Atti Parlamentari – CommemorazioneGiuseppe Saracco, PresidenteOnorevoli colleghi, l’angelo della morte batte senza misura alle porte del Senato. Fra il 31 marzo e l’8 aprile, vale a dire in soli nove giorni, tre colleghi nostri sono scesi nel sepolcro: Pietro Salis, Angelo Messedaglia, Giulio Bizzozero. […]
Di Angelo Messedaglia, l’insigne scienziato che fu per lungo volger d’anni lustro ed orgoglio di questo Senato, non presumo affatto né voi mi chiedete per fermo, che io mi provi a raccontare la vita, lunga ed operosa, nei brevi momenti che il Senato suole concedere al suo Presidente in queste dolorose contingenze. Non è mancato e non mancherà ancora chi troverà il luogo più acconcio per commemorare con la necessaria competenza, e con la dovuta ampiezza le virtù, ed i meriti scientifici che gli procurarono meritata fama e riputazione nel mondo. Io ne dirò sol quanto mi paia necessario per far rivivere per pochi istanti innanzi agli occhi vostri quella simpatica figura, che ciascuno di noi porta scolpita a caratteri indelebili, nella mente e nel cuore.
Angelo Messedaglia, nato a Villafranca presso Verona il 2 novembre 1820, studiò giurisprudenza nell’Università di Pavia dove si addottorò, col proposito di avviarsi alla carriera dell’insegnamento, che a breve andare gli venne dischiusa per merito del Governo provvisorio di Milano, il quale lo chiamò nel 1848 a coprire la Cattedra di diritto commerciale. Costretto di poi dalle necessità della vita a fare ritorno in patria allorché sopravvenne la dominazione straniera, ottenne nullameno di poter insegnare privatamente, con effetti legali nella sua Verona, fino a che nel 1858 il Governo austriaco, vinto dalla fama che già si era levata intorno al nome del giovane docente, lo chiamò professore di economia politica nell’Università di Padova, di dove veniva indi a qualche anno trasferito all’Università di Roma nella qualità di professore ordinario di economia politica e di statistica, che tenne senza interruzione, fino a che gli durò la vita.
Questa in iscorcio la carriera del professore, nobilmente percorsa da quel valentuomo, del quale fu detto con ragione, che non amò e non concepì che la scienza, talché nella sua lunga ed operosa carriera le diede tutto l’esser suo, e preferì il godimento della scienza per sé e per la gioventù studiosa che pendeva dal suo labbro, anziché abbia mai avvisato a procurarsi la fama durevole di scienziato nell’ammirazione delle genti lontane – che pure non gli manca. Forse la vastità stessa del sapere che gli permetteva di parlare e di scrivere con eguale chiarezza e profondità di tante e disparate materie che entrano a far parte dello scibile umano, non consentì ad Angelo Messedaglia di primeggiare senza contrasto nell’uno, piuttosto che in altro ramo della scienza, e di acquistare quella singolare personalità, che anche ai mediocri procura onori e ricchezze. Pure pochi furono e sono, per consenso universale, e forse nessuno più di lui espose dalla cattedra la scienza economica con maggiore consapevolezza, e precisione di concetti, ed oggimai non vi ha in paese chi non dia merito e lode al nostro Messedaglia di aver creato l’insegnamento scientifico della statistica, elevata dall’illustre maestro a dignità di scienza.
Io qui dovrei parlare delle numerose pubblicazioni uscite in diverso tempo dalla penna dello scienziato, le quali rimarranno a fare testimonianza, non solo della meravigliosa cultura, ma eziandio della operosità intellettuale di quest’uomo, che educato e cresciuto negli studi classici sentiva tuttavia il bisogno di correr dietro con eguale amore al movimento scientifico dei tempi nuovi. Io non mi inoltrerò più del dovere sovra questo campo, che non è il mio. Desidero piuttosto e domando che mi sia lecito affermare quel che a me par giusto e vero, voglio dire, che la nazione non arriverà mai a pagare degnamente il debito della immensa gratitudine contratta verso l’uomo, che per oltre un mezzo secolo educò paternamente e fecondamente non una, ma parecchie generazioni di giovani studiosi. Ogni parola che scendeva dal suo labbro, sia che partisse dalla cattedra, o venisse pronunciata fuor della scuola, con quella bonarietà che gli era connaturale, faceva sempre le veci di un proficuo insegnamento, destinato a gettare profonde radici nelle menti e nei cuori dei giovani eletti, i quali erano avvezzi a vedere in lui, più che il maestro, il compagno e l’amico.
E se io dica il vero, basterà ricordare le splendide dimostrazioni di reverenza e di affetto, che l’Ateneo romano gli rese nel 26 giugno 1895 per il giubileo del suo insegnamento, con la presentazione di un
album, che insieme alle firme degli uomini più eminenti nella scienza di tutta Europa portava ancor quelle numerosissime dei vecchi e dei nuovi scolari, che intendevano esprimere al venerato maestro la riconoscenza dei cuori.
Ma di ciò abbastanza, perché ho altresì il dovere di considerare questo nostro collega nella veste di deputato e di senatore.
Angelo Messedaglia fu deputato del collegio di Verona dalla 9ª alla 14ª legislatura, sorteggiato due volte per eccedenza dei deputati professori. Stretto di antica amicizia coi maggiori uomini della Destra parlamentare prese posto in mezzo a loro, e partecipò largamente ai lavori della Camera; ma la natura dell’uomo non gli consentì di entrare nella schiera dei deputati battaglieri. Egli poteva essere ed emerse fra gli uomini politici, ma non era e non poteva essere un politicante.
Rimangono particolarmente di lui alcuni buoni, anzi eccellenti lavori, quali una dotta relazione sul riordinamento dell’imposta fondiaria, che non porta il suo nome perché in quel tempo aveva dovuto per causa del sorteggio abbandonare il suo posto di deputato, ma era opera interamente sua, giudicata generalmente, allora come oggi, come un capolavoro del genere.
Onde avvenne che vivamente pregato da coloro stessi che tenevano in quel tempo la direzione della cosa pubblica (e non erano di parte sua), il Messedaglia consentì a difendere, come difese strenuamente in qualità di commissario regio presso la Camera dei deputati e quindi in Senato le conclusioni della Commissione che erano cosa sua e divennero legge dello Stato.
In que’ giorni e più precisamente nel maggio 1884, Angelo Messedaglia entrava a far parte del Senato, dove festevolmente accolto dai numerosi amici ed ammiratori suoi, non cessò mai coll’autorità del nome e con la sapienza del consiglio, spesse volte richiesto ed ascoltato sempre nelle occasioni solenni, non cessò mai di esercitare quella salutare influenza di cui egli solo, nella sua incomparabile modestia, non seppe rendersi la giusta ragione.
Aggiungerò soltanto che il Senato lo chiamò spesse volte a far parte di speciali ed importanti commissioni e dovrà adesso sostituirlo nella qualità di membro e presidente della Commissione della biblioteca che tenne per lunghi anni con grande amore e particolare competenza.
In quell’ambiente soltanto, lo scienziato sentiva la pienezza e la dolcezza della vita.
Così eletto e rieletto vicepresidente dell’Accademia dei Lincei, pareva a lui di aver toccato oramai il più alto grado a cui potesse aspirare in quel congresso di dotti. Fu soltanto d’appresso alle sollecitazioni ed alle più vive istanze dei colleghi che consentì, nello scorso anno, ad assumere l’ufficio di presidente, reso vacante per la morte del senatore Beltrami.
Ma gli onori non ricercati, e le testimonianze di rispetto e della stima universale di cui godeva nel mondo, non valsero mai ad alterarne di un punto i costumi e le consuetudini della vita privata, che furono e rimasero sempre di una semplicità ammirevole. Angelo Messedaglia portava scritto nel volto la bontà infinita del cuore, e di lui si può a buon diritto affermare che passò sopra questa terra, con sicura coscienza di aver vissuto una lunga vita di lavoro, senza odi e senza rimorsi, alieno per sentimento e per carattere da tutto ciò che vi ha di ornamentale nei costumi del tempo, intento sopratutto ad instillare nel cuore della gioventù affidata alle sue cure il culto del giusto e del sommo vero: questi grandi obbiettivi della scienza, la quale non è, o cessa di essere tale, se non è accompagnata dalla dignità del carattere e dalla indipendenza del pensiero, che il compianto collega si studiò sempre di custodire con gelosa cura in tutti gli atti della sua vita di scienziato e d’uomo politico.
Ora egli è sparito da questa terra, che amaramente si duole della perdita di un tanto uomo, rapito alla patria e più specialmente alla scienza, il quale fin negli ultimi giorni del viver suo si faceva una festa d’insegnare dalla cattedra alla numerosa gioventù, che formava sempre l’oggetto delle sue più affettuose cure. Ma se l’Italia piange, noi che non vedremo più mai la figura gioconda ed onesta del collega ed amico carissimo seduto sopra il suo banco di senatore, sentiamo anche più vivo il rammarico di averlo perduto, perché in questa Italia che conta tanti uomini preclari, lo scienziato si cerca e si trova, ma l’amico non torna più.
Angelo Messedaglia è salito a più spirabil aere. Ma s’egli è vero che gli spiriti eletti amano spesse volte di spingere lo sguardo sopra questa terra, dove hanno lasciato largo desiderio di sé, Angelo Messedaglia non si dovrà, se a nome di tutti voi io gli rivolgo il supremo saluto dei cuori. (
Vive approvazioni). […]
PIERANTONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERANTONI. L’onorevole nostro Presidente ha detto giustamente che Angelo Messedaglia fu lustro ed orgoglio del Senato. Il caro estinto lasciò qui ricchissima eredità di affetto, perché pochi uomini ebbero ingegno potente, vastissimo come il suo, e bontà pari a quella del suo animo.
Anche l’Ateneo romano si gloria di aver avuto in lui un insegnante sapiente quanto buono. Il Messedaglia ebbe sempre immensa bontà per i colleghi e un sorriso continuo per i giovani che vedevano in lui l’immagine dei genitori lontani.
L’università ha nei suoi ordinamenti la regola che solamente dopo dieci anni dalla morte si possano decretare onori ai professori defunti; ma, tanta è viva la gloria che accompagna il nome di Angelo Messedaglia e che lo raccomanda alla storia delle scienze, che la Facoltà ha di già deliberato che un busto marmoreo lo ricordi alle generazioni venture, ed ha ordinato un elogio, a cui certamente il Senato vorrà intervenire.
Io, che fui sempre amico suo affettuoso, nel tempo della vita, che ancora mi avanza, mi sentirò onorato di averlo avuto collega nella Camera dei deputati, nel Senato e nell’insegnamento nazionale. (
Bene).
LAMPERTICO. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
LAMPERTICO. Di Angelo Messedaglia, in nome dell’Accademia dei Lincei, ho detto ai funebri onori in Verona.
Di Angelo Messedaglia, dirò all’Istituto veneto, dove io era con lui l’anziano. A me quindi in quest’Aula non rimane che associarmi alle parole dette dal presidente del Senato, come mi associo a quello che il presidente del Senato ha detto in onore del senatore Salis e del senatore Bizzozero.
In questo momento, dunque, non mi rimane che di rendere io pure particolarmente onore a chi ha saputo intuire nella scienza la forza poderosa, la quale può rialzare l’Italia a miglior destino. (
Approvazioni). […]
ZANARDELLI,
presidente del Consiglio. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ZANARDELLI,
presidente del Consiglio. […]
Ma soprattutto io sento poi vivissimo il bisogno di aggiungere alcune parole a quelle che l’illustre Presidente ha pronunziate commemorando Angelo Messedaglia.
Sento vivissimo questo bisogno per un motivo specialissimo, ed è che Angelo Messedaglia, con un altro dei vostri colleghi, che non vedo presente, era il più antico amico che io mi avessi in Parlamento, poiché ho trascorso con esso alcuni anni della mia adolescenza nel ginnasio e liceo convitto della sua Verona.
L’amicizia allora stretta non è cessata mai, ed egli, l’amico, non ha cessato di essere quale io lo conobbi in quei primi anni: di una semplicità, di una modestia, di una cordialità tanto più ammirate quando la vastità e la profondità degli studi lo avevano reso illustre nel mondo scientifico.
Egli, consigliere ricercatissimo, ispiratore assiduo di uomini politici eminenti, prodigavasi ad altri, ripugnante dal mettere innanzi se stesso; e mentre ogni ambizione sarebbe stata in lui di pieno diritto, non ne ebbe, non ne conobbe alcuna.
Non io certamente ripeterò male ciò che l’illustre Presidente ha detto benissimo rispetto al suo valore intellettuale, rispetto all’efficacia dell’opera sua in quasi sessant’anni di insegnamento universitario e di attività scientifica.
Nondimeno, tralasciando di occuparmi de’ suoi lavori di economia politica e di finanza, così cospicui per dottrina, per chiarezza, per precisione, per profondità d’analisi, non posso omettere, anche per l’ufficio che tenni di ministro di grazia e giustizia, di accennare alla sua eccezionale altezza negli studi statistici.
La perfetta conoscenza ch’egli ebbe delle scienze matematiche e fisiche rese incomparabili i suoi lavori statistici, i quali rifulsero per una spiccata novità di pensiero.
Di ciò si presentano mirabile esempio i suoi studi sulla popolazione che sono fra i primi saggi della demografia come scienza avente una esistenza autonoma; e più ancora i suoi lavori di statistica criminale i quali, rivolti a cercare il miglior metodo per queste importantissime ricerche, dovevano dare al Messedaglia tanta autorità per dirigere la nostra statistica giudiziaria in quella Commissione ch’egli nel Ministero di grazia e giustizia ha presieduto, guida sicura, per moltissimi anni.
In questo campo, egli, emulando gli studi di Guerry e di Quetelet, si è addentrato nelle più profonde disquisizioni della statistica morale, nell’esame di quei conflitti che sembrano sorgere fra la libertà individuale dell’uomo e la ineluttabile regolarità delle serie statistiche dei delitti che voglionsi quasi elevare a leggi sociali.
Quella universalità delle sue conoscenze di cui ho parlato ha assistito meravigliosamente il Messedaglia nella sua Relazione sul disegno di legge per la perequazione fondiaria. Imperocché la erudizione storica, il senso giuridico, la competenza sicura in ogni questione d’indole tecnica attinente ai problemi del catasto, rendono quella relazione fra i più memorabili lavori che onorino gli annali parlamentari.
Anche nelle questioni di pubblica istruzione il Messedaglia recò una grande novità di concetti, e sue furono le proposte per le quali nelle nostre università l’insegnamento della facoltà giuridica ebbe del diritto una più vasta comprensione, e la giurisprudenza fu maggiormente avvicinata al carattere attribuitole dall’antica definizione romana.
E non può essere poi che con grandissima ammirazione che noi vediamo l’ingegno del Messedaglia avvezzo ai più astrusi problemi delle scienze matematiche, uscire da questi studi, e da quelli di finanza, di economia pubblica, di idraulica, di climatologia, per occuparsi di critica letteraria.
La sua coltura in quest’ultime ricerche è attestata dagli scritti in parte inediti, sulle realtà omeriche. In essi studia tutto ciò che in Omero leggesi, sulla navigazione, sulla astronomia, sulla metereologia, paragonando dal lato della precisione dei concetti l’antichissimo poeta con gli altri fra i grandi che gli succedettero, come Virgilio, l’Ariosto, il Tasso.
E all’arte, alla poesia, anche più direttamente si volse, sicché lo vediamo tradurre il
Rule Britannia, l’inno nazionale dell’Inghilterra, le poesie di Moore, e in quelle di Longfellow, ch’egli prediligeva, il fatidico
Excelsior, e il salmo della vita, nel quale l’appello del poeta ad oprare, a lottare, fu dal traduttore, nonostante lo studio di fedeltà scrupolosa, rivestito di elettissima forma.
In questa universalità dell’opera intellettuale, il Messedaglia richiama alla mente i grandi rappresentanti del genio italiano, sicché a buon diritto il Senato ed il paese devono tributarli un mesto rimpianto, una ricordanza solenne. (
Approvazioni vivissime).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 29 aprile 1901.