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Francesco Petrarca a Verona


 

 

GUGLIELMO GUARIENTI DETTO DA PASTRENGO
LEGISTA E LETTERATO PRECLARO EBBE
LA GLORIA DI ACCOGLIERE PIÙ VOLTE IN QUESTA
CASA OSPITE E AMICO FRANCESCO
PETRARCA
SECOLO XIV E.V.

Petrarca giunse a Verona per la prima volta in una situazione drammatica, reduce dalla fuga da Parma nel 1345; vi ritrovò l’amico Guglielmo da Pastrengo, da lui conosciuto ad Avignonecirca dieci anni prima, durante l’ambasciata compiuta da Azzo da Correggio in favore di Mastino II della Scala. Si ritiene che in questa occasione, presumibilmente con l’assistenza dello stesso Guglielmo, egli abbia scoperto nella biblioteca del Capitolo della cattedrale un manoscritto contenente buona parte dell’epistolariociceroniano e ne abbia tratto una copia per sé. Lasciò Verona in autunno per rientrare in Provenza.
Vi fece ritorno all’inizio del 1348, soggiornandovi per brevi periodi (in alternanza con altre città padane) fino al 1351, sempre in compagnia di Azzo da Correggio; nel 1352 riuscì a ottenervi per il figlio Giovanni un canonicato, che però gli fu tolto nel 1354. Intuiamo che negli anni successivi Petrarca continuò a servirsi della disponibilità di Guglielmo da Pastrengo per attingere al pregevole patrimonio librario custodito a Verona: è infatti da un copista veronese che fece esemplare nel 1356 un manoscrittodella Historia Augusta. (da Intercultura)

 

Nato ad Arezzo nel 1304, figlio di un notaio fiorentino esiliato per motivi politici, fin da piccolo Francesco Petrarca fu costretto a seguire i lunghi spostamenti del padre, che lo portarono prima in altre città toscane e poi ad Avignone, in Francia, dove all’epoca si era trasferito il Papato. Il suo primo maestro fu il dotto Convenevole di Prato, al cui magistero seguirono gli studi giuridici, presto oscurati dalla passione per i classici greci e latini. Dopo la morte della madre, Eletta Cangiani, Francesco ritorna ad Avignone, dove decide di prendere gli ordini minori, a differenza di suo fratello Gherardo che voterà invece la sua esistenza al sacerdozio, nel monastero di Montrieux. Nel 1330, il poeta entra al servizio del Cardinale Giovanni Colonna, ma risulta che già fosse stato stipendiato da Giacomo, fratello del porporato. I rapporti con il Cardinale non furono facili, nonostante Petrarca godesse nella casa di prestigio e libertà. Giovanni volle sempre mantenere un ruolo di dominus, atteggiamento ben diverso da quello mostrato da Giacomo, coetaneo, compagno di studi ed intimo amico del poeta. La situazione precipitò quando Francesco non nascose il suo sostegno nei confronti della rivoluzione antinobiliare di Cola di Rienzo, indirizzata anche contro la famiglia Colonna; perciò quando da Parma alla fine del luglio del 1348 giunse notizia della morte del Cardinale, fu solo il triste epilogo di un rapporto nei fatti già compromesso, vivo solo sotto un aspetto formale.

Il periodo 1347-1348 fu in realtà un periodo costellato di eventi funesti. Dopo la scomparsa di Giovanni Colonna lo raggiunse la morte di Laura, stroncata dalla peste ad Avignone nel luglio del 1348. Quando ne ebbe notizia Petrarca si trovava a Verona. Di ritorno dalla Provenza in autunno aveva scelto come dimora la casa di Parma, città dalla quale di sovente si spostava per recarsi in Veneto e in Emilia. Il tempo aveva quasi completamente cancellato la sua passione per Laura, una figura ormai viva solo in metaforizzazioni simboliche, estranea al desiderio ma già presenza immortale nelle sue rime giovanili. L’erotismo, giunto all’immaginario poetico, riempiva l’universo ideologico e concettuale del poeta. È difficile stabilire quanto questi eventi abbiano inciso sull’animo di Francesco, ma essi ebbero una forte valenza simbolica, di frattura e di passaggio da una stagione all’altra della vita, che lo indussero a comprendere di essere giunto a un momento esistenziale decisivo.

Viaggi ed esperienze non erano certamente mancati in una vita in alcuni casi dispersiva, con fughe, ribellioni e prese di posizione sostenute, però, con poca convinzione, visto il perdurare di due punti di riferimento: Avignone e la famiglia Colonna.

Nei confronti della città francese, Petrarca nutriva una assoluta indifferenza, trasformatasi successivamente in odio, per il luogo ed per il tipo di vita al quale lo costringeva il potere politico espresso dalla curia papale. Avignone, però, e di questo Francesco era consapevole, aveva influito fortemente sulla sua formazione come luogo di scambio politico e culturale, in un secolo denso di eventi. L’arrivo, presso il papato di scrittori e dotti provenienti da tutta Europa favoriva il confronto e il dibattito, unitamente alla conoscenza che si accumulava nelle numerose biblioteche private e al fiorente mercato letterario. Tutti elementi fondamentali per la formazione di Francesco, intellettuale lontano dalla scuola e dalle università, orientato a un apprendimento basato sull’interscambio personale, all’interno di circoli selezionati, e nel contatto fisico con i libri.

I Colonna, nonostante essere al loro servizio gli fosse pesato, furono per Francesco ugualmente importanti, dato che solo per loro tramite gli si aprirono diverse possibilità. L’influenza della famiglia in Francia ed in Italia era fondata su una una fitta rete di relazioni che permisero al poeta di accedere ai luoghi dove la ricerca storica e filologica prosperava, spalancandogli le porte di biblioteche e ambienti altrimenti inaccessibili, per venire in possesso di volumi rari e costosi. La stessa incoronazione sul Campidoglio di Roma nell’aprile del 1341 fu promossa dai Colonna, con un’azione prima sotterranea e poi di palese supporto. Fu quello il momento decisivo per la consacrazione di Francesco Petrarca nell’olimpo dei letterati più importanti e famosi d’Europa. Anche la scoperta della città eterna si lega ai Colonna: l’essere stato accolto sotto l’ala protettrice della famiglia gli permise di vivere a fondo l’esperienza romana, conoscere la città, sentirsi cittadino di quella patria ideale vagheggiata in gioventù.

Alla morte del Cardinale, nulla più lo tratteneva ad Avignone, così non aveva impedimento alcuno a trasferirsi in Italia, ma una scelta di quel tipo avrebbe comportato profondi rivolgimenti con l’assunzione di nuovi punti di riferimento, ambientali, sociali e politici. In Italia molti avevano espresso il desiderio di ospitarlo, cosicché qualsiasi scelta doveva, per forza di cose, essere accuratamente motivata, con la conseguenza di una nuova empasse che durò alcuni anni.

Il mito poetico di Laura aveva oramai esaurito le sue espansioni e metaforizzazioni simboliche, riducendosi alla riproduzione, tra revisioni ed accorgimenti, di racconti ed immagini. Solo un evento esterno avrebbe potuto imprimere una svolta rivitalizzante; così la scomparsa di Laura, forse dolorosa per l’amante, stimolò invece forti suggestioni simboliche per il poeta, costretto ora a cercare nuove vie o, perlomeno, a ripercorrere, in altro modo, quelle già conosciute. Francesco aveva perduto il suo universo ed ora, angosciato, cercava il futuro della propria poesia, sospesa tra la volontà di un ritorno ad un rassicurante passato ed un’incerta prospettiva ventura. La scelta fu di natura intimistica: il poeta decise di raccogliere la sua produzione, ordinarla e ad essa affidare l’immagine di sé.

Viaggiatore irrequieto, Petrarca sarà protagonista di numerosi spostamenti tra il 1347 ed il 1351, che toccheranno città come Parma, Verona, Padova, Mantova, piccoli centri come Carpi e Ferrara. Grande rilevanza avrà il suo viaggio a Roma nel 1350 in occasione del Giubileo. Durante questo viaggio, il poeta fece tappa a Firenze ed anche ad Arezzo, circostanze che potrebbero collegarsi ad un desiderio di ritornare alle proprie radici. Né la città dei suoi avi né quella natale suscitarono tuttavia in lui particolari emozioni. Gli unici avvenimenti interessanti furono l’incontro con Lapo di Castiglionchio il Vecchio e la conoscenza di Giovanni Boccaccio, il quale diventerà il suo più importante amico. Il vero ritorno alle origini fu il viaggio a Roma, città sempre in grado di suscitargli grandi entusiasmi, ma assolutamente cambiata rispetto agli anni della gloriosa incoronazione in Campidoglio, tanto da indurre Francesco ad accettare nel 1351 l’invito di Clemente VI a tornare ad Avignone.

La Provenza ospitò Petrarca per altri due anni, un periodo di intenso lavoro, nei quali trovò una nuova vena artistica, ma proprio allora, improvvisa, maturò la decisione di rientrare in Italia. Lasciata la terra di Francia nel 1353, dove non avrebbe mai più fatto ritorno, obbedendo al suo spirito irrequieto e curioso, scelse come dimora Milano, una città sconosciuta, dove la sua natura di uomo senza radici poteva ritrovare nuovo vigore.

Fu però a Valchiusa che nacque in Petrarca l’idea di raccogliere, con un criterio ordinatore e di ampliamento, le rime sparse, sottoposte fino agli ultimi anni di vita a un’intensa attività di edizione e di riorganizzazione, che testimonia il suo genuino interesse per la poesia in volgare.

Il cambiamento introdotto da Petrarca si basa fondamentalmente sull’imposizione di regole, disciplina, ordine alla poetica contemporanea, come avveniva nel Duecento, tesaurizzando e ampliando le potenzialità della lingua poetica toscana che Dante aveva messo in evidenza. Saranno una serie di esclusioni a caratterizzare questo nuovo modello che tanto influenzerà i rimatori a venire; generi, temi e lingua non dovranno mai andare oltre uno specifico canone letterario, duttile, armonico e scevro dalle accidentalità del parlato. La produzione originale sarebbe andata negli anni man mano scemando, lasciando il posto ad un certosino lavoro di cesura e ordinamento, foriero anche su questo terreno di epocali novità in quanto la frammentarietà, tipica fino ad allora del componimento poetico, veniva abbandonata per creare, attraverso le singole liriche, momenti intimi tra loro collegati in un disegno complessivo morale, introspettivo e personale, a testimonianza della propria esperienza di uomo, amante e poeta. Francesco, però, avrà sempre presente l’originaria frammentarietà delle rime, definendole sparse ofragmenta, pur consapevole dell’organicità del proprio lavoro.

Nella redazione definitiva il Canzoniere sarà formato da 366 rime, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. L’innamoramento e la morte di Laura giustificano la divisione dell’opera in due parti, in vita e in morte di Madonna Laura. La prima parte è segnata da un grande numero di rime legate alla vicenda d’amore e si conclude con un elogio di Laura, simbolicamente raffigurata attraverso l’alloro, Arbor Victoriosa, triumfale, 263, esaltata anche per virtù e castità. La seconda è aperta da una canzone che osserva l’errore dell’infatuazione, I’vo pensando et nel penser m’assale, 264, a causa della quale Francesco ha creduto, sbagliando, in un bene fatuo. È il senso voluto imprimere da Francesco all’ordine delle sue rime a caratterizzarne la specificità come risultato di una complessa elaborazione, con spostamenti di collocazione dettati dagli scopi senza tenere conto della data di composizione, ma rispondenti all’ideale sviluppo che quei frammenti dovevano delineare, anche, se necessario, attraverso la composizione, di rime atte a colmare i vuoti di quel disegno. La costruzione di una sorta di romanzo della propria vita e del proprio amore, nel quale gli avvenimenti risiedessero nelle sfumate allusioni, nascoste o visibili nelle sue rime, sempre seguendo quel disegno specifico maturato negli anni della riflessione, il periodo compreso tra il 1332 e il 1348: questa è l’intenzione sottesa alla creazione da parte di Francesco Petrarca del Canzoniere.

Un medesimo criterio organico lo ritroveremo anche nelle opere in latino che il poeta stava componendo in quello stesso periodo, opere erudite, ispirate dalla conoscenza di testi storici e morali degli antichi, una sorta di riproposizione del modello cristiano e letterario delle raccolte di exempla, risalenti esse stesse a Valerio Massimo e Svetonio autori di raccolte e biografie di personaggi illustri. Il De viris illustribus, destinato a delineare il profilo di uomini politici e guerrieri, come Romolo e Catone, e di personaggi biblici, quali Abramo, Mosé ed Ercole, è l’opera nella quale il segno della nuova tendenza di Petrarca è più forte, imprimendo nel suo percorso culturale lo spostamento dai temi giuridici e teologici ad argomenti storici e morali atti a scandagliare la storia e la conoscenza dell’uomo. I Rerum memorandum libri, raccolta di aneddoti, vicina al modello di Valerio Massimo, va anch’essa in questa direzione con una particolare attenzione all’esempio morale come guida indispensabile per l’uomo. L’interesse storico si esprime invece nel poema in esametri Africa, voluto per celebrare la grandezza e la gloria di Roma, ma interrotto al IX libro. L’opera doveva avvicinarsi al modello classico della poesia, mescolando, memore dell’insegnamento virgiliano, motivi epici e sentimentali, intrecciando le gesta di Scipione, liberatore della città eterna, con la tragica vicenda amorosa di Massinissa e Sofonisba.

Gli onori e la persistente passione amorosa diverranno per Francesco uno stimolo ad interrogarsi sulla sua esistenza terrena, minacciata dall’allontanarsi dalla prospettiva eterna, dettata dalla cristianità. Francesco indagò la contrapposizione tra la vita contemplativa e quella mondana, allora per lui prevalente, giungendo ad una profonda introspezione dell’esistenza, divisa tra la gioia e la paura della morte, temi analizzati nelSecretum, dialogo in tre libri sulla conflittualità dei suoi sentimenti, i cui interlocutori sono Sant’Agostino e Francesco, il poeta incapace di sradicare il male dalla sua anima, pur conoscendone l’origine. Il Secretum è un dialogo interiore alla presenza della verità, dove il ruolo di maestro e guida spirituale è riservato ad Agostino, il quale rappresenta anche la coscienza stessa del poeta che, appellandosi alle Sacre Scritture ed ai testi morali degli antichi, osserva la vera natura del male, insito nella volontà, ma dovuto, secondo Francesco, alla fragile natura umana sempre in balia della fatalità e del destino che le è riservato. Il primo libro osserva gli ostacoli frapposti inconsapevolmente dall’uomo stesso sulla strada della propria salvezza. Il secondo libro analizza, canonicamente, i vizi capitali, puntando l’attenzione sull’acedia-la latina aegritudo-, l’accidia, quella condizione angosciosa causata all’uomo dal terrore della morte. Nel terzo libro il significato di amore e gloria come beni eterni o tramiti verso la perfezione morale e l’immortalità viene confutata, sgombrando l’animo di Francesco dalla fede in questa effimera illusione. La contrapposizione tra la vita contemplativa ed il materialismo esistenziale diventa nelle ultime pagine del Secretum un problema di natura culturale e letteraria, con Francesco che si chiede se sia ancora possibile per lui occuparsi di scrittori pagani, o metterli da parte, intensificando il suo rivolgersi al Creatore. Petrarca confessa così la volontà di completare gli studi eruditi, sebbene consapevole del loro limite e del suo desiderio di santità. L’amore per i classici è per Francesco una scelta culturale ed esistenziale, universo cui è necessaria la contemplazione dovuta alla religione: la solitudine diventa l’impegno morale del laico che, dedito durante la giornata a nobili occupazioni, studia, conosce se stesso e quale ruolo gli è riservato nel mondo.

Il De vita solitaria, composto a Valchiusa nel 1346-1347, mostra questa vita ideale, affiancandosi, e non contrapponendosi, alla contemplazione dell’esistenza ascetica e monastica. Il De ocio religioso, un trattato sulla vita ascetica, scaturito da una visita al caro fratello Gherardo a Montrieux, è la consacrazione della felicità monastica, condizione privilegiata per la tradizione cristiana. Francesco pare anelarla quale risoluzione degli affanni, delle paure, dei dolori e delle insicurezze dell’umanità.

Durante la difficile e complessa rielaborazione delle rime sparse, Francesco concepì anche i Trionfi, un poema in volgare intriso della sua riflessione ideologica, presentata sotto forma di narrazione simbolica. Il titolo è ispirato dalle spettacolari e successive rappresentazioni, cui il poeta immagina di assistere come in una visione significativa sul vero senso della vita. Le parti del poema- composto di terzine come la Commedia dantesca- sono sei, derivanti dal modello del sommo poeta anche per l’alternarsi di personaggi e situazioni esemplari, illustrate da una guida che accompagna Francesco in questo viaggio immaginario. L’impianto è invece petrarchesco per quanto concerne la disposizione delle parti, risalenti ai temi della meditazione del poeta operata nei Rerum vulgarium Fragmenta e nel Secretum. Francesco protrarrà la composizione dei Trionfi fino agli ultimi anni della sua vita, conclusasi il 19 luglio del 1374 ad Arquà, sui Colli Euganei, dove si era trasferito dal 1370 dopo che Francesco di Carrara gli aveva donato un terreno.

Figura prestigiosa, già quando era in vita, Petrarca ha influenzato gli intellettuali di ogni epoca, diventando il primo fulgido esempio di una nuova, autonoma ed apprezzata professionalità, quella del dotto finalmente abile a districarsi tra le asprezze della politica e gli incanti del metro poetico, segnando quel passaggio epocale che ha donato all’uomo di lettere la giusta dignità, tante volte negatagli in passato a causa di pregiudizi antichi e senza fondamento.

Fonte: Italia libri

Francesco Petrarca

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« Il saggio muta consiglio, ma lo stolto resta della sua opinione. »
(F. Petrarca, Ecloghe, VIII)

Francesco Petrarca

Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304Arquà, 18 luglio 1374) è stato uno scrittore e poeta italiano. L’opera per cui Petrarca è universalmente noto è il Canzoniere. Molto importante è anche il Secretum in cui Petrarca dialoga con S.Agostino alla presenza muta della Verità.

Petrarca, nonostante si considerasse soprattutto, come tutti gli eruditi del suo tempo, un autore di lingua latina, svolse un ruolo essenziale per lo sviluppo della poesia italiana in volgare. L’opera lirica di Petrarca, come è stato sottolineato dalla critica, somma infatti in sé tutte le esperienze della poesia italiana delle origini, compiendo tuttavia una selezione dal punto di vista della metrica (stabilendo ad esempio precise regole sull’accentazione degli endecasillabi che all’epoca di Dante era ancora meno codificata) e negli argomenti (escludendo dal canone tematico gli elementi goliardici e realistici che nel Duecento erano stati presenti e che continuavano ad avere successo nel Trecento) che influenzò fortemente tutta la poesia a venire. Il fenomeno del petrarchismo costituisce uno dei capitoli più complessi nella storia delle tradizioni letterarie europee.

Indice

Biografia

Ritratto di Francesco Petrarca, Altichiero, 1376 circa.

Francesco era figlio di Eletta Cangiani (o Canigiani) e del notaio ser Pietro di Parenzo di Garzo dell’Incisa (soprannominato Ser Petracco, noto nei documenti come Petraccolus o Petrarca, da cui il cognome del figlio), entrambi fiorentini. Ser Petracco apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi[1] e fu amico di Dante Alighieri, esiliato da Firenze nel 1302 per motivi politici legati all’arrivo di Carlo di Valois ed alle lotte tra guelfi bianchi e neri. La sentenza del 10 marzo 1302 con la quale Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, condannava Ser Petracco all’esilio, è la stessa con la quale a Dante Alighieri veniva ingiunto di seguire lo stesso fato: una sentenza, quindi, destinata ad influenzare profondamente la storia della letteratura italiana.

A causa dell’esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l’infanzia in Toscana – prima ad Incisa e poi ad Arezzo e a Pisa – dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. Ma già nel 1311 la famiglia (nel frattempo era nato nel 1307 il fratello Gherardo) si trasferì a Carpentras, vicino Avignone (Francia), dove Petracco sperava di ottenere incarichi presso la corte papale.

Malgrado le inclinazioni letterarie, manifestate precocemente nello studio dei classici e in componimenti d’occasione, Francesco, dopo gli studi grammaticali compiuti sotto la guida di Convenevole da Prato, venne mandato dal padre prima a Montpellier e dal 1320, insieme a Gherardo, a Bologna per studiare diritto civile. Qui, probabilmente, Francesco venne per la prima volta in contatto con la tradizione poetica italiana.

Morto il padre, poco dopo il rientro in Provenza (1326), Petrarca, come lui stesso racconterà sia nelle lettere sia in poesia, incontrò il 6 aprile 1327, venerdì santo, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, Laura e se ne innamorò. Un amore autentico per una donna reale (come insistette il poeta nelle sue confessioni), del quale non restano tuttavia dati documentati: come apprendiamo dalle opere di Petrarca, questo amore non venne ricambiato perché la donna era già sposata, e venne assunto tra i motivi centrali dell’esperienza umana e poetica dello scrittore. Fin dalle antiche vite di Petrarca è stata proposta l’identificazione di Laura con Laura de Noves, coniugata con Ugo de Sade.

Attorno al 1330, consumato il modesto patrimonio paterno, Petrarca si diede alla carriera ecclesiastica, abbracciando gli ordini minori. In questo periodo fu assunto come cappellano di famiglia dal cardinale Giovanni Colonna, fratello di Giacomo Colonna, anch’esso amico del poeta, nominato vescovo di Lombez nel 1330. Come lui stesso scrisse in una lettera al fratello, trascorse il periodo avignonese negli studi, senza peraltro trascurare i piaceri mondani; proprio da due relazioni avute nel 1337 e nel 1343 nacquero i figli Giovanni e Francesca, che legittimò solo in seguito, curandone la sistemazione economica e l’educazione.

Appoggiato dalla illustre e potente famiglia romana dei Colonna (fu amico anche di Stefano e Giovanni Colonna), compì in quegli anni numerosi viaggi in Europa, spinto dall’irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l’intera sua agitata biografia: fu a Parigi, a Gand, a Liegi (dove scoprì due orazioni di Cicerone), ad Aquisgrana, a Colonia, a Lione.

Ad Avignone e ritorno

Ritratto di Petrarca di Altichiero da Zevio

Parallelamente alla formazione culturale classica e patristica, cresceva il suo prestigio in campo politico: nel 1335 ebbe inizio il suo carteggio con il Papa, inteso non solo a sedare alcune rivolte nella penisola, ma anche a ottenere il ritorno della sede pontificia da Avignone a Roma, affinché si mettesse fine alla cosiddetta cattività avignonese. A questo periodo (13361337) risalgono anche la prima visita dell’Urbe, il trasferimento da Avignone a Valchiusa, attualmente Fontaine-de-Vaucluse nel dipartimento francese della Vaucluse, dove aveva acquistato una casa e la nascita di un figlio naturale, Giovanni, che morì poi in giovane età. All’anno successivo risale il progetto delle opere umanisticamente più impegnate, la cui parziale stesura, dell’Africa in particolare, gli procurò tale notorietà che contemporaneamente (il 1º settembre 1340) gli giunse da Parigi e da Roma il desiderato invito dell’incoronazione poetica.[2]

Scelta Roma, preparata l’orazione per la solenne cerimonia, Petrarca scese in Italia a Napoli[3], ove, sotto il patrocinio del re Roberto D’Angiò, lesse alcuni episodi del poema e discusse, in tre giornate, di poesia, dell’arte poetica e della laurea: l’8 aprile del 1341, per mano del senatore Orso dell’Anguillara, veniva incoronato in Campidoglio a Roma magnus poeta et historicus, e otteneva il privilegium laureae. Questo altissimo riconoscimento, che sarà al centro della battaglia combattuta da Petrarca per il rinnovamento umanistico della cultura, lo confortò a proseguire la stesura dell’Africa, ospite di Azzo da Correggio a Parma e a Selvapiana, in Valdenza, sino al 1342.

Altri eventi si verificarono durante la sua vita a Valchiusa: come la conoscenza di Cola di Rienzo, alle cui istanze Petrarca ottenne dal Papa la promessa della proclamazione, nel 1350, del giubileo romano, la monacazione (tra i certosini di Montreux-Jeune) di Gherardo, la nascita (da una misteriosa relazione) di una figlia illegittima, Francesca.

Da Napoli a Milano

Statua di Petrarca, Uffizi a Firenze

Verso la fine del 1343 ritornò, per incarico del Papa, a Napoli, ripassò da Parma e si recò, infine, a causa della guerra che turbava l’Emilia, a Verona, dove scoprì i primi sedici libri delle Epistole ad Attico e le Epistole a Quinto e a Bruto di Cicerone. Dall’autunno del 1344 al 1347 risiedette a Valchiusa, donde lo distolse l’entusiastica adesione alla rivolta di Cola, ben presto smorzata amaramente dagli eventi, quando già aveva varcato le Alpi.

Rinunciò al viaggio romano e si arrestò a Parma, dove lo raggiunse la notizia (19 maggio 1348) della morte di Laura, colpita dalla peste così come gli amici Sennuccio del Bene, Giovanni Colonna, Francesco degli Albizzi.

Lasciata Parma, Petrarca riprese a vagabondare per l’Italia (fu a Carpi e a Ferrara, a Padova su invito di Francesco da Carrara, a Mantova, a Firenze, ove rinnovò i legami di amicizia con Giovanni Boccaccio e altri letterati toscani, e a Roma), fino al 1351, quando, rifiutata ogni altra offerta, rientrò (anche su pressione papale) in Provenza, dove scrisse le prime Epistole a Carlo IV di Boemia perché scendesse in Italia a sedare le rivolte cittadine.

Nel giugno del 1353, in seguito alle aspre e pungenti polemiche ingaggiate con l’ambiente ecclesiastico e culturale di Avignone, Petrarca lasciò definitivamente la Provenza e accolse l’ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano[4]. Malgrado le critiche di amici e nemici, che gli rimproveravano la scelta di mettersi al servizio di un signore che avrebbe presumibilmente limitato la sua libertà, collaborò con missioni e ambascerie (a Genova, a Venezia e a Novara, incontrò l’imperatore a Mantova e a Praga) all’intraprendente politica viscontea, cercando di indirizzarla verso la distensione e la pace.

In Italia, fino alla morte

Nel giugno del 1359 per sfuggire alla peste abbandonò Milano per Padova e quindi nel 1362 per Venezia, dove la Repubblica Veneta gli donò una casa in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d’Europa, alla città lagunare. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di “bibliotheca publica”.[5].

Il tranquillo soggiorno veneziano, trascorso fra libri e amici, fu turbato nel 1367 dall’attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all’opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti: amareggiato per l’indifferenza dei veneziani, Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l’invito di Francesco da Carrara e si stabilì a Padova; di lì a poco (1370), si trasferì con i suoi libri ad Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, nel quale si era occupato – come sua abitudine – di far adattare e restaurare una modesta casa, generoso dono del tiranno padovano[6]. Tra le famiglie padovane che gli furono più vicine ci fu quella dei Peraga e in particolare con i due fratelli frati Bonsembiante e Bonaventura Badoer Peraga.

Da Arquà (dove l’aveva raggiunto la figlia Francesca assieme al marito Francescuolo da Brossano) si mosse di rado: una volta per sfuggire alla guerra scoppiata tra Padova e Venezia, un’altra per pronunciare una solenne orazione che ratificava la pace tra le due città venete. Tanto che rifiutò la nomina a diventare segretario papale ad Avignone con la conseguente carica di cardinale.

Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374, esattamente alla vigilia del suo settantesimo compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come auspicato in una lettera al Boccaccio[7]. Il frate dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto, da tutte le autorità, per tessere l’orazione funebre a nome di tutti. Per volontà testamentaria, le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese; furono poi collocate dal genero in un’arca marmorea accanto alla chiesa.

Opere

Opere latine in versi

  • Africa – scritto fra il 1339 e il 1342 e in seguito corretto e ritoccato è un poema eroico incompleto che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di Scipione.
  • Bucolicum carmen – composto fra il 1346 e il 1357 e costituito da dodici egloghe, gli argomenti spaziano fra amore, politica e morale.
  • Epistolae metricae – scritte fra il 1333 e il 1361, sono 66 lettere in esametri, di cui alcune trattano d’amore ma in maggioranza si occupano di politica, morale o di materie letterarie. Alcune sono autobiografiche.
  • Carmina varia – Si ricompone un materiale testuale disperso in vari luoghi:
1-6: F. Petrarchae, Poemata minora quae extant omnia, vol. III, Mediolani 1834.
7-24: K. Burdach, Von Mitteralter zur Reformation. IV. Aus Petrarcas Altestem Deutschen Schülerkreise, Berlin 1929.
25: E.H. Wilkins, The Making of the “Canzoniere” and other petrarchan Studies, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1951, pp.303.
26: G. Billanovich, Un carme ignoto del Petrarca, “Studi petrarcheschi”, V (1989) pp.101-25.

Opere latine in prosa

  • De viris illustribus – (1337) è una raccolta di biografie di uomini illustri in prosa latina redatta a partire dal 1337 e dedicata a Francesco da Carrara signore di Padova nel 1358. Nell’intenzione originale dell’autore l’opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da Romolo a Tito, ma arrivò solo fino a Nerone. In seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L’opera rimase incompiuta e fu continuata da un amico di Petrarca, Lombardo della Seta, fino alla vita di Traiano.
  • Rerum memorandarum libri -sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d’educazione morale in prosa latina. La redazione risale al 1350 circa e l’opera rimase incompiuta rispetto alle intenzioni del poeta.
  • Itinerarium ad sepulcrum Domini, descrizione dei luoghi che si incontrano viaggiando da Genova a Gerusalemme.
  • Secretum o De secreto conflictu curarum mearum – (composta tra il 1347 ed il 1353, ed in seguito riveduta) è un’opera in prosa latina, articolata come un dialogo immaginario in tre libri tra il poeta stesso e Sant’Agostino, alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità. Si tratta di una sorte di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta e per questo non sembra essere stato concepito per la divulgazione (da cui, forse, il titolo Secretum).

Il primo libro tratta del male in generale e conclude, appunto secondo il pensiero agostiniano, che esso non esiste, ma è causato da un’insufficiente volontà di bene, causata dalle passioni terrene che annebbiano lo spirito: Petrarca stesso non può non guarire, ma non vuole (per questo si è soliti affermare che la sua malattia è una “voluptas dolendi”, una voglia nel contempo di liberarsi dall’accidia, ma continuare a conviverci, perché era questa la “scusa” dietro cui l’autore si nascondeva e rifugiava spesso).

Nel secondo libro vengono analizzate le passioni negative del Petrarca stesso, tra le quali egli si sofferma soprattutto sull’accidia che lo tormenta, sottolineando di essere affetto dalle colpe di tutti i peccati capitali, tranne l’invidia (era stato più volte accusato di invidiare il Sommo Poeta Dante, accuse che cercò immediatamente di dissipare).

Nel terzo si esaminano altre due passioni del poeta, in particolare l’amore per Laura e l’amore per la gloria, considerate le due più gravi colpe di Petrarca, che gli impediscono di raggiungere l’equilibrio spirituale cui tanto aspirava: per quanto il poeta dia ragione a Sant’Agostino che gli consiglia di rinunciarvi, egli però non sa come poterne fare a meno.

  • De vita solitaria – (1346-1356 circa) Il De vita Solitaria (“la vita solitaria”) è un trattato di carattere religioso e morale. Fu elaborato nel 1346 ma successivamente ampliato nel 1353 e nel 1366. L’autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all’ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l’isolamento operoso dell’intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L’isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l’unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l’espressione di “umanesimo cristiano” di Petrarca.
  • De otio religioso – (1346 – 1356) è un trattato in prosa latina, redatto all’incirca tra il 1346 e il 1356 ed è un’esaltazione della vita monastica. Simile al De vita solitaria, esalta la solitudine in particolare quella legata alle regole degli ordini religiosi (otium = tranquillità di spirito), definita come la migliore condizione di vita possibile.
  • De remediis utriusque fortunae – (1360–1366) è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina, redatta all’incirca tra il 1360 e il 1366 ed composta da 254 scambi di battute tra entità allegoriche: prima il “Gaudio” e la “Ragione”, poi il “Dolore” e la “Ragione”.

Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l’individuo contro i colpi della Fortuna sia buona che avversa.

  • Invectivarum contra medicum quendam libri IV – (1355)
  • De sui ipsius et multorum ignorantia – (1368)
  • Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia o Contra eum qui maledixit Italie
  • Epistole (Familiares, Seniles, Sine nomine, Variae)
  • De gestis Cesaris
  • Psalmi penitentiales
  • Posteritati – epistola esclusa per sua stessa volontà dalla raccolta Seniles, in cui il Petrarca si descrive per i posteri con gli attributi che poi saranno propri dell’umanista (cioè il recupero della civiltà classica e l’amore per il latino)
  • Contra quendam magni status hominem
  • Collatio laureationis
  • Collatio coram Johanne rege
  • Collatio inter Scipionem, Alexandrum, Hannibalem
  • Arringhe
  • Orationes
  • Testamentum

Raccolte epistolari

Di estrema importanza le epistole latine. Raccolte “d’autore” delle lettere inviate da Petrarca, disposte in ordine cronologico, le epistole contribuiscono a costruire l’immagine autobiografica che il poeta stesso ha voluto offrire di sé ai posteri. Petrarca infatti tendeva sempre a offrire di sé una figura ideale. Le epistole per essere inserite nelle raccolte passavano attraverso tre fasi:

  • Fase GAMMA: le epistole sono sciolte e atte a dare una comunicazione immediata, è la fase più antica. Non ha interesse a raccoglierle ed a pubblicarle.
  • Fase BETA: le epistole vengono raccolte ed è la fase mediana. Petrarca decide di pubblicarle e metterle tutte insieme.
  • Fase ALFA: le epistole sono ultimate ed è la fase finale. Procede con le correzioni e le pubblica.

Petrarca fu uno scrittore di lettere eccezionalmente proficuo. Le sue sono lettere nell’accezione Ciceroniana, Senechiana e poi umanista. Sono scritti rivolti a singoli interlocutori che abbiano però un forte impegno concettuale. Il fatto che siano lettere diverse da come noi le intendiamo è chiaro per due fattori:

  1. Petrarca non solo ritocca e modifica alcune lettere vecchie, ma ne scrive ex novo retrodatandole.
  2. Alcune delle sue lettere non sono indirizzate a corrispondenti reali, bensì a grandi personaggi dell’antichità.

Le raccolte di epistole petrarchesche sono note come Familiares, Seniles e il Sine nomine liber, contenente epistole di natura politica e polemica che miravano a tenere nascosto il nome dell’interlocutore; infine le Variae (titolo con cui gli studiosi designano tutte le lettere che Petrarca non inserì nelle altre raccolte).

Opere in volgare

  • Il Canzoniere (titolo originale: Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta) è la storia poetica della vita interiore del Petrarca. La raccolta comprende 366 componimenti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali [NB.- Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti].

La maggior parte delle rime del Canzoniere è di argomento amoroso; una trentina è invece di argomento morale, religioso o politico. Sono celebri le canzoni Italia mia e Spirto gentil nelle quali il concetto di patria si identifica con la bellezza della terra natale, sognata libera dalle lotte fratricide e dalle milizie mercenarie. Fra le canzoni più celebri ricordiamo anche Chiare, fresche et dolci acque e tra i sonetti Solo et pensoso.

La raccolta è stata comunemente divisa dagli editori moderni in due parti: rime in vita e rime in morte di Madonna Laura. In realtà il Petrarca curò ben nove stesure successive del Canzoniere, includendovi rime già composte fin dalla prima giovinezza sia per Laura, sia per altre donne (ed attribuendo queste ultime a Laura), realizzando altre rime che finse di aver scritto quando l’amata era ancora in vita ed aggiungendone altre ancora, in modo da rappresentare Laura come l’unico puro amore che conduce a Dio, secondo una concezione teleologica e mistica dell’amore, quale si ritrova già nel Dante della Vita nova e della Commedia. Sarebbe dunque improprio far coincidere la collocazione dei vari testi nell’opera con l’effettivo ordine cronologico della composizione. Ciononostante, la bipartizione tra rime “in morte” e “in vita” sembrerebbe riconducibile alla volontà dell’autore.

L’amore per Laura è il centro intorno al quale ruota la vita spirituale, ricchissima e originale, del Petrarca, per il quale tutto, spontaneamente, diviene letteratura, collegandosi agli studi dei classici. Da tale substrato di letteratura ha origine la grande poesia petrarchesca. Con il Petrarca la letteratura diventa maestra di vita e nasce la prima lezione dell’umanesimo. Petrarca è consapevole del distacco tra la civiltà a lui contemporanea e cultura antica, e vuole riallacciare i legami con il mondo della civiltà romana evitando le deformazioni dell’epoca medievale. I classici da cui soprattutto trae ispirazione sono Virgilio, Tito Livio, Cicerone, Seneca. Il critico Natalino Sapegno a questo proposito scrive:” la vera filosofia è la morale, allo studio della quale non giovano né i filosofi né i teologi del Medioevo, intenti a discorrere “questi di Dio, quelli della natura favoleggiando in modo temerario”, sì invece si impongono come maestri gli antichi e i padri della Chiesa e il Vangelo“. Petrarca tenta poi, nello sviluppo del suo pensiero, una subordinazione dei classici alla verità cristiana.[8] Tuttavia l’amore e l’ammirazione per i classici sono in costante tensione con l’aspirazione ad una spiritualità immune da tentazioni terrene, quali l’amore e la gloria, che pure i classici proponevano come mete alte e degne dell’uomo. In Petrarca si avvertono contemporaneamente la pena per il dissidio interiore e la ricerca della serenità: lo sconforto, il dolore, la volontà di pentimento, divengono speranza ed anche il pianto per la morte della donna amata trascolora nella figurazione di Laura che scende consolatrice dal cielo. Nella poesia del Petrarca la descrizione dei sentimenti trova riscontro o contrapposizione nel paesaggio.

Il Petrarca perfezionò le forme della tradizione lirica medievale, dai provenzali mutuò ad esempio la forma della sestina, codificandola come genere autonomo rispetto alla canzone, e ne rielaborò i modi poetici. Anche la raffigurazione della donna amata si inquadra nella tematica provenzale: Laura è una donna spiritualmente superiore alla quale il poeta rende omaggio, ma non ha tuttavia nulla di sovrumano; ella è modello di virtù e di bellezza, ma la sua figura non è palpitante di vita, non ha una vera realtà; i suoi tratti umani, i begli occhi, le trecce bionde, il dolce riso, si ripetono immutati. Tuttavia Laura costituisce il fulcro ideale intorno al quale si dispone la vita sentimentale del poeta. Petrarca associa il nome di Laura al lauro, simbolo della gloria poetica, ovvero della sua più grande aspirazione; e gioca sul nome Laura scambiandolo con l’aura (come nel sonetto Erano i capei d’oro a l’aura sparsi).

La seconda parte del Canzoniere si chiude con la canzone cosiddetta Alla Vergine, nella quale il poeta implora perdono e protezione.

  • I Trionfi (Trionfo dell’Amore, Trionfo della Castità (o Pudicizia), Trionfo della Morte, Trionfo della Fama, Trionfo del Tempo, Trionfo dell’Eternità)
  • Frammenti e rime extravaganti
  • Testi del Vaticano latino 3196

L’ascesa al monte Ventoso

Il 26 aprile del 1336 Petrarca, assieme al fratello Gherardo e altri due compagni, scalò il Mont Ventoux, in Provenza (1.912 m s.l.m.). Molto più tardi egli scrisse una memoria del viaggio sotto forma di lettera, nel 1352-53, all’amico Dionigi de’ Roberti da Borgo San Sepolcro, frate agostiniano e professore di teologia e filosofia a Parigi (il quale gli aveva regalato le “Confessioni” di Sant’Agostino, libro che portava sempre con sé). A quei tempi non era usuale scalare montagne senza uno scopo pratico. Per questo il 26 aprile 1336 è considerata la “data di nascita dell’alpinismo“, ed il “Petrarca alpinista” uno dei precursori di questo sport.

In realtà, questa ascensione è tutta basata sull’allegoria. La data stessa è connotata da elementi allegorici.

L’ascensione al monte non è il semplice resoconto di una scalata in compagnia, bensì una lettera di forte valore simbolico e ricca di elementi allegorici. La lettera è datata 26 aprile, mentre l’anno è possibile ricavarlo dal fatto che Petrarca scrive che sono passati dieci anni da quando ha lasciato Bologna (cosa che avvenne nel 1326).

Questa data viene fatta cadere da Petrarca nel giorno di venerdì santo e da ciò si può dedurre che l’autore abbia voluto far avvenire questa esperienza in un giorno importante per ciascun cristiano: quello della Passione di Gesù Cristo. Così come Cristo deve affrontare una salita sotto il peso della croce, allo stesso modo Petrarca deve affrontare una salita e la croce è rappresentata dal conflitto interiore a cui è sottoposto; l’uomo, prima ancora che il poeta, è scisso tra il desiderio di congiungersi fisicamente con Laura e il rispetto della morale cristiana. A differenza del fratello Gherardo, che salirà senza difficoltà, Petrarca sarà costretto continuamente a fermarsi. Ciò non è dovuto all’esser Gherardo un alpinista esperto, ma, in un contesto allegorico, all’esser lui, in quanto frate, estraneo “alla pesantezza” dei beni materiali.

Vista nella sua interezza l’ascensione rappresenta la vita di Petrarca. Le asperità del terreno sono le difficoltà della vita e la cima del monte la salvezza. Tant’è che il Petrarca, ammirando il magnifico panorama dalla cima del monte, aprendo una pagina a caso di una minuscola copia delle Confessioni di Sant’Agostino che portava con sé, lesse alcune parole che lo toccarono profondamente, facendogli capire la futilità delle cose umane.

“E gli uomini – dicevano quelle parole – vanno ad ammirare le vette dei monti e gli enormi flutti del mare, le vaste correnti dei fiumi e il giro dell’Oceano e le rotazioni degli astri, e non si curano di se stessi”.

Dilemma sui resti

Tomba del poeta ad Arquà

Il 5 aprile 2004 vennero resi noti i risultati dell’analisi dei resti conservati nella tomba del poeta ad Arquà Petrarca: il teschio presente, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è stato riconosciuto come femminile e quindi non pertinente. Inoltre un frammento di pochi grammi del cranio, inviato a Tucson in Arizona ed esaminato con il metodo del radiocarbonio, ha consentito di accertare che il cranio femminile ritrovato nel sepolcro risale al 1207 circa. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella tomba del Petrarca è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il vero cranio del poeta. Lo scheletro è stato invece riconosciuto come autentico: esso riporta alcune costole fratturate, infatti Petrarca fu ferito da una cavalla con un calcio al costato.[9].

Onorificenze

Laurea poetica - nastrino per uniforme ordinaria Laurea poetica
— Roma, 8 aprile 1341

Note

  1. ^ Italica – Rinascimento – Francesco Petrarca
  2. ^ Italica – Rinascimento
  3. ^ Sul periodo napoletano del poeta: a cura di M. Cataudella, Petrarca e Napoli, Atti del convegno (Napoli, 8-11 dicembre 2004).
  4. ^ Sul soggiorno milanese di Petrarca: Fondazione Carlo Perini, Associazione amici della Cascina Linterno, Cooperativa G. Donati, Certosa di Garegnano, Petrarca a Milano, la vita, i luoghi e le opere[1], 2007.
  5. ^ Cfr. E. H.Wilkins, Vita del Petrarca e La formazione del “Canzoniere”, a cura di R. Ceserani, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 240-41
  6. ^
    « L’abitazione venne donata a Francesco Petrarca da Francesco I da Carrara, perché potesse trascorrervi la sua permanenza nella città, tra il 1370 e il 1374. Il poeta commissionò interventi di modifica e restauro degli ambienti, fece aggiungere due balconi, costruire tre camini e modificare le finestre secondo lo stile gotico. »
  7. ^ Guido Baldi; Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia, settembre 2001, pp. 3. ISBN 88-395-3058-4
  8. ^ Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, ed. La Nuova Italia, vol. 1, pag. 171.
  9. ^ Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca (EN) .
    Si veda inoltre *Petrarca – il poeta che perse la testa (EN) in The Guardian del 6 aprile 2004, sulla riesumazione dei resti di Petrarca.

Bibliografia

Edizioni critiche

  • Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta. Edizione critica di Giuseppe Savoca, Olschki, Firenze, 2008, ISBN 978-88-222-5744-4
  • Francesco Petrarca, Le familiari. Edizione critica per cura di Vittorio Rossi, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2008, ISBN 88-7166-341-1

Testi

  • Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta. Testo critico e introduzione di Gianfranco Contini, Annotazioni di Daniele Ponchiroli, Einaudi, Torino, 1964, ISBN 978-88-06-00786-7
  • Francesco Petrarca, Canzoniere. Edizione commentata a cura di Marco Santagata, Mondadori, Milano, 1996, ISBN 978-88-04-41022-5
  • Francesco Petrarca, Canzoniere. Rerum vulgarium fragmenta. A cura di Rosanna Bettarini, Einaudi, Torino, 2005, ISBN 978-88-06-16889-6

Studi

  • Antonio Meneghelli, Index F. Petrarchae Epistolarum, quae editae sunt et quae adhuc ineditae, Padova, 1818.
  • Antonio Meneghelli, Sopra due lettere italiane attribuite al Petrarca, Padova, 1824.
  • Adelia Noferi, Le poetiche critiche novecentesche, Le Monnier, Firenze, 1970.
  • Il “Canzoniere” di Francesco Petrarca. La critica contemporanea, A cura di Barbarisi G. – Berra C., LED Edizioni Universitarie, Milano, 1992, ISBN 88-7916-005-2
  • N. Mann, Petrarca [Ediz. orig. Oxford University Press (1984)] – Ediz. ital. a cura di G. Alessio e L. Carlo Rossi – Premessa di G. Velli, LED Edizioni Universitarie, Milano, 1993, ISBN 88-7916-021-4.
  • Carlo Pulsoni, Petrarca e la codificazione del genere sestina, in La sestina (“Anticomoderno” 2), Roma 1996, pp. 55–65 (http://www.insulaeuropea.eu/pulsoni/petrarca_e_la_codificazione.pdf).
  • Carlo Pulsoni, La tecnica compositiva nei “Rerum vulgarium fragmenta”.Riuso metrico e lettura autoriale, Roma 1998.
  • Marco Ariani, Petrarca, Salerno, Roma-Napoli, 2002.
  • Almo Paita, Petrarca e Laura, Milano, 2004, ISBN 88-17-00426-X
  • Monica Febbo, Piotr Salwa, Petrarca e l’unità della cultura europea. Atti del Convegno Internazionale Varsavia 2004 – Edizioni Semper, 2005, ISBN 83-89100-80-0
  • Carmelo Ciccia, Petrarca, Laura e l’umanesimo, in Saggi su Dante e altri scrittori, Pellegrini, Cosenza, 2007, ISBN 978-88-8101-435-4.
  • Carmelo Ciccia, Gli scrittori che hanno unito l’Italia / Sintetica rivisitazione della letteratura italiana nel 150º dell’Unità (1861-2011), Libraria Padovana Editrice, Padova, 2010. ISBN 978-88-89775-24-0
  • Roberta Antognini, Il progetto autobiografico delle “Familiares” di Petrarca, LED Edizioni Universitarie, Milano, 2008, ISBN 978-88-7916-396-5
  • Giuseppe Savoca, Il “Canzoniere” di Petrarca. Tra codicologia ed ecdotica, Olschki, Firenze, 2008, ISBN 978-88-222-5805-2
  • Petrarca e i suoi luoghi. Spazi reali e paesaggi poetici alle origini del moderno senso della natura. A cura di Domenico Luciani e Monique Mosser, Fondazione Benetton Studi Ricerche-Canova, Treviso, 2009, ISBN 978-88-8409-227-4
  • Franco Suitner, Petrarca e la tradizione stilnovistica, Olschki, Firenze, 1977, ISBN 8822222571.
  • Angelo Fabrizi, Cultura degli scrittori. Da Petrarca a Montale, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2006.

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1 commento on Francesco Petrarca a Verona

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