20160604 Niccolo Ammaniti Accessibile meglio dismappa Verona Teatro romano

Niccolò Ammaniti e il mestiere dello scrittore


Teatro Romano di Verona
Festival della Bellezza
Sabato 4 giugno 2016, ore 21.30

Lo scrittore Niccolò Ammaniti ha raccontato come è diventato scrittore, tra aneddoti e spezzoni di film tratti dai suoi libri, intervistato da Gaia Guarienti.

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Niccolò Ammaniti

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Niccolò Ammaniti (Roma, 25 settembre 1966) è uno scrittore italiano, vincitore del premio Strega nel 2007 per Come Dio comanda.

Biografia

Si è iscritto al corso di laurea in Scienze biologiche ma non ha completato gli studi[1]. Il suo primo romanzo, intitolato Branchie, è stato pubblicato da Ediesse nel 1994, per essere poi acquisito da Einaudi nel 1997[2]. Il libro racconta la storia paradossale di un ragazzo romano malato di tumore che si trova catapultato suo malgrado in India, dove è costretto a vivere una serie di sgradevoli e stravaganti avventure. Nel 1999, dal libro è stato tratto il film con Gianluca Grignani e Valentina Cervi Branchie, diretto da Francesco Ranieri Martinotti e sceneggiato insieme a Fulvio Ottaviano; nonostante l’ingente budget, la pellicola si è rivelata un insuccesso[3].

Nel 1995 Ammaniti ha pubblicato, insieme con il padre Massimo, medico psichiatra, il saggio Nel nome del figlio, edito da Arnoldo Mondadori Editore.[2] Nel 1996 ha recitato insieme alla sorella nel film a basso budget Cresceranno i carciofi a Mimongo di Fulvio Ottaviano.[1]

Ha partecipato nel 1996 all’antologia Gioventù cannibale, curata da Daniele Brolli e pubblicata da Einaudi, con un racconto scritto a quattro mani con Luisa Brancaccio. Sempre nel 1996 ha pubblicato per Mondadori Fango, raccolta di racconti che contiene, tra gli altri, i testi Vivere e morire al Prenestino e L’ultimo capodanno dell’umanità; da quest’ultimo è stato tratto nel 1998 il film di Marco Risi L’ultimo capodanno, alla sceneggiatura del quale collaborò lo stesso Ammaniti. Diventa uno dei principali rappresentanti del gruppo di scrittori definiti Cannibali.[4]

Nel 1999 è uscito il romanzo Ti prendo e ti porto via, sempre per Mondadori. La notorietà a livello nazionale giunge per Ammaniti nel 2001, quando pubblica il romanzo Io non ho paura,[2] trasposto due anni dopo nell’omonimo film di Gabriele Salvatores. Nel 2004 ha scritto il soggetto per il film Il siero della vanità, diretto da Alex Infascelli.[1] Dal 17 settembre 2005 è sposato con l’attrice Lorenza Indovina.

Nel 2006 è stato pubblicato il romanzo Come Dio comanda, edito da Arnoldo Mondadori Editore, accolto con favore dal pubblico, ma con alterni giudizi dalla critica[5][6][7], nonostante nel 2007 il romanzo si aggiudichi il premio Strega; il libro è stato inoltre adattato per il grande schermo, nuovamente da Salvatores, nel film Come dio comanda (2008). Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Che la festa cominci edito da Einaudi, per il quale ha ottenuto una candidatura al premio Alabarda d’oro 2010. Ha una rubrica su xL. Nel 2010 ha pubblicato il suo sesto romanzo dal titolo Io e te.

Nel 2012 Niccolò Ammaniti ha pubblicato la raccolta di racconti Il momento è delicato, il cui titolo deriva dalla frase che gli venne rivolta da un editore per comunicargli il rifiuto della pubblicazione della raccolta di racconti Fango.[8]

Nel 2015 pubblica il suo settimo romanzo dal titolo Anna.

Opere

Romanzi

Racconti

Film

Altro

Trasposizioni cinematografiche

Collegamenti esterni

 

LETTERATURA. «La mia prima storia era bruttissima. Non avrei mai pensato di pubblicarla»

«Io sono dark fin da bambino:
disegnavo cimiteri anziché case»

Andrea Sambugaro

Ammaniti, l’ironia di uno scrittore divenuto tale quasi per caso. «Ho sempre avuto fantasia, come quando m’inventavo i 30 all’università»

lunedì 06 giugno 2016 CULTURA, pagina 49

«Legge tanto, questo è scontato. Ma chi se lo immaginava che uno scrittore dovesse anche parlare? “A che cosa serve?”, ho sempre chiesto agli editori? “C’è tutto lì, nel libro… Sarà il lettore, semmai, ad aggiungervi qualcosa di nuovo, con la sua immaginazione”. Inutile, anche uno come me, ritroso per natura, deve rassegnarsi ad affrontare il pubblico. Che fatica… Sono arrivato al punto che un giorno, invitato da Asor Rosa a confrontarmi con altri scrittori alla Sapienza – Baricco, Veronesi… – , avevo pensato: m’invento che sto male. No, banale. Facciamo così: per andare all’università, con la mia vecchia Vespa, passo davanti all’ospedale, cado e mi ricoverano. Alla Sapienza dicono: “Siamo spiacenti, Ammaniti ha avuto un incidente, non può essere qui con noi”. Pronti via, parto. Arrivo davanti all’ospedale, ma l’istinto di sopravvivenza mi frega: cado, non mi faccio niente, la Vespa si sfracella, io sano come un pesce. E così vado a piedi all’università…».Beh, meno male che i romanzieri, oltre a scrivere, parlano in pubblico: Niccolò Ammaniti, l’altra sera al Teatro Romano, ha affascinato e divertito la platea del Festival della bellezza, portato a ritroso da Gaia Guarienti nell’ infanzia («Quand’ero piccolo gli altri disegnavano case, io cimiteri. Loro persone, io ossa. Sono nato dark»), attraverso i rapporti familiari («Mi fa male quando tra fratelli non si va d’accordo. Si è nati nello stesso ambiente, si è cresciuti con gli stessi genitori, un’esperienza che non puoi condividere con nessun altro…»), negli anni dell’università («Scienze biologiche: sono attratto dagli animali. Ogni umano lo paragono a un pesce, un uccello, un mammifero, un insetto…»).ESAMI su esami dai quali strappava sempre un voto oscillante tra il 28 e il 30, «ma questo è ciò che raccontavo a mio padre. In realtà non li davo. Poi venne il momento della finta tesi, lui mi disse che per concentrarmi sarebbe stato meglio prepararla nel suo studio di psichiatra: stavo nella stanza accanto a dormire per tre quarti d’ora, il tempo di una seduta, poi mio padre faceva sosta un quarto d’ora prima del successivo colloquio e io mi svegliavo. E così via: ancora adesso i miei sonni vanno di tre quarti d’ora in tre quarti d’ora».Aneddoti, ricordi attraverso i quali l’autore di Io non ho paura, Come Dio comanda, Io e te, Anna, di altri romanzi e racconti ma anche di sceneggiature e del film The Good Life, ha parlato di sé e della letteratura: «Ha un compito, narrare degli ultimi, di quelli che non ti immagineresti mai. E ti infila nei loro panni, di buoni o cattivi che siano. Lo scrittore suggerisce, chi ti legge completa l’opera con la sua fantasia. Vedere un film tratto da un libro se prima non l’ho letto? Mai. Sai che delusione… I protagonisti saranno quelli che hai visto scorrere sullo schermo, non quelli che ti vorresti creare tu».Ma come si diventa scrittori? Ah, non chiedetelo ad Ammaniti: «Io lo sono per caso. Ero stufo di sentire che gli ufo e gli extraterrestri atterravano solo negli Stati Uniti, che i serial killer ci fossero solo là e mai da noi. Così mi sono inventato una storia di un ragazzo malato terminale di cancro e appassionato di pesci che sarebbe diventata Branchie. Bruttissima, a chi mai poteva interessare? Alla Ediesse, casa editrice della Cgil che pubblicava best seller su argomenti tipo il contratto dei metalmeccanici negli anni Settanta: quando mi dissero che la storia gli piaceva, anche se ero arrivato solo a metà, non ci credevo. E infatti, se andate a rileggerlo, Branchie ha una particolarità: la prima parte è triste, la seconda più allegra. L’avevo scritta dopo avere saputo che sarebbe stata pubblicata».