verona monumento ad aleardo aleardi di ugo zannoni - corso cavour Veronesi illustri

Bicentenario delle nascita di Aleardo Aleardi


Il 14 novembre (data dubbia, sulla statua commemorativa risulta il 4) 1812 nasceva a Verona Aleardo Aleardi, poeta e politico.

verona monumento ad aleardo aleardi di ugo zannoni - corso cavour

(fronte)
AD
ALEARDO ALEARDI
N. 4 NOVEMBRE 1812
M. 17 LUGLIO 1878

(sinistra)
I SUOI CANTI
AVVIVARONO NEI GIOVANI
L’AMORE D’ITALIA
CHE LI TRASSE ALLA GLORIA
DELLE PATRIE BATTAGLIE

(retro)
AMMIRATORI ED AMICI
CON LARGO CONCORSO
DEL COMUNE DI VERONA
POSERO
16 OTTOBRE 1883

(destra)
PRIGIONE DELLO STRANIERO
A MANTOVA E JOSEPHSTADT
MAI CEDENDO
A BLANDIZIE A MINACCIE
EBBE L’INVITTA COSTANZA
PER LA LIBERTÀ

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Il poeta Aleardo Aleardi, di Felice Naalin – Marmo monumentale di Carrara.
Istituto Aleardi – Verona (fonte)

Aleardo Aleardi

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sen. Aleardo Aleardi
Stemma del Regno d'Italia Parlamento del Regno d’Italia
Senato del Regno d’Italia
Aleardo Aleardi
Luogo nascita Verona
Data nascita 14 novembre 1812
Luogo morte Verona
Data morte 17 luglio 1878
Professione poeta
Legislatura XI

Aleardo Aleardi, nato Gaetano Maria Aleardi (Verona, 14 novembre 1812 – Verona, 17 luglio1878), è stato un poeta e politico italiano, appartenente alla corrente del romanticismo.

Aleardo Aleardi – il cui nome di battesimo era Gaetano Maria, poi da lui mutato in Aleardo – nacque a Verona nel 1812 da Maria Canali e dal conte Giorgio Aleardi. Dopo aver studiato legge all’Università di Padova insieme con gli amici Giovanni Prati e Arnaldo Fusinato, ritornò a Verona, interessandosi di poesia e di critica d’arte.

Biografia

Tra i suoi primi componimenti vi sono Il matrimonio (1842), un’esaltazione delle nozze come espressione di civiltà, e l’Arnalda di Roca, del 1844, poemetto storico che ha protagonista una giovane donna che muore difendendo il proprio onore: vi è già in esso la ricerca degli effetti scenografici e quel colore drammatico tipico di tutta la produzione successiva dell’Aleardi.

Il primo successo è raggiunto nel 1846 con le due Lettere a Maria, in versi sciolti, nel quale il poeta si rivolge a un’amica proponendole un amore platonico: è un’occasione per manifestare la sua fede nell’immortalità dell’anima ed effondere i suoi affetti sentimentali nello spirito di un romanticismo di maniera.

Assiduo frequentatore del salotto della contessa Anna Serego Gozzadini Alighieri, ne corteggiò la figlia Nina, dedicandole numerose composizioni poetiche. Ai moti risorgimentali del 1848, fu inviato a Parigi da Manin a chiedervi aiuti per la ricostituita Repubblica Veneta. Fu arrestato nel1852 e rinchiuso per qualche mese nella fortezza di Mantova: ne seguì un periodo di depressione e, nel 1855, l’idillio Raffaello e la Fornarina, dove la leziosità del componimento è tale da raggiungere il cattivo gusto.

Aleardi ritratto da Domenico Induno

L’Aleardi diede il meglio di sé rielaborando alcuni canti e pubblicando nel 1856 sia Il Monte Circello, che comprende un componimento famoso sulla vicenda di Corradino di Svevia, a lungo presente nelle antologie scolastiche, che Le antiche città marinare e commerciali,[1] e nel 1857 le Prime storie, con immagini ispirate a vicende bibliche. La pubblicazione dei Canti patrii fu invece rinviata a causa dell’arresto, avvenuto nel giugno del 1859, e della detenzione nel castello di Josephstadt, in Boemia, in conseguenza della guerra austro-franco-piemontese.

Liberato alla fine della guerra, si stabilì a Brescia, pubblicando gli ultimi versi, tutti d’ispirazione politica: I sette soldati del 1861, il Canto politico del 1862 e I fuochi sull’Appennibo del 1864, anno in cui si trasferisce a Firenze per tenervi all’Istituto d’Arte la cattedra di estetica. Già deputato, fu nominatosenatore nel 1873: onorato e ricercato nei salotti, come poeta era ormai un sopravvissuto e morì improvvisamente a Verona nel 1878.

Dopo i favorevoli giudizi dei contemporanei, ebbe una celebre stroncatura – non solo di estetica letteraria – dall’Imbriani: «Non siamo, no, commossi da chi guaisce quasi femminetta, per quasi carcerazione o non lungo sbandeggiamento, consolato da stipendi malguadagnati […] Riguardo poi all’ostentarci di continuo quei pochi mesi di prigionia … cazzica! Io non sono tanto offeso esteticamente dal modo in cui se ne parla, quanto moralmente dall’udir tanto baccano per tanta parvità di materia».[2]

Anche il giudizio dell’amico Gaetano Trezza, che nel 1879 curò la pubblicazione del suo Epistolario è piuttosto cauto: Aleardi ha una «Musa gentile, onesta e magnanima […] è una delle figure più simpatiche del nostro Risorgimento» e limitativa è la valutazione del Carducci, mentre il Ciampoli ne ricercò prestiti e plagi dalla tradizione latina e italiana – Catullo, Properzio, Virgilio, Dante,Foscolo, Leopardi e Manzoni – oltre che europea – Byron, Lamartine, Heine, Hugo, Uhland, Freiligrath.

Aleardi fotografato da Moritz Lotze

Spesso accostato al Prati per il comune languore sentimentale, ma a quello subordinato, la fortuna dell’Aleardi declinò alla fine dell’Ottocento per ottenere qualche riconoscimento dal Croce che ne rilevò la sincerità di poeta sotto le forme di dubbio gusto e ne fece un precursore del Pascoli, e dal De Lollis, che vide in lui il poeta della transizione romantica, incerto tra classicismo e realismo.

Mentre negativi rimasero i giudizi del Momigliano, per il quale «nella sua poesia c’è quasi sempre l’aleardismo, quasi mai l’Aleardi», e del Pompeati che valuta l’Aleardi «una crisalide di poeta», il Flora trova in lui genuine qualità di poeta e il Sapegno, confermando la qualità dell’ispirazione poetica dell’Aleardi, addebita le sue cadute di gusto alla temperie culturale dell’epoca.

Per il Piromalli, sulla scorta degli studi gramsciani, la paura della rivoluzione parigina del 1848[3] e il fallimento della rivoluzione italiana nel 1849 «sospingono la letteratura tardoromantica verso un’arcadia di sentimentalismo e un vagheggiamento di atmosfere vaporose», nel quale la figura del poeta «diventa un personaggio eccezionale per la sua sensibilità e superiore alla realtà pratica ed economica» e la poesia una vaga idealità, secondo «un costume sonnacchioso, fiacco e autonobilitantesi». L’Aleardi ne è, con il Prati, uno dei maggiori rappresentanti: sono entrambi «poeti di consumo, di ideali anticontadini, innamorati della bellezza del cuore, incapaci di uscire dal linguaggio floreale e andare verso il concreto».

Onorificenze

Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia
Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell’Ordine Civile di Savoia
Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro

Opere

  • Canti, Firenze 1864
  • Epistolario, a cura di G. Trezza, Verona-Padova 1879

Note

  1. ^ Armendo Balduino, Storia letteraria d’Italia
  2. ^ V. Imbriani, Il nostro quinto gran poeta, in «Fame usurpate», Napoli, 1877, pp. 32-33. Le critiche dell’Imbriani erano state già anticipate nell’Aleardo Aleardi: studio letteraturografico di Vittorio Imbriani, Napoli 1865
  3. ^ Aleardi stesso descrisse nel 1859 nella sua poesia Il comunismo, diretta contro Proudhon, sia l’orrore per la rivoluzione parigina che il timore della perdita della proprietà delle terre: «Contro il novello barbaro / Che spinger si consiglia / Verso un tremendo incognito / Questa civil famiglia, / Che sul campo eredato, / Dal mio sudor bagnato, / Pone una bieca lapida, / Che in nome del Signor / Mi scaccia, mi vitupera, / Mi appella rapitor»
  4. ^ A. Piromalli, Storia della letteratura italiana, 17

Bibliografia

  • Vittorio Imbriani, Il nostro quinto gran poeta, in «Fame usurpate», Napoli 1877
  • Giosuè Carducci, Ceneri e faville, I, Bologna 1891
  • Domenico Ciampoli, Plagi aleardiani, Milano 1896
  • Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia, I, Bari 1914
  • Cesare De Lollis, Saggi sulla forma poetica italiana dell’Ottocento, Bari 1929
  • Attilio Momigliano, Studi di poesia, Bari 1938
  • Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, III, Milano 1940
  • Arturo Pompeati, Storia della letteratura italiana, Torino 1944
  • Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze 1956
  • Antonio Piromalli, Storia della letteratura italiana, Cassino 1994

Aleardo, chi? Oblio dopo tanta gloria per l’Aleardi patrio

ANNIVERSARI. A 200 anni dalla nascita una gloria veronese smarrita
Presto dimenticato, già in vita snobbato da Carducci era stato il poeta principe del Risorgimento Imprigionato dall’Austria, l’Italia lo nominò senatore

13/11/2012
Zoom Foto

L’Arena del 16 ottobre 1883 per l’Aleardi: la statua fu decapitata, come Corradino, dai bombardamenti

Duecento anni fa nasceva a Verona Aleardo Aleardi. Anzi, Gaetano Maria Aleardi, come nei registri dello stato civile fu iscritto il poeta veronese che abbiamo studiato ai tempi della scuola (senza più riprenderlo in mano.) Ancora nel 1834 risulta iscritto come Gaetano alla Società Letteraria. Solo più tardi muterà il nome, ispirandosi all’antenato cavaliere Aleardo degli Aleardi, vissuto tra il XIV e il XV secolo, capitano generale e messaggero di Verona nel 1387 a Milano e nel 1405 presso la Serenissima di Venezia. Aleardo nasce il 14 novembre 1812, alcuni documenti però riportano la data 4 novembre, l’anagrafe austriaca invece lo registra il 2 novembre. Il padre è il conte Giorgio Bartolomeo e la madre Maria Canali; la sorella Beatrice Maria, alla quale resterà molto legato, ha cinque anni di meno. Forse sovrastimato in vita, forse sottostimato dopo, di Aleardo Aleardi oggi non leggeremmo alcuna opera se il padre avesse applicato le raccomandazioni degli insegnanti di mandare il figlio a zappare i campi. L’adolescenza di Aleardo Gaetano Maria, infatti, non brilla per i risultati scolastici. Nella commemorazione in Senato dopo la sua morte si legge: «La prima età del novello Aleardo non era stata serena né promettente. Nessuna voglia di studi: pareva ottuso d’ingegno, povero di memoria: gli alunni nel Collegio di Sant’Anastasia lo dicevano “talpa”: i maestri non a torto avrebbero potuto ripetere e mostra sé più negligente/che se pigrizia fosse sua sirocchia», ciatando il Dante del Purgatorio, canto IV, «e suonò voce che dessi, i maestri, disperando di farne un sufficiente discepolo, suggerissero al padre suo di indirizzarlo alle faccende rurali. Sennonché, venutogli tra poco alle mani il volume del principe dei poeti latini, d’improvviso gli si apre la mente: con acceso zelo e’ si vota allo studio dei classici: comincia a verseggiare nel volgar nostro: i compagni, i maestri, gli amici intravvegono che i suoi versi risponderanno a quel bellissimo de’ Virgiliani: “Italiam, Italiam, primus conclamat Achates”». ALEARDO ha 18 anni e si lascia trasportare anima e corpo dalla «cattiva compagna» poesia. Vanamente il padre lo consiglia «a non mettersi sulla via del poeta. Piglia una buona compagnia, come sarebbe a dire la legge…» Ben diversa la considerazione di un altro padre, Cesare Betteloni, che prima ti togliersi la vita, raccomanderà in una accorata lettera il figlio Vittorio proprio ad Aleardo. Per rispetto del volere del padre, Aleardo si iscrive a legge all’università di Padova. Qui conosce Arnaldo Fusinato e Giovanni Prati. Si laurea e incomincia la pratica in uno dei maggiori studi legali di Verona, quello dell’avvocato Cressotti. Ma presto butta codici e pandette per dedicarsi unicamente alla sua passione: «Ero malato», sono le sue parole, «ero malato del mal de’ versi». Tra i suoi primi lavori vi sono numerose composizioni dedicate alla contessa Nina Serego Gozzadini Alighieri di cui è innamorato, poi Il matrimonio (1842) e il poemetto storico Arnalda di Roca (1844). Dopo i primi tentativi, si afferma come poeta nel 1846 con Lettere a Maria. In seguito pubblica il lezioso idillio Raffaello e la Fornarina (1855), e le opere di ispirazione storica Monte Circello (1856, contiene la famosa poesia Corradino di Svevia, vedi articolo a destra), Le antiche città italiane marinare e commercianti (1856), le Prime storie (1857) e Un’ora della mia giovinezza (1858), i Sette soldati (1861), il Canto politico (1862), i Fuochi dell’Appennino (1864). Sempre nel 1864, nel periodo del suo splendore, pubblicherà l’intera sua opera poetica nel volume Canti. Ma accanto alle lettere Aleardo coltiva una fervente passione patriottica. Nel 1848 Daniele Manin lo invia a Parigi per sostenere la causa di Venezia. Mal sopporta il distacco dalla patria e dalla sorella. Torna a Verona fortemente disilluso e trascorre un’esistenza solitaria e grigia. È controllato dalla polizia austriaca che nel 1852 lo arresta e lo imprigiona nel carcere militare di San Tommaso e quindi nella prigione di Mantova. Viene graziato da Vienna e liberato, ma di nuovo arrestato nel 1859 e incarcerato nel castello di Josephstadt, in Boemia. Liberato nel 1860, viene eletto deputato nel collegio di Lonato. Nel 1864 Aleardo Aleardi si trasferisce definitivamente a Firenze, dove gli viene assegnata la cattedra di estetica all’Istituto di belle arti. Le sue lezioni sono affollatissime, raccoglie onori e consensi. Firenze gli dedicherà una lapide nella via Nazionale. Nel 1867 viene ascritto al Consiglio superiore della Pubblica istruzione e nel 1873 nominato senatore del Regno. Contemporaneamente al crescere della sua acclamazione accademica, si sgretola la fama di buon poeta, sotto i colpi di ferocissimi attacchi di critici quali Imbriani e lo stesso Carducci. Più tardi Benedetto Croce lo definirà «poeta di bontà e di malinconia». Ma intanto lo accusano anche di scopiazzare. Ettore Caccia, nel Dizionario biografico degli italiani Treccani del 1960, scrive: «In passato, gli si è mossa l’accusa di essere un imitatore: ma è l’accusa meno consistente. È vero che molti dei suoi versi ci ricordano Dante, Foscolo, Leopardi, Manzoni, o Byron, Lamartine, Hugo; è vero che, non a caso, sono stati fatti altri nomi, Musset, Uhland, Goethe, Shakespeare, Freiligrath, Ruckert, Platen, Virgilio, Properzio, Catullo, e persino il Fracastoro (aggiungeremmo una singolare affinità con certa poesia del Poerio). Pure, basta il confronto puntuale per dimostrare che quei versi rientrano nella sua opera come il materiale antico in una costruzione nuova». L’Aleardi frequenta il Senato fino ai primi di luglio 1878. Poi parte per Firenze e quindi arriva a Verona, a casa della sorella Beatrice. La sera del 16 luglio si intrattiene in alcune letture assieme a degli amici. A mezzanotte si ritira in camera; muore nella notte per una sincope al cuore. Al numero 18 di stradone San Fermo una iscrizione recita: «In questa casa, dove presso la sorella amatissima aveva brevi ma dolci riposi, morì il 17 luglio 1878 Aleardo Aleardi, lasciando all’Italia l’eredità preziosa di patriottici canti, mirabile esempio di civili virtù». Aleardi riposa nell’Ingenio Claris del Monumentale, dove una lapide così lo ricorda: «Aleardo Aleardi/ dando cuore e intelletto alla Patria/ sofferse imperterrito il carcere e l’esilio/ e irradiò di nobili canti/ le sventure, le battaglie, il riscatto d’Italia». Un anno dopo la morte dopo Verona gli intitolerà il ponte che conduce al cimitero monumentale. Nel 1883 verrà eretto in piazzetta Santi Apostoli il monumento scolpito da Ugo Zannoni. Un monumento ad Aleardi si trova anche a Villa Medici a Roma.


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