debbo rientrare. Ahimèqual debole cosa è il cuore di una donna! O Brutoi cieli ti assistano nella tua impresa! Certo il ragazzo mi avrà sentita. Bruto ha una supplica che Cesare non vuole accettare. Ohvengo meno! CorriLucio ricordami al tuo padrone; di’ che io sono allegra: torna di nuovo a mee portami notizia di ciò che egli ti dirà.

 

 

 

ATTO TERZO

 

 

 

SCENA PRIMA – Roma. Il Campidoglio. Il Senato tiene seduta

 

(Una folla di gente per la strada che mena al Campidoglio: tra essi ARTEMIDORO e l’Indovino. Fanfara Entrano CESAREBRUTOCASSIOCASCADECIOMETELLOTREBONIOCINNAANTONIOLEPIDOPOPILIOPUBLIO ed altri)

 

CESARE: Le Idi di marzo sono giunte.

INDOVINO: SìCesarema non trascorse.

ARTEMIDORO: AveCesare! Leggi questo foglio.

DECIO: Trebonio desidera che voi scorriate a vostro comodo questa sua umile supplica.

ARTEMIDORO: O Cesareleggi prima la mia; ché la mia tocca Cesare più da vicino: leggilagran Cesare.

CESARE: Ciò che tocca la nostra persona sarà per ultimo preso in considerazione.

ARTEMIDORO: Non tardareCesare; leggila immantinente.

CESARE: Come? E’ pazzo costui?

PUBLIO: Quell’uomofate posto.

CASSIO: Come? Patrocinate le vostre suppliche per la strada? Venite al Campidoglio.

 

(CESARE entra in Campidoglio: gli altri lo seguono. Tutti i Senatori si alzano)

 

POPILIO: Spero che oggi la vostra impresa sortisca buon effetto.

CASSIO: Quale impresaPopilio?

POPILIO: Addio.

 

(Si avanza verso Cesare)

 

BRUTO: Che cosa ha detto Popilio Lena?

CASSIO: Si augurava che oggi la nostra impresa sortisse buon effetto.

Temo che i nostri propositi siano scoperti.

BRUTO: Guardate come egli si avanza verso Cesare: osservatelo.

CASSIO: Cascafate prestoperché temiamo di essere prevenuti. Brutoche fate? Se questo è notouno di noi dueo Cassio o Cesaremai non torneràché io mi ucciderò.

BRUTO: Cassiosiate calmo; Popilio Lena non parla dei nostri propositi; giacchéguardateegli sorride e Cesare non cambia.

CASSIO: Trebonio coglie il momento opportuno; perchéguardateBrutoegli attira Marc’Antonio in disparte.

 

(Escono Antonio e Trebonio. Cesare e i Senatori si seggono)

 

DECIO: Dov’è Metello Cimbro? Che egli vada a presentare subito la sua supplica a Cesare.

BRUTO: Egli è pronto: affollatevi attorno a lui ed assecondatelo.

CINNA: Cascatocca a voi per il primo ad alzare la mano.

CESARE: Siamo tutti pronti? Che v’è ora di mal fatto a cui Cesare ed il suo Senato debbano riparare?

METELLO: Altissimofortissimo e potentissimo Cesare. Metello Cimbro getta ai tuoi piedi un umile cuore…

 

(Inginocchiandosi)

 

CESARE: Debbo prevenirtiCimbro. Questi prosternamenti e questi abietti inchini potrebbero infiammare il sangue di uomini comuni e trasformare ciò che già fu stabilito e definitivamente decretato in una legge da fanciulli. Non essere così sciocco da credere che Cesare abbia un sangue così ribelle che possa essergli fatta perdere la sua vera qualità con ciò che blandisce gli stolti; voglio dire con le parole dolcicon profondicontorti inchini e con vili piagnerie da cagnolino. Tuo fratello è bandito per decreto: se tu t’inchini e preghi e piangi per luiti scaccio di tra i piedi come un cane randagio. SappiCesare non fa tortiné senza ragione si lascia persuadere.

METELLO: Non vi è voce più degna della miache suoni più dolcemente all’orecchio del gran Cesare per ottenere il richiamo del mio fratello bandito?

BRUTO: Ti bacio la manoma non per adulazioneo Cesareimpetrando da te che Publio Cimbro possa avere immediato e libero richiamo.

CESARE: Come? Bruto?

CASSIO: PerdonoCesare; Cesareperdono; giù fino ai tuoi piedi Cassio cadead implorare la reintegrazione di Publio Cimbro.

CESARE: Ben potrei essere commossose io fossi come voi; se sapessi pregare per commuoverele preghiere mi commoverebbero; ma io sono costante come la stella del settentrione che per la sua fissità ed immobilità non ha compagna nel firmamento. I cieli sono dipinti con innumerevoli scintille; tutte sono fuoco ed ognuna brilla; ma non v’è che una tra tutte che tenga il suo posto: così nel mondo: esso è ben fornito di uominie gli uomini sono carne e sangue e dotati di intelletto; eppure tra tutti io non conosco che uno solo cheinespugnabilestia saldo al suo luogo non scosso da moto alcuno: e questi sono io; lasciate che io lo dimostri un pocoanche in questoche fui costante al mio proposito che Cimbro fosse banditoe costante io rimango nel mantenerlo così.

CINNA: O Cesare…

CESARE: Viavuoi tu sollevare l’Olimpo?

DECIO: Gran Cesare…

CESARE: Non s’inginocchia Bruto invano?

CASCA: Parlateo maniper me!

 

(Casca pugnala Cesare nel collo. Cesare gli afferra il braccio. Egli è pugnalato da altri Cospiratori e per ultimo da Marco Bruto)

 

CESARE: “Et tu Brute?” Alloracadio Cesare!

 

(Muore. I Senatori e il Popolo si ritirano in confusione)

 

CINNA: Libertà! Indipendenza! La tirannia è morta! Via! proclamatelogridatelo per le strade.

CASSIO: Qualcuno vada ai rostri pubblici e gridi: “Libertàindipendenzaaffrancamento!”.

BRUTO: Popolo e senatorinon temete; non fuggite; fermi: è pagato il debito dell’ambizione.

CASCA: Andate al rostroBruto.

DECIO: E Cassio pure.

BRUTO: Dov’è Publio?

CINNA: Quiatterrito da questa ribellione.

METELLO: State saldi assiemepel timore che qualche amico di Cesare per caso…

BRUTO: Non parlate di stare. Publiosiate tranquillo: nessun male è inteso alla vostra persona né ad alcun altro romano: così dite loroPublio.

CASSIO: E lasciateciPublioché il popoloscagliandosi contro di noinon offenda la vostra vecchiaia.

BRUTO: Lasciatecie che nessuno risponda di questa impresa altri che noi che ne siamo gli autori.

 

(Rientra TREBONIO)

 

CASSIO: Dov’è Antonio?

TREBONIO: E’ fuggito a casa sbigottito: uominidonne e bimbi sbarrano gli occhi e gridano e corrono come se fosse il giorno del Giudizio.

BRUTO: O Fatisapremo le vostre volontà: che noi morremo lo sappiamo; non è che dell’ora e del prolungare i giorni che gli uomini si curano.

CASSIO: Anzi! Colui che toglie vent’anni alla vita ne toglie altrettanti al timore della morte.

BRUTO: Concedi questo e allora la morte è un benefizio: così noi siamo gli amici di Cesareavendo abbreviato i suoi anni di timor di morte.

ChinateviRomanichinatevie bagnamoci le mani nel sangue di Cesare fino ai gomiti e imbrattiamone le nostre spadee quindi andiamo fino al Foroebrandendo le rosse armi sopra alle nostre testegridiamo tutti: “Pacelibertàindipendenza!”.

CASSIO: Chinatevidunquee bagnamoci. Per quante età future questa nostra grandiosa scena sarà rivissutain Stati ancora da nascerein accenti ancora ignoti!

BRUTO: Quante volte per giuoco Cesare sanguineràcolui che ora giace lungo il piedistallo di Pompeoe non vale più della polvere!

CASSIO: E quante volte ciò avverràaltrettante il nostro manipolo sarà detto di coloro che diedero la libertà alla patria.

DECIO: Dunquedobbiamo andare fuori?

CASSIO: Sìtutti via. Bruto guideràe noi onoreremo le sue orme come i più arditi ed i migliori animi di Roma.

 

(Entra un Servo)

 

BRUTO: Piano! Chi viene qua? Un amico di Antonio.

SERVO: Cosìo Brutoil mio padrone volle che m’inginocchiassi; così Marc’Antonio volle che mi prostrassi; eprostratocosì volle che dicessi: Bruto è nobilesaggiovaloroso ed onesto: Cesare era grandevalorosoregale ed amorevole: di’ che io amo Bruto e che l’onoro; di’ che io temevo Cesarel’onoravo e lo amavo; se Bruto vorrà concedere che Antonio possa sicuramente venire a lui e rendersi ragione perché Cesare abbia meritato di giacer mortoMarc’Antonio non amerà Cesare morto sì caramente quanto Bruto da vivo; ma seguirà le sorti e i casi del nobile Bruto attraverso i rischi di questo nuovo inesplorato mondo con salda fede. Così dice il mio padrone Antonio.

BRUTO: Il tuo padrone è un saggio e valoroso romanomai non pensai meno di lui. Digli che se a lui piace venire in questo luogo egli sarà soddisfatto; esul mio onorene partirà incolume.

SERVO: Lo condurrò subito.

 

(Esce)

 

BRUTO: So che lo avremo per buon amico.

CASSIO: Vorrei averlo: eppure il mio cuore lo teme assaied il mio cattivo presentimento coglie troppo spesso nel segno.

 

(Rientra ANTONIO)

 

BRUTO: Ma ecco viene Marc’Antonio. BenvenutoMarc’Antonio.

ANTONIO: O possente Cesare! Giaci tu sì basso? Sono tutte le tue conquistele tue gloriei trionfile spoglieridotte a sì piccola misura? Addio. Non sosignoriquali siano le vostre intenzionia chi altri debba essere cavato sanguechi altri cresca tropp’alto: se a menon v’è ora più adatta dell’ora della morte di Cesarené alcuno strumento per metà sia degno quanto codeste vostre spadearricchite dal più nobile sangue di questo mondo. Io vi scongiurose male mi sopportateoramentre le vostre imporporate mani fumano e vaporanodi compiere la vostra volontà. Vivessi mill’anninon mi troverò sì pronto a morire: luogo alcuno non mi piacerà mai tantomezzo alcuno di mortequanto qui accanto a Cesaree da voi uccisoi più eletti spiritii maestri di questi tempi.

BRUTO: O Antonionon chiedete a noi la vostra morte. Benché ora dobbiamo sembrare sanguinari e crudeliquali dalle nostre mani e per questo atto vedete che sembriamotuttavia voi non vedete che le nostre mani e questa sanguinosa impresa che esse hanno compiuto: i nostri cuori voi non li vedete: essi sono pieni di pietàed è la pietà per i torti sofferti da Romacome il fuoco scaccia il fuocoe la pietà la pietàche è rea di questa azione su Cesare. Rispetto a voiper voi le nostre spade hanno punte di piomboo Marc’Antoniole nostre braccia ed i nostri cuoridi fraterna tempra in quanto a capacità di odiovi accolgono con ogni gentile affettocon buoni pensieri e riverentemente.

CASSIO: La vostra voce sarà autorevole come quella di qualunque altro uomo nella distribuzione dei nuovi onori.

BRUTO: Pazientate solo finché abbiamo placato la moltitudinefuori di sé dallo spaventoe quindi noi vi esporremo la ragione per la quale ioche amavo Cesare allorché lo colpiiho agito così.

ANTONIO: Non dubito della vostra saggezza. Che ogni uomo mi tenda la sua insanguinata mano: per primoMarco Brutola stringerò a voi; quindiCaio Cassioa voi prendo la mano; oraDecio Brutola vostra; ora la vostraMetello; la vostraCinna; emio valoroso Cascala vostra; se pur per ultimonon però minore nel mio affettola vostrabuon Trebonio. Signori tuttiahimèche dirò? Il mio credito posa ora su basi sì instabili che in una di due cattive luci dovete considerarmio quale vigliaccoo quale adulatore. Che io ti amassiCesareohè vero: se dunque la tua anima ci guarda adessonon ti dorrà più crudamente ancora della tua morte il vedere il tuo Antonio far la pace e stringere le insanguinate dita dei tuoi nemicio nobilissimoin presenza della tua spoglia? Avessi io tanti occhi quante tu hai feriteche versassero lacrime così copiosamente come queste versano il tuo sangueciò meglio mi si converrebbe che di unirmi con legami di amicizia con i tuoi nemici. PerdonamiGiulio!

Qui fosti tenuto a badavaloroso cervo; qui cadesti e qui stanno i tuoi cacciatori macchiati delle tue spoglie ed arrossati del tuo sangue. O mondotu fosti la foresta di questo cervo; e questi inveroo mondofu il tuo nervo. Quanto simile a un cervo colpito da molti principi tu giaci qui!

CASSIO: Marc’Antonio…

ANTONIO: PerdonatemiCaio Cassio: questo diranno i nemici di Cesare; equindiin bocca ad un amiconon sembra che fredda moderazione.

CASSIO: Non vi rimprovero per avere così lodato Cesare; ma quale patto intendete stringere con noi? Volete essere segnato nell’elenco dei nostri amici o dobbiamo procedere nel nostro cammino e non contare su di voi?

ANTONIO: Per questo io vi ho stretto la mano; ma sono statoinveroportato a divagare nell’abbassare lo sguardo su Cesare. Amico sono di voi tuttie tutti vi amo; con questa speranzache voi mi direte le ragioni perché e come Cesare era pericoloso.

BRUTO: Altrimenti questo sarebbe un barbaro spettacolo: le nostre ragioni sono sì degne di considerazioneche se voiAntoniofoste il figlio di Cesarene rimarreste soddisfatto.

ANTONIO: Questo è tutto quello che cerco: e inoltre vi supplico che io possa portare fuori il corpo sulla piazza del Foro edal rostrocome conviene ad un amicoparlare nel corso del suo funerale.

BRUTO: Lo fareteMarc’Antonio.

CASSIO: Brutouna parola a voi. (A parte) Non sapete ciò che fate:

non acconsentite a che Antonio parli al suo funerale: sapete fino a che punto il popolo può essere mosso da ciò che egli dirà?

BRUTO: Perdonatemiio stesso salirò per primo al rostroe dimostrerò la ragione della morte del nostro Cesare: quanto a ciò che Antonio diràdichiarerò che parla con nostro consenso e permesso; e che a noi piace che a Cesare siano concessi tutti i dovuti riti e le cerimonie legali. Ciò ridonderà a nostro vantaggiopiù che screditarci.

CASSIO: Non so che cosa potrà accadere; a me non piace.

BRUTO: Marc’Antonioquaprendete il corpo di Cesare. Nella vostra orazione funebre non biasimerete noibensì direte tutto il bene che potete di Cesare; e dite che lo fate col nostro permessoaltrimenti non avrete parte alcuna nel suo funerale; e parlerete dallo stesso rostro al quale io vadoe quando il mio discorso sarà terminato.

ANTONIO: Così sia; di più non desidero.

BRUTO: Preparate il corpoadunquee seguiteci.

 

(Escono tuttieccetto Antonio)

 

ANTONIO: Ohperdonamitu insanguinata zolla di terrase io sono umile e benigno con questi carnefici! Tu sei la rovina del più nobile uomo che mai visse nella vicenda dei tempi. Guai alle mani che versarono questo prezioso sangue! Sulle tue ferite ora io profetizzo – ferite che quali mute bocche dischiudono le loro rosse labbra ad implorare la voce e l’accento della mia lingua che una maledizione ricadrà sulle membra degli uomini; il furore intestino e la feroce lotta civile strazieranno ogni parte d’Italia; il sangue e la rovina saranno così comuni e gli spaventosi spettacoli così familiari che le madri non sapran che sorridere nel mirare i loro bimbi squartati dagli artigli della guerra; ogni pietà sarà soffocata dall’abito delle truci gesta; e lo spirito di Cesarevagante in cerca di vendettacon al suo fianco Ate uscita infocata dall’infernoentro questi confini con voce di monarca griderà “Sterminio”e scioglierà i mastini della guerracosì che questa infame impresa ammorberà la terra col puzzo delle carogne umane gementi per la sepoltura.

 

(Entra un Servo)

 

Tu servi Ottavio Cesarenon è vero?

SERVO: SìMarc’Antonio.

ANTONIO: Cesare gli scrisse di venire a Roma.

SERVO: Egli ha ricevuto la lettera e viene; e mi ordinò di dirvi a voce… O Cesare!

 

(Vedendo il corpo)

 

ANTONIO: Il tuo cuore è gonfio; va’ritirati in disparte e piangi. La commozioneio vedoè contagiosaché i miei occhinel vedere quelle perle del dolore nei tuoihan cominciato ad inumidirsi. Viene il tuo padrone?

SERVO: Egli pernotta questa sera a sette leghe da Roma.

ANTONIO: Ritorna velocemente e digli ciò che è accaduto: qui v’è una Roma in luttouna Roma pericolosanon ancora una Roma sicura per Ottavio; va’ e digli così. Anzi fermati; non tornerai finché non ho portato questo corpo nel Foro: là tasterò nella mia orazione in qual modo il popolo prende il crudele atto di questi sanguinari; ed a seconda del modo tu significherai al giovane Ottavio come stanno le cose. Dammi una mano.

 

(Escono col corpo di Cesare)

 

 

 

SCENA SECONDA – Roma. Il Foro

 

 

(Entrano BRUTO e CASSIOed una folla di Cittadini)

 

I CITTADINI: Vogliamo avere soddisfazione; che ci venga data soddisfazione.

BRUTO: Allora seguitemie datemi ascoltoamici. Cassiovoi andate nell’altra stradadividiamo la folla. Coloro che vogliono udire me parlarerestino qui; coloro che vogliono sentire Cassiovadano con luie sarà resa pubblica ragione della morte di Cesare.

PRIMO CITTADINO: Io voglio sentire parlare Bruto.

SECONDO CITTADINO: Io voglio udire Cassiopoi paragoneremo le ragioni che ci rendono ascoltandole ora separatamente.

 

(Esce Cassio con alcuni dei Cittadini. Bruto sale al rostro)

 

TERZO CITTADINO: Il nobile Bruto è salito. Silenzio!

BRUTO: Siate pazienti sino alla fine. Romanicompatriottie amici!

uditemi per la mia causae fate silenzio per poter udire: credetemi per il mio onore; ed abbiate rispetto pel mio onore affinché possiate credere: giudicatemi nella vostra saggezzaed acuite il vostro ingegno affinché meglio possiate giudicare. Se vi è alcuno qui in questa assembleaalcun caro amico di Cesarea lui io dico che l’amore di Bruto per Cesare non era minore al suo. Se poi quell’amico domandi perché Bruto si sollevò contro Cesarequesta è la mia risposta: non che io amavo Cesare menoma che amavo Roma di più.

Preferireste che Cesare fosse vivo e morire tutti da schiavio che Cesare sia morto per vivere tutti da uomini liberi? In quanto Cesare mi amòio piango per lui; in quanto la fortuna gli arriseio ne godo; in quanto egli fu coraggiosoio l’onoro; ma in quanto egli fu ambiziosoio l’ho ucciso: vi sono lacrime per il suo amoregioia per la sua fortunaonore per il suo coraggioe morte per la sua ambizione. Chi v’è qui sì abietto che sarebbe pronto ad essere schiavo? Se vi è che parliperché lui io ho offeso. Chi vi è qui sì barbaro che non vorrebbe essere romano? Se vi è che parli; perché lui ho offeso. Chi vi è qui sì vile che non ami la sua patria? Se vi èche parliperché lui ho offeso. Aspetto una risposta.

I CITTADINI: NessunoBrutonessuno.

BRUTO: Allora nessuno io ho offeso. Non ho fatto di più a Cesare di quello che voi farete a Bruto. Il giudizio della sua morte è registrato in Campidoglio; la sua gloria non è attenuata per ciò in cui fu degnoné i suoi torti esagerati per i quali soffrì la morte.

 

(Entrano ANTONIO ed altricol corpo di Cesare)

 

Ecco che giunge il suo corpopianto da Marc’Antonioil qualebenché nessuna parte abbia avuto nella sua mortene riceverà il benefizioun posto nella repubblica; e chi di voi non riceverà altrettanto? Con questo io parto chécome io uccisi il mio miglior amico per il bene di Romaho lo stesso pugnale per me stessoquando piacerà alla mia patria di aver bisogno della mia morte.

TUTTI: ViviBruto! vivivivi!

PRIMO CITTADINO: Portatelo in trionfo alla sua casa.

SECONDO CITTADINO: Dategli una statua con i suoi antenati .

TERZO CITTADINO: Sia egli Cesare.

QUARTO CITTADINO: Le migliori qualità di Cesare saranno coronate in Bruto.

PRIMO CITTADINO: L’accompagneremo alla sua casa con grida e con clamori.

BRUTO: Compatrioti…

SECONDO CITTADINO: Pace! Silenzio: Bruto parla.

PRIMO CITTADINO: Paceoh!

BRUTO: Buoni compatriotilasciatemi partire soloeper amore miorestate qui con Antonio. Rendete gli onori alla salma di Cesareed onorate il suo discorso che mira a glorificare Cesaree che a Marc’Antonio con nostra licenza è concesso di fare. Vi suppliconon un solo uomo parta eccetto mefinché Antonio non abbia parlato.

 

(Esce)

 

PRIMO CITTADINO: Fermioh! Udiamo Marc’Antonio.

TERZO CITTADINO: Che salga sulla pubblica cattedra; l’udremo. Nobile Antoniosali.

ANTONIO: Per l’amore di Brutosono obbligato a voi.

QUARTO CITTADINO: Che dice egli di Bruto?

TERZO CITTADINO: Egli dice che per amore di Bruto si sente obbligato a noi tutti.

QUARTO CITTADINO: Sarà bene che egli non sparli di Bruto qui.

PRIMO CITTADINO: Questo Cesare era un tiranno.

TERZO CITTADINO: Davveroquesto è certo: siamo fortunati che Roma ne sia libera.

SECONDO CITTADINO: Silenzio! Udiamo ciò che Antonio può dire.

ANTONIO: O voigentili Romani…

PRIMO CITTADINO: Silenziooh! Udiamolo.

ANTONIO: AmiciRomanicompatriotiprestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesarenon a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così erafu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Quicol permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tuttitutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amicofedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Romail prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno piantoCesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; einveroBruto è uomo d’onore. Non parlonoper smentire ciò che Bruto dissema qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una voltané senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O sennotu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me.

PRIMO CITTADINO: Mi pare che vi sia molta ragione nelle sue parole.

SECONDO CITTADINO: Se tu consideri bene la cosaa Cesare è stato fatto gran torto.

TERZO CITTADINO: Vi sembrasignori? Temo che uno peggiore di lui verrà al suo posto.

QUARTO CITTADINO: Avete notato le sue parole? Non volle accettare la corona: è quindi certo che non era ambizioso.

PRIMO CITTADINO: Se si troverà che è così qualcuno la pagherà ben cara.

SECONDO CITTADINO: Pover uomo! I suoi occhi sono rossi come il fuoco dal piangere.

TERZO CITTADINO: Non v’è uomo a Roma più nobile di Antonio.

QUARTO CITTADINO: Oraosservateloricomincia a parlare.

ANTONIO: Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace làe non v’è alcunoper quanto bassoche gli renda onore. O signorise io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furorefarei un torto a Bruto e un torto a Cassioi qualilo sapete tuttisono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defuntofar torto a me stesso e a voiche far torto a sì onorata gente. Ma qui è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio S il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamentocheperdonatemiio non intendo di leggeree andrebbero a baciar le ferite del morto Cesareed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzichiederebbero un capello per ricordo emorendone farebbero menzione nel loro testamentolasciandoloricco legatoalla prole.

PRIMOCITTADINO: Vogliamo udire il testamento: leggeteloMarc’Antonio.

I CITTADINI: Il testamentoil testamento! Vogliamo udire il testamento di Cesare.

ANTONIO: Pazienzagentili amicinon debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legnonon siete di pietrama uominie essendo uominie udendo il testamento di Cesareesso v’infiammerebbevi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; chése lo sapeste ohche ne seguirebbe!

QUARTO CITTADINO: Leggete il testamento; vogliamo udirloAntonio; dovete leggerci il testamentoil testamento di Cesare.

ANTONIO: Volete pazientare? Volete attendere un poco? Ho sorpassato il segno nel parlarvene. Temo di far torto agli uomini d’onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare; inverolo temo.

QUARTO CITTADINO: Erano traditori: che uomini d’onore!

I CITTADINI: Il testamento! Il testamento!

SECONDO CITTADINO: Erano canaglieassassini: il testamento! Leggete il testamento!

ANTONIO: M’obbligate dunque a leggere il testamento? E allora fate cerchio attorno al corpo di Cesaree lasciate che io vi mostri colui che fece il testamento. Debbo scendere? E me lo permettete?

I CITTADINI: Venite giù!

SECONDO CITTADINO: Scendete.

TERZO CITTADINO: Avrete il permesso.

 

(Antonio scende)

 

QUARTO CITTADINO: In cerchiostate intorno.

PRIMO CITTADINO: Lontani dalla bara; lontani dal corpo.

SECONDO CITTADINO: Fate posto ad Antonioal nobilissimo Antonio.

ANTONIO: Nonon vi affollate intorno a me; state lontani.

I CITTADINI: State indietro! Posto! Andate indietro!

ANTONIO: Se avete lacrimepreparatevi a spargerle adesso. Tutti conoscete questo mantello: io ricordo la prima volta che Cesare lo indossò: era una serata estivanella sua tendail giorno in cui sconfisse i Nervii: guardatequi il pugnale di Cassio l’ha trapassato: mirate lo strappo che Casca nel suo odio vi ha fatto:

attraverso questo il ben amato Bruto l’ha trafitto; e quando tirò fuori il maledetto acciaioguardate come il sangue di Cesare lo seguìquasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no Bruto che così rudemente bussava; perché Brutocome sapeteera l’angelo di Cesare: giudicateo dèiquanto caramente Cesare lo amava! Questo fu il più crudele colpo di tuttiperché quando il nobile Cesare lo vide che ferival’ingratitudinepiù forte delle braccia dei traditoricompletamente lo sopraffece: allora si spezzò il suo gran cuore; enascondendo il volto nel mantelloproprio alla base della statua di Pompeoche tutto il tempo s’irrorava di sangueil gran Cesare cadde. Ohqual caduta fu quellamiei compatrioti!

Allora io e voi e tutti noi cademmomentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Ohora voi piangete; em’accorgovoi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentilicome? piangete quando non vedete ferita che la veste di Cesare? Guardate quieccolo lui stessostraziato come vedetedai traditori.

PRIMO CITTADINO: O pietoso spettacolo!

SECONDO CITTADINO: O nobile Cesare!

TERZO CITTADINO: O infausto giorno!

QUARTO CITTADINO: O traditori! Canaglie!

PRIMO CITTADINO: O vista cruenta!

SECONDO CITTADINO: Vogliamo essere vendicati.

I CITTADINI: Vendetta! Attorno! Cercate! Bruciate! Incendiate!

Uccidete! Trucidate! Non lasciate vivo un solo traditore!

ANTONIO: Fermicompatrioti!

PRIMO CITTADINO: Silenziolà! Udite il nobile Antonio.

SECONDO CITTADINO: L’udremolo seguiremomorremo con lui!

ANTONIO: Buoni amicidolci amiciche io non vi sproni a così subitanea ondata di ribellione. Coloro che han commesso questa azione sono uomini d’onore; quali private cause di rancore essi abbianoahimèio ignoroche li hanno indotti a commetterla; essi sono saggi ed uomini d’onoreesenza dubbiocon ragioni vi risponderanno. Non vengoamicia rapirvi il cuore. Non sono un oratore com’è Bruto; bensìquale tutti mi conosceteun uomo semplice e francoche ama il suo amico; e ciò ben sanno coloro che mi han dato il permesso di parlare in pubblico di lui: perché io non ho né l’ingegnoné la facondiané l’abilitàné il gestoné l’accentoné la potenza di parola per scaldare il sangue degli uomini: io non parlo che alla buonavi dico ciò che voi stessi sapetevi mostro le ferite del dolce Cesarepoverepovere bocche mutee chiedo loro di parlare per me: ma se io fossi Brutoe Bruto Antonioallora vi sarebbe un Antonio che sommoverebbe gli animi vostri e porrebbe una lingua in ogni ferita di Cesarecosì da spingere le pietre di Roma a insorgere e ribellarsi.

I CITTADINI: Ci ribelleremo.

PRIMO CITTADINO: Bruceremo la casa di Bruto!

SECONDO CITTADINO: Via dunque! Venitesi cerchino i cospiratori!

ANTONIO: Ascoltatemi ancoracompatrioti; ancora uditemi parlare.

I CITTADINI: Silenziooh! Udite Antonioil nobilissimo Antonio.

ANTONIO: Amicivoi andate a fare non sapete che cosa. In che ha Cesare meritato il vostro amore? Ahimènon sapete: debbo dirvelo allora: avete dimenticato il testamento di cui vi parlavo.

I CITTADINI: Verissimoil testamento: restiamo ad udire il testamento.

ANTONIO: Ecco il testamentoe col sigillo di Cesare: ad ogni cittadino romano egli dàad ognuno individualmentesettantacinque dramme.

SECONDO CITTADINO: Nobilissimo Cesare! Vendicheremo la sua morte.

TERZO CITTADINO: O regale Cesare!

ANTONIO: Ascoltatemi con pazienza.

I CITTADINI: Zittioh!

ANTONIO: Inoltreegli vi ha lasciato tutti i suoi passeggile sue private pergole e gli orti nuovamente piantatial di qua del Tevere; egli li ha lasciati a voi ed ai vostri eredi per sempre: pubblici luoghi di piacereper passeggiare e per divertirvi. Questo era un Cesare! Quando ne verrà un altro simile?

PRIMO CITTADINO: Giammaigiammai! Veniteviavia! Bruceremo il suo corpo nel luogo santoe con i tizzoni incendieremo le case dei traditori. Raccogliete il corpo.

SECONDO CITTADINO: Andate a prendere il fuoco.

TERZO CITTADINO: Abbattete le panche.

QUARTO CITTADINO:. Abbattete i sedilile finestreogni cosa.

 

(Escono i Cittadini col corpo)

 

ANTONIO: Ed orache la cosa vada avanti da sé. Malannotu sei scatenatoprendi il corso che vuoi.

 

(Entra un Servo)

 

Ebbenegiovane!

SERVO: SignoreOttavio è già arrivato Roma.

ANTONIO: Dov’è?

SERVO: Egli e Lepido sono in casa di Cesare.

ANTONIO: Ed ivi subito andrò a visitarlo: mi giunge a proposito. La fortuna è lieta e in questo umore ci concederà qualunque cosa.

SERVO: Ho udito dire che Bruto e Cassio han traversato cavalcando come pazzi le porte di Roma.

ANTONIO: Forse hanno avuto qualche notizia del popolocome io l’avevo commosso. Conducimi da Ottavio.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA – Roma. Una strada

 

 

(Entra CINNAil poeta)

 

CINNA: Ho sognato che stanotte banchettavo con Cesaree delle idee mi gravano sinistramente la fantasia: non ho alcuna volontà di andar vagando fuori di casaeppure qualcosa mi conduce fuori.

 

(Entrano Cittadini)

 

PRIMO CITTADINO: Il vostro nome?

SECONDO CITTADINO: Dove andate?

TERZO CITTADINO: Dove abitate?

QUARTO CITTADINO: Siete ammogliato o celibe?

SECONDO CITTADINO: Rispondete a ciascuno decisamente.

PRIMO CITTADINO: Sìe brevemente.

QUARTO CITTADINO: Sìe saggiamente.

SECONDO CITTADINO: Sìe veracementefarete bene.

CINNA: Il mio nome? Dove vado? Dove abito? Sono ammogliato o celibe?

Ebbene per rispondere ad ognuno decisamentee brevementee saggiamentee veracemente; saggiamente dicosono celibe.

SECONDO CITTADINO: Ciò che vorrebbe dire che sono sciocchi quelli che si ammogliano: vi prenderete un cazzotto da me per codeste paroleho paura. Continuatedecisamente.

CINNA: Decisamentevado al funerale di Cesare.

PRIMO CITTADINO: Come amicoo come nemico?

CINNA: Come amico.

SECONDO CITTADINO: A questa cosa avete risposto decisamente.

QUARTO CITTADINO: E la vostra abitazionebrevemente.

CINNA: Brevementeabito presso il Campidoglio.

TERZO CITTADINO: Il vostro nomesignoreveracemente.

CINNA: Veracementeil nome è Cinna.

PRIMO CITTADINO: Fatelo a pezziè un cospiratore.

CINNA: Sono Cinna il poetasono Cinna il poeta.

QUARTO CITTADINO: Fatelo a pezzi per i suoi pessimi versifatelo a pezzi per i suoi pessimi versi.

CINNA: Non sono Cinna il cospiratore!

QUARTO CITTADINO: Non importail suo nome è Cinna; strappategli solo il nome dal cuoree poi mandatelo per i fatti suoi.

TERZO CITTADINO: A pezzia pezzi! Venitedei tizzoniolà! Dei tizzoni accesi! Da Brutoda Cassiobruciate tutto. Alcuni vadano da Decioaltri da Cascaaltri da Ligario. Via! Andate!

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

 

 

SCENA PRIMA – Roma. Una stanza in casa di Antonio

 

(ANTONIOOTTAVIO e LEPIDOseduti ad un tavolo)

 

ANTONIO: Tutti questidunquemorranno; i loro nomi sono segnati.

OTTAVIO: Vostro fratello deve pure morire; acconsentiteLepido?

LEPIDO: Acconsento.

OTTAVIO: SegnateloAntonio.

LEPIDO: A condizione che non abbia a vivere Publiofiglio di vostra sorellaAntonio.

ANTONIO: Egli non vivrà: guardatecon un segno io lo condanno. MaLepidoandate a casa di Cesareportate qua il testamento e decideremo in qual modo togliere qualche onere dai legati.

LEPIDO: Bene! Vi ritroverò qui?

OTTAVIO: O qui o in Campidoglio.

 

(Esce Lepido)

 

ANTONIO: E’ questo un uomo da poco e meritevole di scarsa considerazionedegno di essere mandato in giro per commissioni: è giusto chediviso il mondo in tre partiegli debba figurare come uno dei tre che vi partecipano?

OTTAVIO: Tale lo avete consideratoed avete ascoltato il suo parere su chi doveva essere segnato per morirenella nostra condanna a morte e nella lista di proscrizione.

ANTONIO: Ottavioio ho visto più giorni di voi: e per quanto noi carichiamo tali onori su quest’uomoper alleggerirci di vari odiosi fardelliegli non li porterà che come l’asino porta l’oroper gemere e per sudare nella bisognaguidato o spintoa seconda che noi indichiamo la strada; e quando avrà portato il nostro tesoro ove vogliamoallora gli togliamo il fardelloe lo scacciamo come un asino scarico a scuotere le orecchie e pascolare nei pubblici prati.

OTTAVIO: Fate pure come volete: ma egli è soldato provato e valoroso.

ANTONIO: Così pure è il mio cavalloOttavioe per questo io gli concedo abbastanza di foraggio: è una creatura alla quale io insegno a combatterea voltarea fermarsiad andare diritto in avantiessendo i suoi movimenti fisici governati dalla mia mente. Ein un certo modoLepido non è altro che questo; deve essere istruito ed ammaestrato e diretto; è uomo dall’ingegno sterileuno che si pasce di rifiutidi rimasugli e di imitazionile quali cosefuori uso e rese trite dagli altri uominisono di ultima moda per lui; non parlate di luise non come di uno strumento. Ed oraOttavioascoltate grandi cose: Bruto e Cassio stanno arruolando truppe:

dobbiamo subito raccogliere forze: quindiche la nostra alleanza sia conclusai nostri migliori amici rinsaldatie i nostri migliori mezzi sfruttati; e subito andiamo a sederci in consiglio per decidere come le trame segrete possano meglio essere scoperte e gli aperti pericoli fronteggiati.

OTTAVIO: Facciamo così; ché siamo come l’orso legato al palo e attorniati da molteplici nemici; e alcuni di quelli che sorridono hanno in cuoreio temomilioni di mali propositi.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA – Davanti alla tenda di Bruto nell’accampamento presso Sardi

 

 

(Tamburo. Entrano BRUTOLUCILLOLUCIO e Soldati; TITINIO e PINDARO li incontrano)

 

BRUTO: Alto là!

LUCILLO: Date la parola d’ordinelà; alt!

BRUTO: Che c’èLucillo? E’ vicino Cassio?

LUCILLO: Egli è qui appresso; e Pindaro è venuto per salutarvi da parte del suo padrone.

BRUTO: Egli mi onora. Il vostro padronePindaroper cambiamento avvenuto in luioppure per colpa di cattivi ufficialimi ha dato ragione per desiderare che certe cose fatte fossero disfatte: mase egli è qui pressone riceverò spiegazione.

PINDARO: Non dubito che il nobile padrone apparirà quale egli èdegno di rispetto ed uomo d’onore.

BRUTO: Non vi è dubbio su lui. Una parola Lucillo: informatemi come egli vi ha ricevuto

LUCILLO: Con sufficiente cortesia e rispetto; ma non con quella affettuosa premurané con quel conversare libero ed amichevole come soleva una volta.

BRUTO: Tu hai descritto un caro amico che va intiepidendo: nota sempreLucilloche quando l’amore comincia a passare e ad affievolirsi fa uso di una cortesia sforzata. Non vi sono artifizi nella fede schietta e semplicema gli uomini insincericome cavalli focosi guidati a manofanno gran sfoggio del loro ardoree danno belle promesse; ma quando dovrebbero sopportare il sanguinoso sproneabbassano la crestaecome ronzini ingannatorifalliscono la prova si avvicina il suo esercito?

LUCILLO: Intendono questa notte di alloggiare a Sardi; la maggior partetutta la cavalleriaè venuta con Cassio.

 

(Si suona una marcia di dentro)

 

BRUTO: Ascoltate! E’ arrivato. Andate piano avanti ad incontrarlo

 

(Entrano CASSIO e Soldati)

 

CASSIO: Alto là!

BRUTO: Alto là! Passate la parola d’ordine.

PRIMO SOLDATO: Alt!

SECONDO SOLDATO: Alt!

TERZO SOLDATO: Alt!

CASSIO: Nobilissimo fratellomi avete fatto un torto.

BRUTO: Giudicatemio dèi! Ho fatto mai un torto ai miei nemici? ese nocome potrei fare un torto ad un fratello?

CASSIO: Brutoquesto vostro sereno aspetto nasconde delle offese; e quando le commettete…

BRUTO: Cassiocalmatevi: esponete le vostre lagnanze a bassa voce:

ben vi conosco; sotto gli occhi di ambedue i nostri eserciti quiche non dovrebbero vedere che amore tra noinon disputiamo: ordinate loro di allontanarsie quindi nella mia tendaCassiosfogate le vostre lagnanzeed io vi darò ascolto.

CASSIO: Pindaroordinate ai nostri comandanti di ritirare le loro truppe alquanto da questo luogo.

BRUTO: Luciofate voi altrettanto; e che nessun uomo venga alla nostra tendafinché non avremo terminato la nostra conferenza.

Lucillo e Titiniostate a guardia della porta.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA – Dentro la tenda di Bruto

 

 

(Entrano BRUTO e CASSIO)

 

CASSIO: Che mi avete offesorisulta da questo: avete condannato e macchiato d’infamia Lucio Pella per avere accettato donativi qui dai Sardiani; così che le mie lettere intercedenti per luidacché conoscevo l’uomofurono sprezzantemente tenute in non cale.

BRUTO: Faceste torto a voi stesso con lo scrivere in simile caso.

CASSIO: In tempi come questi non è opportuno che ogni benché lieve colpa sia ripresa.

BRUTO: Lasciate che io vi dicaCassiovoivoi stessosiete molto rimproverato di avere una mano pruriginosadi vendere e mercanteggiare per oro le cariche con degli immeritevoli.

CASSIO: Iouna mano pruriginosa! Sapete di essere Bruto che parla cosìoper gli dèi queste sarebbero le vostre ultime parole.

BRUTO: Il nome di Cassio onora questa corruzione e quindi il castigo nasconde il suo volto.

CASSIO: Il castigo!

BRUTO: Ricordatevi di marzoricordatevi delle Idi di marzo: il gran Giulio non sanguinò in nome della giustizia? Quale scellerato toccò il suo corpo e colpì se non in nome della giustizia? Come! Deve uno di noiche colpì il primo uomo del mondosolo perché proteggeva dei ladridobbiamo noi ora insozzare le nostre mani con vili doni e vendere l’àmbito immenso dei nostri vasti onori per tanto vile metallo quanto si può afferrare così? Preferirei essere un cane ed abbaiare alla luna piuttosto che un simile romano.

CASSIO: Non mi tormentateBruto; non lo sopporterò: voi perdete la testa contrariandomi: sono soldatoiopiù vecchio d’esperienzapiù capace di voi nel disporre degli uffici.

BRUTO: Via! Non siete cosìCassio.

CASSIO: Sono così.

BRUTO: Vi dico che non siete così.

CASSIO: Non mi provocate piùo io posso dimenticare me stesso; pensate alla vostra salvezza: non mi eccitate più oltre.

BRUTO: Viauomo da poco!

CASSIO: E’ possibile?

BRUTO: Ascoltatemigiacché voglio parlare. Debbo io cedere e dare posto alla vostra sconsigliata collera? Debbo spaventarmi quando un pazzo sbarra gli occhi?

CASSIO: O dèio dèi! Debbo sopportare tutto questo?

BRUTO: Tutto questo! E più ancora: arrovellatevi finché non vi si spezzi l’orgoglioso cuore; andatemostrate ai vostri schiavi quanto siete rabbioso e fate tremare i vostri servi. Debbo io cedere? Debbo io assecondare le vostre voglie? Debbo io genuflettermi davanti al vostro umore collerico? Per gli dèidigerirete da voi il veleno della vostra collera anche se vi fa scoppiare; chéda oggi in poivi terrò pel mio divertimentosìper riderci sopraquando siete d’umore irascibile.

CASSIO: Siamo giunti a questo?

BRUTO: Voi dite di essere un migliore soldato: che si veda; mettete in atto il vostro vanto e ne godrò: per conto mio sarò felice di imparare da uomini nobili.

CASSIO: Mi fate torto in tutti i modimi fate tortoBruto; ho dettoun soldato più anzianonon migliore: ho forse detto “migliore”?

BRUTO: Se l’avete dettonon m’importa.

CASSIO: Quando Cesare viveva non avrebbe osato provocarmi così.

BRUTO: Bastabasta! Non avreste osato voi provocarlo così.

CASSIO: Non avrei osato?

BRUTO: No.

CASSIO: Comenon avrei osato provocarlo?

BRUTO: Non l’avreste osato per la vostra vita.

CASSIO: Non confidate troppo nel mio amore. Potrei fare quello di cui poi mi pentirei.

BRUTO: Avete fatto ciò di cui dovreste pentirvi. Non v’è terrore per meCassionelle vostre minacceperché io sono sì fortemente armato di onestàche esse mi passano accanto come il vento vano a cui io non bado. Io mandai a voi per certe somme d’oro che voi mi rifiutasteperché io non so raccogliere denaro con mezzi indegni: pel cielopreferirei coniare dentro dal mio cuoree versare il mio sangue in dramme all’estorcere dalle callose mani di contadini il loro vile gruzzolo per vie illecite; mandai a voi a chieder dell’oro per pagare le mie legioniche voi mi negaste: fu questo degno di Cassio? Avrei io così risposto a Caio Cassio? Quando Marco Bruto diventa così avaro da negare questi miserabili gettoni ai suoi amicisiate prontio dèicon tutte le vostre folgori a farlo a pezzi.

CASSIO: Non ve li negai.

BRUTO: Li negaste.

CASSIO: Non li negai: stolto fu colui che riportò la mia risposta.

Bruto mi ha spezzato il cuore: un amico dovrebbe sopportare le debolezze dell’amicoma Bruto fa le mie più grandi che non siano.

BRUTO: No; non lo facciofinché non le praticate su me.

CASSIO: Voi non mi amate.

BRUTO: Non amo i vostri difetti.

CASSIO: Un occhio amico mai non vedrebbe simili difetti.

BRUTO: Quello di un adulatore non li vedrebbeanche se apparissero grandi quanto l’alto Olimpo.

CASSIO: VieniAntoniovienigiovane Ottavioe vendicatevi solo su Cassioché Cassio è stanco di questo mondoodiato da colui che egli ama; sfidato dal suo fratello; rimproverato come uno schiavo; tutti i suoi difetti osservatinotati in un taccuinostudiati ed imparati a memoria per essermi rinfacciati. Oh! potrei piangere l’anima mia dagli occhi! Qua è il mio pugnalee qua il mio petto ignudo; dentroun cuore più prezioso delle miniere di Plutopiù ricco dell’oro; se tu sei un romanostrappalo; ioche ti negai l’oroti darò il mio cuore: colpisci come colpisti Cesare; perché io so che quanto tu più l’odiavilo amavi più di quel che mai tu abbia amato Cassio.

BRUTO: Ringuainate il pugnale: montate in collera quando voletela vostra rabbia avrà sfogo; fate ciò che vi aggradail vostro disonore sarà per me frutto di temperamento. O Cassiosiete legato al giogo con un agnello che porta rabbia come la pietra focaia il fuocola qualeviolentemente colpitamostra una fuggevole scintilla e subito è di nuovo fredda.

CASSIO: Ha Cassio vissuto tanto da non essere che zimbello e ragione di riso per il suo Brutoquando dolore e malumore lo tormentano?

BRUTO: Quando dissi codestoanch’io ero di malumore.

CASSIO: Confessate tanto? Datemi la mano.

BRUTO: Ed anche il cuore.

CASSIO: O Bruto…

BRUTO: Che cosa?

CASSIO: Non avete amore abbastanza per sopportarmi quando quel focoso temperamento che mia madre mi dette mi rende dimentico?

BRUTO: SìCassio: e d’ora innanziquando sarete troppo vivace col vostro Brutoegli penserà che sia vostra madre che strepita e vi lascerà dire.

 

(Rumore di dentro)

 

POETA (di dentro): Lasciatemi entrare a vedere i generali. Vi è del rancore tra di loro e non è opportuno che stiano soli.

LUCILLO (di dentro): Non giungerete a loro.

POETA (di dentro): Solo la morte me l’impedirà.

 

(Entra il Poeta seguito da LUCILLOTITINIO e LUCIO)

 

CASSIO: Ebbene? Che cosa c’è?

POETA: Vergogna a voi generali! Che intenzioni avete?

Tra due par vostri siano amore e affetto Ché più anni di voi sa questo petto.

CASSIO: Ahah! Che pessime rime fa questo cinico!

BRUTO: Andate viagaglioffo; viaimpertinente.

CASSIO: TollerateloBrutoè il suo modo di fare.

BRUTO: Saprò tollerare i suoi grilli quando egli sceglierà il momento opportuno. Che cosa hanno che fare le guerre con questi imbecilli versaioli? Viacialtrone!

CASSIO: Viaviaandatevene.

 

(Esce il Poeta)

 

BRUTO: Lucillo e Titinioordinate ai comandanti di prepararsi ad accantonare le loro truppe per stanotte.

CASSIO: E venite voi stessiinsieme portando Messalaimmediatamente da noi.

 

(Escono Lucillo e Titinio)

 

BRUTO: Luciouna coppa di vino!

 

(Esce Lucio)

 

CASSIO: Non credevo che poteste arrabbiarvi tanto.

BRUTO: O Cassiosono stanco per molti dolori.

CASSIO: La vostra filosofia non la mettete in praticase v’arrendete ai mali occasionali.

BRUTO: Nessuno sopporta meglio di me il dolore: Porzia è morta.

CASSIO: Come? Porzia?

BRUTO: Essa è morta!

CASSIO: Come non sono stato ucciso quando vi ho contrariato così? O insopportabilecommovente perdita! Di quale malattia?

BRUTO: Insofferente della mia assenza e per il dolore che il giovane Ottavio e Marc’Antonio siano divenuti così forti (perché con l’annunzio della morte vennero pure quelle nuove) per questo essa divenne pazzae in assenza dei serviinghiottì del fuoco

CASSIO: E così è morta?

BRUTO: Proprio così.

CASSIO: O dèi immortali!

 

(Rientra Lucio con vino e candele)

 

BRUTO: Non parlate più di lei. Dammi una coppa di vino. In questa seppellisco ogni rancoreCassio.

 

(Beve)

 

CASSIO: Il mio cuore è assetato di codesto nobile brindisi. Riempi la coppaLuciofinché il vino trabocchi: non posso berne troppodell’amore di Bruto.

 

(Beve)

 

BRUTO: EntrateTitinio.

 

(Esce Lucio. Rientra TITINIOcon MESSALA)

 

Benvenutobuon Messala. Sediamoci qui attorno a questo lume e discutiamo su ciò che dobbiamo fare.

CASSIO: Porzianon sei più?

BRUTO: Non piùvi prego. Messalaho ricevuto qui dei dispacci secondo i quali il giovane Ottavio e Marc’Antonio calano su di noi con un potente esercitodirigendo la loro marcia verso Filippi.

MESSALA: Io pure ho dispacci di identico tenore.

BRUTO: Con quali altri particolari?

MESSALA: Che per mezzo di proscrizioni e di decreti di bandoOttavioAntonio e Lepido hanno messo a morte cento senatori.

BRUTO: In questo i nostri dispacci non sono d’accordo; i miei parlano di settanta senatori che sono morti in seguito alle loro proscrizionie uno di essi è Cicerone.

CASSIO: Cicerone uno di essi?

MESSALA: Cicerone è morto e in seguito a quello stesso ordine di proscrizione. Avete lettere da vostra mogliesignore?

BRUTO: NoMessala.

MESSALA: Né alcuna notizia di lei nelle vostre lettere?

BRUTO: NullaMessala.

MESSALA: Questomi sembraè strano.

BRUTO: Perché lo domandate? Avete sentito qualche cosa di lei nelle vostre?

MESSALA: Nosignor mio.

BRUTO: Ebbenesiccome romanoditemi la verità.

MESSALA: Alloracome romanosopportate la verità che vi dico: ché certo essa è mortae in strano modo.

BRUTO: Ebbeneaddio Porzia. Dobbiamo morireMessala: col riflettere che una volta ella doveva morireho ora la forza per sopportarlo.

MESSALA: Così i grandi uomini dovrebbero sopportare le loro perdite.

CASSIO: In teoriaho altrettanta forza quanto voi; eppure la mia natura non potrebbe tollerarlo così.

BRUTO: Ebbenetorniamo al nostro lavoro di viventi. Che ne pensate di marciare subito su Filippi?

CASSIO: Non penso sia bene.

BRUTO: La vostra ragione?

CASSIO: E’ questa: è meglio che il nemico cerchi noi: così egli consumerà le sue forze e stancherà i suoi soldati danneggiando se stesso; mentre noirimanendo fermici riposiamo e siamo pronti alla difesa e liberi nei movimenti.

BRUTO: Le buone ragioni devono per forza cedere alle migliori. I popoli che abitano tra Filippi e questa regione non hanno per noi che una forzata affezionedacché ci hanno lesinato il loro contributo: il nemiconel marciare attraverso i loro paesirafforzerà con loro i suoi ranghi e giungerà più frescoaccresciuto di numero e incoraggiato; mentre di questo vantaggio noi lo priveremo se lo affrontiamo a Filippi con questa gente alle nostre spalle.

CASSIO: Ascoltatemimio buon fratello.

BRUTO: Perdonatemi. Dovete inoltre notare che noi abbiamo messo a prova i nostri amici fino all’ultimo limiteche le nostre legioni sono al completoe la nostra causa è matura: il nemico aumenta ogni giornoe noigiunti al nostro apicesiamo lì lì per declinare. Vi è una marea nelle cose degli uomini la qualese colta al flussomena al successo; se invece è neglettatutto il viaggio della loro vita resta arenato nei bassifondi e nelle disgrazie. Su tale mare libero ora galleggiamoe dobbiamo o seguire la corrente quando essa è propizia o perdere il nostro carico.

CASSIO: Ebbeneandate avanti come volete; andremo noi stessi e li incontreremo a Filippi.

BRUTO: La notte profonda ci ha sorpreso nella nostra discussione e la natura deve obbedire alla necessitàalla quale soddisferemo parcamente con un breve riposo. Altro non v’è da dire?

CASSIO: Null’altro. Buona notte: domani presto ci alzeremo e partiremo.

BRUTO: Lucio! (Rientra Lucio) La mia veste. (Lucio esce) Addiobuon Messala: buona notteTitinio. Nobilissimo Cassiobuona notte e buon riposo.

CASSIO: O caro fratello mio! E’ stato questo un brutto principio della notte; mai venga un simile dissidio tra le nostre anime! Mai non vengaBruto.

BRUTO: Tutto va bene.

CASSIO: Buona nottesignor mio.

BRUTO: Buona nottebuon fratello.

TITINIO e MESSALA: Buona notteBruto.

BRUTO: Addio a tutti.

 

(Escono CassioTitinio e Messala. Rientra LUCIO con la veste)

 

Dammi la veste. Dov’è il tuo strumento?

LUCIO: Qui nella tenda.

BRUTO: Come! parli con voce sonnolenta? Povero ragazzonon ti do torto; troppo hai vegliato. Chiama Claudio e altri dei miei uomini; li farò dormire su dei guanciali nella mia tenda.

LUCIO: VarroneClaudio!

 

(Entrano VARRONE e CLAUDIO)

 

VARRONE: Chiama il mio signore?

BRUTO: Vi pregosignoricoricatevi nella mia tenda e dormite; può darsi che io vi svegli più tardi per inviarvi da mio fratello Cassio per servizio.

VARRONE: Se non vi dispiacestaremo qua ed attenderemo il vostro comodo.

BRUTO: Non voglio così: coricatevibuoni signori; può darsi che io decida altrimenti. GuardaLucioecco il libro che tanto ho cercatol’avevo messo nella tasca della mia veste.

 

(Varrone e Claudio si sdraiano)

 

LUCIO: Ero sicuro che Vostra Signoria non me lo aveva dato.

BRUTO: Abbi pazienzabuon ragazzosono molto distratto. Puoi per un po’ tenere aperte le tue pesanti palpebre e sonare sul tuo strumento un’aria o due?

LUCIO: Sìpadron miose vi fa piacere.

BRUTO: Sì che mi fa piacereragazzo mio: ti disturbo troppoma tu sei volenteroso.

LUCIO: E’ il mio doveresignore.

BRUTO: Non dovrei insistere sul tuo dovere oltre le tue forze; so che i giovani hanno bisogno di riposo.

LUCIO: Ho già dormitosignor mio.

BRUTO: Hai fatto bene e ridormirai; non ti tratterrò molto: se io vivo sarò buono con te. (Musica e canzone) Questa è una melodia sonnolenta:

o mortifero sonno! colpisci tu con la plumbea mazza il mio paggio che ti suona la musica? Gentil fanciullobuona notte: non ti farò un così grande torto da svegliarti: se ti cade la testa nel sonnoromperai il tuo strumento; te lo toglieròebuon ragazzobuona notte. Vediamovediamo; non è piegata la pagina dove ho smesso di leggere? Ecco quimi sembra.

 

(Si siede. Entra lo Spettro di Cesare)

 

Come brucia male questo cero! Ah! Chi viene là? Penso sia la debolezza dei miei occhi che crea questa mostruosa apparizione. Si dirige su di me. Sei tu qualcosa? Sei tu un dioun angelo o un demonio che mi fai agghiacciare il sangue e rizzare i capelli? Dimmi che cosa sei.

SPETTRO: Il tuo cattivo genioBruto.

BRUTO: Perché vieni?

SPETTRO: Per dirti che mi rivedrai a Filippi.

BRUTO: Bene. Ti rivedrò dunque?

SPETTRO: Sìa Filippi.

BRUTO: Ebbene ti rivedrò a Filippidunque. (Lo Spettro svanisce) Ora che mi sono rinfrancatotu svanisci: spirito malignovorrei parlare ancora con te. Ragazzo! Lucio! Varrone! Claudio! Signorisvegliatevi!

Claudio!

LUCIO: Le cordesignor miosono stonate.

BRUTO: Crede di essere ancora a sonare. Luciosvegliati!

LUCIO: Signor mio?

BRUTO: SognaviLucioche hai gridato così?

LUCIO: Signor mionon so di aver gridato.

BRUTO: Sìl’hai fattohai visto nulla?

LUCIO: Nullasignor mio.

BRUTO: RiaddormentatiLucio. EhiClaudio! Tugiovanottosvegliati!

 

(A Varrone)

 

VARRONE: Signor mio?

CLAUDIO: Signor mio?

BRUTO: Perché avete gridato così nel sonno?

VARRONE e CLAUDIO: Abbiamo gridatosignor mio?

BRUTO: Sìavete visto nulla?

VARRONE: Nosignor mionon ho visto nulla.

CLAUDIO: Neppure iosignor mio.

BRUTO: Andate e salutatemi il mio fratello Cassio; ditegli di mettere in moto le sue truppe prestoprima delle nostree noi lo seguiremo.

VARRONE e CLAUDIO: Sarà fattosignore.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

 

 

SCENA PRIMA – La pianura di Filippi

 

(Entrano OTTAVIOANTONIO e il loro Esercito)

 

OTTAVIO: OraAntoniole nostre speranze si compiono: diceste che il nemico non sarebbe scesoma si sarebbe tenuto ai monti ed alle regioni più alte. Altrimenti avviene: i suoi eserciti sono viciniintendono invitarci a battaglia qui a Filippidando la risposta prima che noi abbiamo fatto la domanda.

ANTONIO: Macché! io sono nei loro cuorie so perché fanno così; sarebbero contenti di andare in altri luoghi; e discendono con pauroso ardirepensando con questa faccia di farci credere che hanno coraggio; ma non è vero.

 

(Entra un Messaggero)

 

MESSAGGERO: Preparatevigenerali: il nemico s’avanza con gagliardo aspetto; la sua sanguinosa insegna di battaglia è al ventoe occorre agire subito.

ANTONIO: Ottavioguidate le vostre forze lentamente avantisulla sinistra della pianura.

OTTAVIO: Io sulla destra; tieni tu la sinistra.

ANTONIO: Perché mi contrariate in questo frangente?

OTTAVIO: Non vi contrarioma farò così.

 

(Marcia)

 

 

(Tamburo. Entrano BRUTOCASSIO e il loro Esercito. LUCILLOTITINIOMESSALA ed altri)

 

BRUTO: Si fermano e vorrebbero parlamentare.

CASSIO: FermateviTitinio: dobbiamo farci avanti e parlare.

OTTAVIO: Marc’Antoniodobbiamo dare il segnale di battaglia?

ANTONIO: NoCesarerisponderemo al loro assalto. Avanzatevi; i generali vorrebbero parlare.

OTTAVIO: Non vi movete prima del segnale.

BRUTO: Parole prima dei colpi: non è verocompatriotti?

OTTAVIO: Non è che noi preferiamo le parolecome voi.

BRUTO: Le buone parole sono migliori dei cattivi colpiOttavio.

ANTONIO: Nel menare i vostri cattivi colpiBrutovoi date buone paroletestimonio lo squarcio che faceste nel cuore di Cesaregridando “Viva! AveCesare!”.

CASSIO: Antoniola natura dei vostri colpi è ancora sconosciutama quanto alle vostre paroleesse derubano le api d’Ibla e le lasciano senza miele.

ANTONIO: Ma non anche senza pungiglione?

BRUTO: Ohsìe anche senza voce; ché voi avete rubato il loro ronzìoAntonioe ben saggiamente minacciate prima di pungere.

ANTONIO: Scelleraticosì non facestequando i vostri infami pugnali cozzarono l’uno contro l’altro nei fianchi di Cesare: mostravate i denti come scimmie e strisciavate come canie v’inchinavate come schiavibaciando i piedi di Cesare; mentre il maledetto Cascacome un botolodal di dietro colpì Cesare nel collo. O adulatori!

CASSIO: Adulatori! OraBrutoringraziate voi stesso: questa lingua non avrebbe così offeso oggise Cassio avesse potuto prevalere.

OTTAVIO: Viaviaai fatti: se la discussione fa colare il sudorela prova cangerà questo in gocce più rosse. Guardate: io sfodero la spada contro i cospiratori; quando credete che questa spada sarà ringuainata? Maifin quando le trentatré ferite di Cesare non saranno ben vendicate o fin quando un altro Cesare non avrà aggiunto altro sangue alla spada dei traditori.

BRUTO: Cesaretu non puoi morire per la mano di traditoria meno che tu non li porti con te.

OTTAVIO: E così spero; io non sono nato per morire per la spada di Bruto.

BRUTO: Ohanche se tu fossi il più nobile della tua schiattagiovanottotu non potresti morire più onoratamente.

CASSIO: Uno scolaretto petulanteindegno di tanto onoreaccoppiato con un istrione e crapulone.

ANTONIO: Sempre il vecchio Cassio!

OTTAVIO: VeniteAntoniovia! La sfidatraditorinoi vi gettiamo in faccia: se osate combattere oggiscendete in campo o altrimentiquando ne avete il fegato.

 

(Escono Ottavio Antonio e il loro Esercito)

 

CASSIO: Ebbenesoffia orao vento; gonfiateonde; galleggiao nave! La tempesta è scatenata e tutto è arrischiato.

BRUTO: Oh! Lucilloascoltate; una parola con voi.

LUCILLO: Signore?

 

(Bruto e Lucillo parlano in disparte)

 

CASSIO: Messala!

MESSALA: Che dice il mio generale?

CASSIO: Messalaquesto è il mio giorno natalizio; proprio in questo giorno nacque Cassio. Dammi la manoMessala: sii tu testimone checontro la mia volontàcome accadde a Pompeosono costretto ad affidare al rischio di un’unica battaglia tutte le nostre libertà.

Sapete che io ero fautore di Epicuro e delle sue opinioni: ora cambio d’avviso e in parte presto fede a cose che presagiscono l’avvenire.

Venendo dai Sardisul nostro primo vessillo piombarono due grandi aquile: e lì si posarono ingozzando e cibandosi dalle mani dei nostri soldati; ed esse ci hanno accompagnato a Filippi: stamani sono volate via e sparite; ed al loro posto cornacchie e corvi e nibbi volano sopra alle nostre teste e guardano giù su di noicome se fossimo moribonde prede: le loro ombre sembrano un ben funesto baldacchinosotto al quale giace il nostro esercitopronto a rendere l’anima.

MESSALA: Non vi credete.

CASSIO: Io non vi credo che in parte; ché sono fresco di spirito e risoluto ad affrontare ogni pericolo con fermezza.

BRUTO: AppuntoLucillo.

CASSIO: Ed oranobilissimo Brutoche gli dèi oggi ci siano propiziaffinché possiamoda amici ed in pacepassare i nostri giorni fino alla vecchiaia! Ma dacché le umane cose permangono incerteconsideriamo il peggio che possa accadere. Se noi perdiamo questa battagliaallora è proprio questa l’ultima volta che parliamo insieme: che cosa dunque siete deciso a fare?

BRUTO: Ad agire secondo i principi di quella filosofia in virtù della quale condannai Catone per la morte che egli inflisse a se stesso; io non so comema trovo vile ed ignavoper il timore di ciò che può accadereil prevenire così il termine della vita: e mi armerò di pazienza per sottomettermi ai decreti di certi sublimi poteri che ci governano quaggiù.

CASSIO: Se dunque perdiamo questa battagliasiete contento di essere condotto in trionfo per le strade di Roma?

BRUTO: NoCassiono; non pensareo nobile romanoche Bruto mai andrà a Roma in ceppi: egli ha un animo troppo grande. Ma questo medesimo giorno deve terminare l’opera che le Idi di marzo incominciarono; e se ci ritroveremoio non so. Quindi prendiamo il nostro eterno commiato; per sempre e per sempreaddioo Cassio! Se ci rincontreremoebbenesorrideremo; se no ebbeneallora questo congedo sarà stato ben preso.

CASSIO: Per sempree per sempreaddioo Bruto! Se ci rincontreremocerto sorrideremo; se noè vero che questo congedo sarà stato ben preso

BRUTO: Ebbeneavanti. Ohse si potesse conoscereprima che vengala fine degli avvenimenti di quest’oggi! Ma basta che il giorno termini. E allora la fine sarà conosciuta. Veniteolà! Avanti!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA – La pianura ai Filippi. Il campo di battaglia

 

 

(Allarme. Entrano BRUTO e MESSALA)

 

BRUTO: GaloppagaloppaMessalagaloppae porta questi ordini alle legioni dall’altra parte. (Forti allarmi) Che avanzino subito; perché m’accorgo di una mancanza di slancio nell’ala di Ottavioe un sùbito impeto li sbaraglia. GaloppagaloppaMessala: che scendano tutti.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA – Un’altra parte del campo

 

 

(Allarme. Entrano CASSIO e TITINIO)

 

CASSIO: OhguardaTitinioguardafuggono gli infami! Io stesso sono divenuto nemico dei miei: questo mio alfiere qua stava fuggendo; ho ucciso il vigliacco e gli ho tolto lo stendardo.

TITINIO: O CassioBruto ha dato l’ordine troppo presto; eguadagnato qualche vantaggio su Ottaviotroppo prontamente l’ha sfruttato: i suoi soldati si sono gettati al saccheggiomentre noi siamo tutti circondati da Antonio.

 

(Entra PINDARO)

 

PINDARO: Fuggite più lontanosignor miofuggite più lontano; Marc’Antonio è fra le vostre tendesignor mio; fuggite dunquenobile Cassiofuggite lontano.

CASSIO: Questa altura è abbastanza lontana. GuardaguardaTitinio: sono quelle le mie tende ove vedo l’incendio?

TITINIO: Sìsignor mio.

CASSIO: Titiniose tu mi amimonta sul mio cavallo ed affonda nel suo fianco gli spronifinché ti abbia portato fino a quelle truppee qui di nuovo; che io possa essere sicuro se quelle truppe sono amiche o nemiche.

TITINIO: Sarò qui di ritorno veloce come il pensiero.

 

(Esce)

 

CASSIO: Va’Pindaromonta più susu quell’altura; la mia vista fu sempre corta; osserva Titinioe dimmi quel che noti nel campo. (Esce Pindaro) In questo giorno trassi il primo respiro: il ciclo è compiuto e dove cominciaili finirò; la mia vita ha fatto il suo corso.

Giovanequali notizie?

PINDARO (di dentro): O signor mio!

CASSIO: Quali notizie?

PINDARO (di dentro): Titinio è circondato da cavalieriche gli vanno incontro a briglia sciolta; ancora egli sprona: ora l’han quasi raggiunto. SuTitinio! ora alcuni smontano: ohegli pure smonta: egli è preso (clamori) e sentite! Gridano di gioia!

CASSIO: Scendinon guardare altro. O vigliacco che sono a viver tantoper vedere il mio migliore amico fatto prigioniero sotto i miei occhi.

 

(Rientra PINDARO)

 

Vieni quigiovane. In Partia ti presi prigioniero; enel risparmiarti la vitati feci giurare che qualunque impresa ti avessi ordinatol’avresti tentata. Vieni orae mantieni la tua parola; sii liberoorae con questa buona spadache trapassò le viscere di Cesarefruga in questo petto: non indugiarti a rispondere: quaprendi l’elsa; equando il mio volto è copertocome adessodirigi la spada. Cesaretu sei vendicatocon la stessa spada che ti uccise.

 

(Muore)

 

PINDARO: Cosìsono liberoeppure non lo sarei se avessi osato eseguire la mia volontà. OhCassio! Lontano da queste terre Pindaro fuggirà dove da alcun Romano non sarà mai notato.

 

(Esce)

 

 

(Rientrano TITINIO e MESSALA)

 

MESSALA: Non è che un contraccambioTitiniogiacché Ottavio è sgominato dalle forze del nobile Brutocome le legioni di Cassio da Antonio.

TITINIO: Queste nuove conforteranno molto Cassio.

MESSALA: Dove lo avete lasciato?

TITINIO: Tutto sconsolatocon Pindaro il suo schiavosu questa altura.

MESSALA: Non è quegli che giace al suolo?

TITINIO: Non giace come un vivente. O cuor mio!

MESSALA: Non è lui?

TITINIO: Noquesti fu luiMessalama Cassio non è più. O sole morentecome tu nei tuoi rossi raggi ti sprofondi nella notte così nel sangue rosso è tramontato il giorno di Cassio; il sole di Roma è tramontato. Il nostro giorno è finito; sopraggiungono nubi e piogge e pericoli; terminate sono le nostre gesta! La sfiducia nel mio successo fu causa di questo fatto.

MESSALA: La sfiducia nel buon successo fu causa di questo fatto. O odioso errorefiglio della malinconiaperché mostri agli animi impressionabili degli uomini le cose che non sono? O errorepresto concepitomai non giungi ad una felice nascitama uccidi la madre che ti ha generato!

TITINIO: EhiPindaro! Dove seiPindaro?

MESSALA: CercaloTitiniomentre io vado a trovare il nobile Brutoper conficcare queste nuove nel suo orecchio: ben posso dire conficcareperché il penetrante acciaio ed i dardi avvelenati sarebbero altrettanto benvenuti all’orecchio di Bruto quanto il racconto di questo spettacolo.

TITINIO: AndateMessalaed io nel frattempo cercherò Pindaro. (Esce Messala) Perché mi hai mandato fuorio valoroso Cassio? Non ho incontrato i tuoi amici? E non hanno essi posto sulla mia fronte questa corona di vittoria incaricandomi di dartela? Non hai udito le loro grida? Ahimè! tutto hai male interpretato! Ma tieniabbi questa corona sulla fronte; il tuo Bruto mi ha ordinato di dartela ed io eseguirò il suo ordine. Brutoaccorrie mira come onoravo Caio Cassio. Col vostro consensoo dèi: questo è atto da Romano: vienispada di Cassio e trova il cuore di Titinio.

 

(Muore)

 

 

(Allarme. Rientra MESSALA con BRUTOCATONE il giovaneSTRATONEVOLUNNIO e LUCILLO)

 

BRUTO: DovedoveMessalagiace il suo corpo?

MESSALA: Guardatelàe Titinio che lo piange.

BRUTO: La faccia di Titinio è rivolta in su.

CATONE: Egli si è ucciso.

BRUTO: O Giulio Cesaresei ancora potente! Il tuo spirito vaga intorno e volge le nostre spade contro le nostre stesse viscere.

 

(Allarmi in distanza)

 

CATONE: Valoroso Titinio! Guardate se non ha incoronato il morto Cassio!

BRUTO: Vivono altri due Romani pari a questi? Tu ultimo di tutti i Romaniaddio! E’ impossibile che mai Roma generi il tuo uguale.

Amicidebbo più lacrime a questo morto di quante voi mi vedrete mai pagare. Ne troverò il tempoCassione troverò il tempo. Venite dunquee mandate il suo corpo a Taso; le sue esequie non avranno luogo nel nostro campo per timore che ci rechino sconforto. Lucillovieni; e vienigiovane Catone; andiamo al campo. Labeone e Flaviomovete le nostre truppe all’assalto: sono le tre; eRomaniancora prima di notte tenteremo la fortuna in un secondo scontro.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA – Un’altra parte del campo

 

(Allarme. Entrano combattendo Soldati dei due eserciti; poi BRUTOCATONE il giovaneLUCILLO ed altri)

 

BRUTO: Ancorao compatriotiohancora tenete alta la testa!

CATONE: E qual bastardo non lo fa? Chi vuol venire con me? Proclamerò il mio nome sul campo: sono il figlio di Marco Catoneoh! nemico dei tirannied amico della patria; sono il figlio di Marco Catoneoh!

 

(Carica il nemico)

 

BRUTO: Ed io sono BrutoMarco Brutoio: Bruto: l’amico della patria; riconoscete in ne Bruto!

 

(Esce caricando il nemico. Catone è sopraffatto e cade)

 

LUCILLO: O giovaneo nobile Catonesei caduto? Ebbeneora muori così valorosamente come Titinio; e puoi essere onoratoessendo il figlio di Catone.

PRIMO SOLDATO: Arrenditi o muori.

LUCILLO: Non mi arrendo che per morire: ecco abbastanza perché tu mi uccida subito (offrendo del denaro) uccidi Bruto ed acquistati onore per la sua morte.

PRIMO SOLDATO: Non dobbiamo. Un nobile prigioniero!

SECONDO SOLDATO: Largo là! Dite ad Antonio che Bruto è preso.

PRIMO SOLDATO: Porterò la notizia. Ecco il generale.

 

(Entra ANTONIO)

 

Bruto è presoBruto è presosignore.

ANTONIO: Dov’è?

LUCILLO: SalveAntonio; Bruto è salvo: oso assicurarti che nessun nemico prenderà mai vivo il nobile Bruto: che gli dèi lo proteggano da sì grande vergogna! Quando lo trovereteo vivo o mortoegli sarà trovato come Brutopari a se stesso.

ANTONIO: Questo non è Brutoamico; mavi assicuroun trofeo di non minor valore: tenetelo al sicurousategli ogni riguardo: preferisco avere tali uomini come amici che come nemici. Avantie guardate se Bruto è vivo o morto e portateci notizia nella tenda di Ottavio come gli avvenimenti si sono svolti.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA – Un’altra parte del campo

 

 

(Entrano BRUTODARDANIOCLITOSTRATONE e VOLUNNIO)

 

BRUTO: Venitepoveri resti di amici e riposate su questa rupe.

CLITO: Statilio ha mostrato la face accesa; ma signorenon è tornato:

egli è stato preso od ucciso.

BRUTO: SiediClito: uccidere è la parola d’ordine; è un’azione di moda. AscoltaClito.

 

(Bisbigliano)

 

CLITO: Comeiosignore? Nonoper tutto il mondo.

BRUTO: Silenzioalloranon una parola.

CLITO: Piuttosto ucciderò me stesso.

BRUTO: AscoltaDardanio.

 

(Gli bisbiglia)

 

DARDANIO: Compierò io tale azione?

CLITO: O Dardanio!

DARDANIO: O Clito!

CLITO: Quale cattiva richiesta ha fatto Bruto?

DARDANIO: Di ucciderloClito. Guardaegli pensa.

CLITO: Ora quella nobile coppa è piena di doloreper modo che trabocca fino agli occhi.

BRUTO: Vieni quabuon Volunnioascolta una parola.

VOLUNNIO: Che cosa dice il mio signore?

BRUTO: QuestoVolunnio: lo spettro di Cesare mi è apparso di notte in due distinte occasionia Sardi una voltae questa scorsa nottequa nei campi di Filippi. So che la mia ora è sonata.

VOLUNNIO: Non è cosìsignore.

BRUTO: Nosono sicuro di sìVolunnio. Tu vedi il mondo come vaVolunnio; (allarmi in lontananza) i nostri nemici ci hanno incalzati fin sull’orlo dell’abisso; è più nobile saltarvi dentro da noi che aspettare d’esservi sospinti da loro. Buon Volunniotu sai che noi andammo a scuola insieme: per quel nostro stesso antico amoreti pregotieni tu l’elsa della mia spadamentre io mi ci getto sopra.

VOLUNNIO: Questo non è il compito di un amicosignore.

 

(Ancora allarmi)

 

CLITO: Fuggitefuggitesignore; non v’è da indugiarsi qui.

BRUTO: Addio a voi; e a voi; e a voiVolunnio. Stratonetutto questo tempo tu hai dormito; addio anche a teStratone. Compatriotiil mio cuore si rallegra che maiin tutta la vitaio abbia trovato un uomo che non mi fosse fedele. Io avrò gloria per questa giornata di sconfittapiù di quella che Ottavio e Marc’Antonio non otterranno con questa infame vittoria. Cosìaddio subito a tuttiché la lingua di Bruto ha quasi finito la storia della sua vita: la notte pende sui miei occhi; le mie ossa vorrebbero riposareesse che non hanno lavorato che per giungere a quest’ora. (Allarme. Si grida dentro: “Fuggifuggifuggi!”)

CLITO: Fuggitesignorefuggite.

BRUTO: Via! Vi seguirò. (Escono ClitoDardanioVolunnio) Ti pregoStratonerimani presso il tuo signore: tu sei un giovane degno di stima; la tua vita ha avuto qualche sapor di onore: tieni dunque la mia spada e volgi il voltomentre io mi ci getto sopra. Vuoi tu farloStratone?

STRATONE: Datemi prima la mano: addiosignore.

BRUTO: Addiobuon Stratone. Cesareora riposa in pace: io non ti uccisi per metà così volentieri.

 

(Si getta sulla spada e muore)

 

 

(Allarme. Ritirata. Entrano OTTAVIOANTONIOMESSALALUCILLO e il loro Esercito)

 

OTTAVIO: Chi è colui?

MESSALA: Il servo del mio signore. Stratonedov’è il tuo padrone?

STRATONE: Libero dalla prigionia nella quale vi trovate voio Messala. I vincitori non possono che fare un rogo di lui; perché Bruto solo vinse su se stessoe nessun altro porta la gloria della sua morte.

LUCILLO: Così Bruto doveva essere trovato. Ti ringrazio Bruto che hai dimostrato vere le parole di Lucillo.

OTTAVIO: Tutti coloro che servirono Bruto li assumerò al mio servizio.

Giovane vuoi dedicare il tuo tempo a me?

STRATONE: Sìse Messala mi raccomanderà a voi.

OTTAVIO: Fatelo buon Messala.

MESSALA: Com’è morto il mio signore Stratone?

STRATONE: Io ho tenuto la spada ed egli vi è gettato sopra.

MESSALA: Ottavioallora prendi con te questo giovane che ha reso l’ultimo servizio mio signore.

ANTONIO: Questo fu il più nobile Romano tra loro tutti: tutti i cospiratori eccetto lui solo fecero ciò che fecero per invidia verso il grande Cesare; egli solocon pensiero onesto per il bene pubblico e per il comune vantaggio di tuttisi unì a loro. Mansueta fu la sua vita; e gli elementi erano in lui così commisti che la Natura poteva ergersi ed esclamare dinanzi a tutto il mondo “Questo fu un uomo”.

OTTAVIO: In modo conforme alle sue virtù accordiamogli ogni rispetto e tutti i riti del sepoltura. Entro la mia tenda riposeran stanotte le sue ossa come quelle di un soldato trattate con onore. Così date il riposo all’esercito; ed andiamo a spartire le glorie di questa fausta giornata.

 

(Escono)

ESTATE TEATRALE. Stasera alle 21,15 al Teatro Romano debutta il nuovo allestimento dell’opera shakespeariana. Alle 21 la consegna del Premio Simoni a Toni Servillo

Giulio Cesare, la tragedia delle contraddizioni

Daniela Bruna Adami

Il regista Alex Rigola ne propone una versione contemporanea, evidenziando la violenza del potere e delle rivoluzioni. Protagonista Michele Riondino

mercoledì 06 luglio 2016 SPETTACOLI, pagina 54

Debutta questa sera alle 21,15 al Teatro Romano Giulio Cesare di Shakespeare, nell’adattamento e regia di Alex Rigola, il regista spagnolo direttore della Biennale Teatro di Venezia, già direttore del Teatre Lliure di Barcellona. Alle 21 sarà consegnato all’attore e regista Toni Servillo il 59° premio «Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa».Giulio Cesare è un testo che mancava all’Estate Teatrale da dieci anni, dalla messinscena di Antonio Calenda con Giorgio Albertazzi. Questa volta ne vedremo una versione che regista e attori, unanimemente, ieri alla conferenza stampa, hanno definito «contemporanea». E non solo nei costumi e nella regia, ma nel suo significato, nella universalità dei temi e delle domande che pone. «Usiamo la violenza per scrivere la Storia, ma senza chiederci dove stiamo andando» spiega Rigola, «qualcuno ci dovrà spiegare perché poi i bambini muoiono sulla spiaggia di Lesbo».Sarà uno spettacolo, continua il regista, che pone delle domande e lascia che lo spettatore dia le sue risposte. Cosa siamo disposti a fare per fare una rivoluzione? Anche uccidere qualcuno? «Questo testo è uno dei più contemporanei di Shakespeare» spiega il protagonista, Michele Riondino, nel ruolo di Marco Antonio, «perché parla del rapporto con il potere. In ogni campagna elettorale, lo vediamo, viene tirato in ballo il popolo cui sono dirette tante promesse, che spesso sono solo retorica populista. Anche nel Giulio Cesare si usano argomentazioni che servono a blandire il popolo ma in realtà hanno altri scopi».«Violenza ed etica sono i due temi del Giulio Cesare» aggiunge Michele Maccagno (Cassio), «ma l’assassinio di un dittatore è etico?». E Stefano Scandaletti (Bruto): «Shakespeare qui parla del dubbio, tra scegliere le esigenze del popolo o le esigenze del potere».«È più cattivo chi ammazza un dittatore o una banca che mette sulla strada un anziano per il mutuo della casa?» si domanda ancora Rigola. «In una posizione di potere, quanto ciascuno di noi può diventare cattivo?».Rigola ha scelto un gruppo di attori molto eterogeneo, provenienti da esperienze teatrali diverse, dal teatro di ricerca o quello classico, fino alla danza. Tutti sono entrati dentro l’opera di Shakespeare, a sentirli parlare della loro esperienza sul Giulio Cesare, accettandone la crudezza e la ambiguità. Che Rigola promette di evidenziare nettamente.«Questa è un’opera senza protagonisti» spiega Maria Grazia Mandruzzato, che interpreta Cesare, «perché protagonista è la morte. Per Bruto e Cassio è giusto uccidere per salvare la democrazia, ma non sanno cosa succederà poi. Come non lo sanno gli altri, in questa tragedia collettiva».Il Giulio Cesare è del 1599, è cronologicamente la prima delle grandi tragedie del Bardo, in cui, scrive Sergio Perosa, la cui traduzione è stata scelta da Rigola, «balzano in primo piano le questioni del comportamento individuale, che nel caso specifico assumono uno svolgimento tragico perché rispondono al principio di ambivalenza. Se ci fosse certezza non ci sarebbe tragedia: se Cesare fosse vero usurpatore o tiranno, la sua uccisione sarebbe legittima, come in Riccardo III». Il regista Rigola ha curato l’adattamento che riduce a 12 i personaggi per altrettanti attori. Nel cast ci sono anche Silvia Costa, Margherita Mannino, Eleonora Panizzo, Pietro Quadrino, Riccardo Gamba, Raquel Gualtero, Beatrice Fedi, Andrtea Fagarazzi, che si muovono nello spazio scenico di Max Glaenzel, in quello sonoro di Nao Albet e nelle luci di Carlos Marquerie; i costumi sono di Silvia Delagneau, aiuto regia Lorenzo Maragoni. Lo spettacolo replica fino al 9 luglio, ed è prodotto dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese.Di questa particolare messa in scena di Giulio Cesare parleranno attori e regista nell’incontro con il pubblico in programma giovedì 7 luglio alle 17,30 alla Biblioteca Civica di via Cappello 43.

FESTIVAL SHAKESPEARIANO. Debutto mercoledì alle 21,15 al teatro Romano in «prima» nazionale per la messinscena del regista spagnolo

Giulio Cesare, quando il potere uccide

La «tragedia moderna» di Alex Rigola

Multimedialità e riferimenti all’oggi Michele Riondino, celebre per il ruolo del giovane Montalbano nella serie televisiva, sarà Marco Antonio

lunedì 04 luglio 2016 SPETTACOLI, pagina 52

Sono in corso al Teatro Romano le prove del vedrà il ruolo di Marco Antonio interpretato da Michele Riondino, attore che ha raggiunto grande notorietà in televisione nella parte del giovane Montalbano. Gli altri interpreti sono Maria Grazia Mandruzzato (Giulio Cesare), Stefano Scandaletti (Bruto), Michele Maccagno (Cassio), Silvia Costa (Porzia), Margherita Mannino (Casca), Eleonora Panizzo (Decio), Pietro Quadrino (Metello), Riccardo Gamba (Lepido), Raquel Gualtero (Cinna), Beatrice Fedi (Ottaviano) e Andrea Fagarazzi (Servitore). Mercoledì alle 21 prima dell’inizio di Giulio Cesare, sarà consegnato a Toni Servillo Il 59° premio «Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa».La regia di Àlex Rigola si avvale della traduzione di Sergio Perosa, dello “spazio scenico” atemporale di Max Glaenzel, dell’universo sonoro post-contemporaneo di Nao Albet, delle luci evocative di Carlos Marqueri e dei costumi tra il classico e il pop ideati da Silvia Delagneau.«Julius Caesar – scrive il traduttore Sergio Perosa – è del 1599: una data che lo qualifica come la prima delle grandi tragedie e che segna il punto di passaggio dai drammi di storia patria alle tragedie vere e proprie. Con Giulio Cesare Shakespeare scopre l’aspetto conflittuale della storia e dell’esperienza individuale nella storia. Se ci fosse certezza non ci sarebbe vera tragedia; se Cesare fosse vero usurpatore o tiranno, la sua uccisione sarebbe legittima (come in Riccardo III) e nobile sarebbe l’azione di Bruto. La caduta di Cesare è presentata come tragica perché risponde al motivo medievale della ruota della Fortuna, e perché incerta appare ancora la vera natura del cesarismo da lui incarnato. Accentuando questo palese clima di incertezza il regista Rigola, con l’ausilio anche di foto e filmati contemporanei e del secolo scorso, si pone una serie infinita di domande. «Fino a che punto – si chiede – il fine giustifica i mezzi? La violenza è lecita? Esiste la democrazia? Viviamo in una vera democrazia? Se sono le lobby economiche a tenere le fila di una falsa democrazia, come possiamo difenderci? È possibile che la gran parte dei cittadini non cada vittima del populismo? Esiste una soluzione? Avremmo ucciso Hitler prima delle elezioni federali tedesche del 1930, quando non era ancora un capo di Stato fanatico e un efferato assassino? Lo faremmo oggi sapendo come sarebbe andata a finire? Siamo sicuri che non ci siano delle reincarnazioni di Hitler anche tra chi di fatto detiene le fila del potere contemporaneo? Dovremmo intervenire con TUTTI i mezzi possibili per evitare l’affermarsi di una figura simile? E poi cosa succederebbe? Come potrebbe nascere una nuova democrazia se questa fosse figlia del sangue? E gli effetti collaterali? Esiste una soluzione? Dobbiamo travestirci da lupo? Bisogna tornare a celebrare i Lupercali come ai tempi dell’antica Roma? E tutti quei lupi che oggi si travestono da agnelli? Chi danneggia maggiormente la società: i lupi o quegli agnelli disposti a seguire la strada più semplice?Possiamo fare qualcosa? Ma cosa? Come controlliamo il lupo che è dentro di noi? Esiste una soluzione? Benvenuti ancora una volta – conclude amaramente Àlex Rigola – nella contraddizione umana… E mentre riflettiamo su questi temi lasciamo che muoia ancora qualche bambino sulle spiagge di Lesbo».Una regia decisamente “forte” che evidenzia le contraddizioni umane. La speciale chiave di lettura di questo Giulio Cesare sarà al centro dell’incontro con gli attori giovedì 7 l alle 17.30 in Biblioteca Civica, via Cappello.

MICHELE RIONDINO, attore

In tivù sono Montalbano

ma il teatro è la mia casa

Daniela Bruna Adami

domenica 03 luglio 2016 SPETTACOLI, pagina 51

È Marco Antonio nel Giulio Cesare che aprirà il 6 luglio il 68° Festival Shakespeariano al Teatro Romano, con la regia di Alex Rigola. Un allestimento contemporaneo per la prima delle grandi tragedie dell’autore inglese, a sottolineare come i meccanismi della politica, il populismo e la violenza siano gli stessi anche oggi.Di Taranto, 37 anni, volto del cinema e della tivù, Michele Riondino ci racconta questo suo personaggio, cui è affidato uno dei più bei monologhi shakespeariani, l’orazione sulla morte di Cesare: «Questo è uno spettacolo sul potere della retorica, sulla politica usata come arma impropria quando la polis vive un momento di debolezza» spiega. «Pensi a cosa succederebbe se un testo come questo fosse scritto oggi: scatenerebbe polemiche a non finire. Ma ogni spettatore può sostituire ai personaggi i politici che vuole».E il fatto che Cesare sia una donna, cambia le dinamiche con Marc’Antonio?No, Cesare è solo un simbolo di potere. Che oggi può essere anche in una donna.Com’è stato il lavoro con Alex Rigola?Siamo stati venti giorni a «dire» il testo con un minimo di movimenti. Poi è iniziata la regia, lavorando per sottrazione, senza partiture prestabilite e anzi rompendole continuamente. Che è anche il mio modo di lavorare.Lei ha fatto l’Accademia d’arte drammatica a Roma e poi ha lavorato con Emma Dante e Marco Baliani. Un bel salto.In quel periodo, era il 2001, l’Accademia non viveva il suo migliore periodo, e proprio la mia classe servì di rottura per tornare in seguito ad alti livelli. Ma mi fece capire cosa mi piaceva nel teatro. E lavorare con la Dante e Baliani sono stati traguardi che mi hanno formato.Lavora in teatro, nel cinema, in televisione. E il suo primo amore fu la musica. Ma cosa preferisce fare?Tra tutto preferisco il teatro, è da lì che vengo ed è lì che mi trovo a mio agio. La differenza è che davanti all’occhio della telecamera, sai che sarà lo spettatore a scegliere come guardarti, mentre a teatro sei tu che gli trasmetti l’energia e decidi come farti guardare.Pur avendo interpretato grandi film, «Fortapasc», «Acciaio», «Bella Addormentata», «Il giovane favoloso», lei è famoso al grande pubblico come il «Giovane Montalbano». E forse qualcuno verrà al Teatro Romano proprio per questo. C’è il rischio di restare legato a quel personaggio, come disse anche l’altro Montalbano, Luca Zingaretti?Il rischio c’è, ma se grazie a Montalbano riesco a schiodare qualcuno da casa e farlo venire in teatro, ne valeva la pena. In realtà all’inizio non volevo farlo e un po’ temevo il confronto con Zingaretti. Ma sia lui che l’autore Andrea Camilleri mi hanno convinto, con il regista Tavarelli abbiamo impiegato mesi per trovare il modo giusto per farlo e la Rai ci ha dato completa libertà.Non è la sua prima volta a Verona.Sono venuto nel 2004 con Uno sguardo dal ponte di Patroni Griffi, ero giovanissimo. La mia prima tournée, ho ricordi straordinari.Può sempre tornare, magari con un suo spettacolo.Perché no? In autunno farò un lavoro di teatro-canzone su Don Gallo e De Andrè, e penso a una versione teatrale di Limerick, il mio programma in radio.E Taranto?Come tema di spettacolo? Per ora no. Tengo separato il teatro dal mio impegno nel Comitato, che faccio da cittadino sfidando le critiche.

SILVIA COSTA, attrice

In «Giulio Cesare» svelo

il Bruto più privato

Sarà una versione pop

Simone Azzoni

martedì 28 giugno 2016 SPETTACOLI, pagina 51

Silvia Costa è nel cast del Giulio Cesare diretto al Romano da Alex Rigola dal 6 al 9 luglio. L’attrice da oltre dieci anni nella compagnia Raffeallo Sanzio, indossa i panni di Porzia, la moglie di Bruto.«Ho fatto un provino, Alex Rigola cercava anche attori con un approccio più performativo e anche capaci di portare le parole di Shakespeare». Molto lontana dai tuoi lavori…Si, mi sono messa in ascolto di un regista. Con lui si può dire e provare, ci sono spazi di libertà che non ho con Castellucci! Sono entrata nella dimensione psicologica del personaggio per scavare nella memoria. Non sono presente come creatrice, presto il mio corpo alla presenza di quello che devo essere. C’è una parte finale in cui tutti i personaggi si mescolano, forse lì avrò un po’ di spazio per inserire parti mie simili a quello che faccio di solito.Chi è Porzia?Un ruolo che spacca la dinamica politica e porta in scena la vita privata di Bruto, è una piccola parentesi nella dinamica del testo. Giulio Cesare è dramma di parola. Cos’è la parola a teatro? Manipolazione o verità?A teatro nessuna illusione è insignificante. Ciò che vedi e ascolti dovrebbe muovere qualcosa. Niente è insignificante.E rispetto al Giulio Cesare di Castellucci?Là oltre alla parola ci sono corpi che sono contenuto, la forma del corpo sostiene la parola. Qui il gioco dell’attore è fondamentale.La crisi della repubblica, la differenza tra fini e mezzi, quali temi tocca la regia?Sento che c’è una volontà di aggrapparsi a delle immagini nostre contemporanee. Una trasposizione politica a quello che succede oggi. C’è una volontà di contemporaneità. C’è una dimensione pop e di energia. Il Giulio Cesare è dramma di suoni, il bisbiglio del popolo, i sussurri dei congiurati..La colonna sonora è di tensione. La musica carica l’energia del palcoscenico. E la violenza del sangue?C’è una violenza che non è questa. Nel finale, ad esempio si sublima tutto con oggetti simbolici. Posso dire che c’è un lavoro sulla materia questo sì.Nei tuoi progetti cosa consideri imprescindibile: la luce, lo sguardo, il corpo o la dinamicità?Quello che per me è sempre stato importante è catturare lo sguardo dello spettatore: questa è la verità del teatro. Riuscire a mantenere il rapporto frontale tra platea e palcoscenico. La magia è trasportare lo spettatore da un’altra parte. Quando questo accordo, questa linea di sguardi si rompe è persa e irrecuperabile. E il teatro?Il teatro è scultura del tempo, luce e corpo mi permettono di scolpire il tempo.I tuoi ultimi lavori sono rivolti all’infanzia. Quale stupore cerchi dai bimbi?Il rapporto con i bambini è nato per caso con Uovo Kitsch. Ogni volta voglio cercare meraviglia ed astrazione. A Parigi ho costruito un caleidoscopio e un bambino mi ha detto: io lì vedo la natura. A settembre debutto a Nantes con Pel di carota.Qual è la lezione più importante che hai imparato a fianco di Castellucci?Bisogna sempre ricominciare da zero.Domanda difficile. Cosa ne pensi della riproposizione dei lavori di Castellucci. In primis l’Orestea all’Argentina in ottobre?Sono contenta di queste riprese perché penso che sia un regalo per i giovani. Gli spettacoli vanno visti sapendo che sono stati anni fa. Non è una rivisitazione, Romeo non farebbe così quegli spettacoli oggi. Ma è importante oggi rivederli per capire l’eredità che hanno lasciato, molti pezzi li troviamo sparpagliati nel mondo teatrale. Il mondo è cambiato e questi spettacoli ci mostrano come è avvenuto: questa condivisione e cambiamento non può che essere detto dal palcoscenico.

DEBUTTO. Dal 6 al 9 luglio alle 21.15 la tragedia che mancava da dieci anni nel cartellone dell’Estate Teatrale

Giulio Cesare in abiti femminili

In scena il dramma del potere

Il regista Rigola affida a una donna, Maria Grazia Mandruzzato, il ruolo del protagonista Nei panni di Bruto e Cassio due attori di talento, Stefano Scandaletti e Michele Maccagno

martedì 21 giugno 2016 SPETTACOLI, pagina 65

Il 68° Festival shakespeariano sarà inaugurato, mercoledì 6 luglio alle 21.15 al Teatro Romano, dal dramma storico Giulio Cesare. Repliche il 7, 8 e 9 luglio alla stessa ora. La regia è a firma di Àlex Rigola, direttore della Biennale Teatro di Venezia. Lo spettacolo – prodotto dal Teatro Stabile del Veneto -Teatro Nazionale in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese – vedrà il ruolo di Marco Antonio interpretato da Michele Riondino, attore che ha raggiunto grande notorietà in televisione nella parte del giovane Montalbano. Gli altri interpreti sono Maria Grazia Mandruzzato (a cui è stato affidato il ruolo di Cesare), Stefano Scandaletti, Michele Maccagno, Silvia Costa, Margherita Mannino, Eleonora Panizzo, Pietro Quadrino, Riccardo Gamba, Raquel Gualtero e Andrea Fagarazzi.William Shakespeare scrisse Giulio Cesare nel 1599, ispirandosi in parte a fatti storici e in parte alla traduzione di Sir Thomas North delle Vite dei nobili greci e romani di Plutarco. L’opera sintetizza i tre anni che vanno dalla vittoria di Munda nel 45 a.C. al suicidio di Bruto nel 42 d.C. e li fa durare meno di sei giorni. Questa “compressione” degli eventi fa sì che l’intera narrazione sia un unico, ininterrotto conflitto, sia a livello personale che politico. Un conflitto che Àlex Rigola evidenzia, e che trova in Michele Riondino, apprezzato attore di cinema, teatro e televisione, l’interprete ideale per il ruolo del nobile Marco Antonio. Direttore della Biennale Teatro di Venezia, Rigola realizza la sua prima regia italiana tornando all’opera che lo fece scoprire a livello internazionale. Un testo epico, intenso e appassionante, che ruota intorno all’esercizio del potere, in questa versione impersonato da una donna, Maria Grazia Mandruzzato, nel ruolo di Cesare. «In lei – dice una nota relativa allo spettacolo – si raccolgono le tante espressioni di “donne al comando” che al giorno d’oggi sanno imporsi con la stessa inflessibile determinazione degli uomini, se non di più. È la dimostrazione che, al di là delle questioni di genere, tutta l’umanità è per sua natura soggiogata al fascino del predominio dell’uno sull’altro. Del resto, chi incarna il potere ha gioco facile nel condizionare un’umanità alienata, immobile, riluttante a mettersi in gioco». Vivere appesi a un filo, in uno stato di precarietà, di contraddizione continua, di violenza pervasiva e latente: da questa condizione umana prende avvio la strada che Rigola ha scelto di percorrere per guidare il lavoro dei dodici attori in scena. Come si può gestire la violenza che divide gli uomini? Come si fa a chiedere a qualcuno, anche se solo per finzione, di uccidere un proprio simile? Quali sono i presupposti da cui partire per organizzare una rivoluzione? Su queste ed altre questioni, eternamente attuali, si è confrontato il cast selezionato dal regista spagnolo – un gruppo composito di attori con esperienze internazionali (Silvia Costa, Pietro Quadrino, Raquel Gualtero e Andrea Fagarazzi) accanto a interpreti quali Romeo Castellucci, Jan Fabre e Sasha Waltz affiancato da giovani e talentuosi attori che si sono formati nella scuola del Teatro Stabile (Margherita Mannino, Eleonora Panizzo e Riccardo Gamba). I ruoli centrali di Bruto e Cassio sono invece stati affidati a due interpreti di grande esperienza come Stefano Scandaletti e Michele Maccagno.