20131227 Manifesto Luca Zingaretti La torre d'avorioTeatro Nuovo Verona Teatro Nuovo

La torre d’avorio per Il Grande Teatro


La torre d’avorio—– di Ronald Harwood

Teatro Nuovo, Verona (Il Grande Teatro 2013 2014)

14, 15, 16, 17, 18 gennaio 2014 ore 20.45 – 19 gennaio 2014, ore 16.00


Regia Luca Zingaretti
Interpreti Luca Zingaretti, Massimo de Francovich, Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci, Caterina Gramaglia
Scene Andrè Benaim, Costumi Chiara Ferrantini, Luci Pasquale Mari
Berlino 1946. E’ il momento di regolare i conti, e la cosiddetta denazificazione – la caccia ai sostenitori del caduto regime – è in pieno svolgimento. Gli alleati hanno bisogno di prede illustri, di casi esemplari che diano risonanza all’iniziativa. Viene così convocato, nel quadro di una indagine sulla sua presunta collaborazione con la dittatura, il più illustre esponente dell’alta cultura tedesca, vale a dire il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, universalmente acclamato accanto a Toscanini come il maggiore della prima metà del secolo. Furtwängler non era stato nazista, e anzi non aveva nascosto di detestare le politiche del Terzo Reich; era anche riuscito a non prendere mai la tessera del partito. Ma nel buio periodo dell’esodo di molti illustri intellettuali che avevano preferito trasferirsi all’estero piuttosto che continuare a lavorare in condizioni opprimenti, era rimasto in patria, e aveva svolto la sua attività in condizioni privilegiate. Aveva scelto, in tempi durissimi, di tenere accesa la fiaccola dell’arte e della cultura, convinto che questa non abbia connotazione politica; e aveva sfruttato il suo prestigio per aiutare, all’occorrenza, persone perseguitate o emarginate. Si era anche scaricato la coscienza barcamenandosi per esibirsi nel minor numero possibile di occasioni ufficiali; pur di non stringere la mano a Hitler, in una occasione famosa e fotografata, aveva fatto in modo di continuare a impugnare la bacchetta con la destra. Dai suoi compatrioti, quasi tutti melomani, era sempre stato venerato alla stregua di una divinità super partes, e anche dopo la fine della guerra nessun tedesco si era sentito di addebitargli alcunché.

Ma ecco ora che i vincitori vogliono vederci chiaro, e se possibile far crollare anche questo superstite mito della superiorità germanica. Consapevoli del fascino che il grande artista esercita su tante persone, essi affidano l’indagine a un uomo che dà ogni garanzia di esserne immune: un maggiore dell’esercito che detesta la musica classica, venditore di polizze assicurative nella vita civile e quindi molto sospettoso nei confronti del prossimo; un plebeo che disprezza le sdolcinatezze borghesi; un giustiziere sacrosantamente indignato dalle ingiustizie e dalle atrocità che ha visto perpetrare in questa corrottissima zona dell’Europa; soprattutto, un americano convinto nell’eguaglianza di tutti gli uomini sia nei diritti sia nelle responsabilità.

Ronald Harwood – l’autore del da noi sempre riproposto “Servo di Scena”, ma poi anche di numerosi altri testi teatrali, letterari e cinematografici (uno dei quali, la sceneggiatura del “Pianista” di Roman Polanski, premiato con l’Oscar) – è contemporaneamente ebreo, appassionato di musica (ha scritto una commedia su Mahler, un romanzo su César Franck) e sudafricano: in grado quindi sia di guardare il contegno di Furtwängler con gli occhi critici di una delle vittime, sia la tracotanza del filisteo maggiore Arnold con quelli di qualcuno per cui l’arte sia un bene supremo e irrinunciabile, sia l’atteggiamento dei vincitori dalla prospettiva di uno di loro ma che non è coinvolto come loro. Lo scontro tra due avversari così diversi e così poco disposti a capirsi – soprattutto, ciascuno dei quali è convinto delle proprie ragioni – offre teatralmente quello che nella boxe è considerato il match ideale, tra il picchiatore e lo schermidore; tra coloro che assistono, variamente coinvolti, paio offrono testimonianze ambigue, che potrebbero andare sia a carico sia a discarico dell’imputato. Del resto l’episodio è storico, all’epoca Furtwängler fu veramente indagato e in qualche misura umiliato, e se le accuse poi caddero la sua immagine pubblica non recuperò più del tutto la limpidezza di una volta. Il suo caso suscita interrogativi che nessuna formula sembra aver risolto ancora oggi, e assai modernamente l’autore non propone risposte, ma sollecita ogni spettatore a dare la sua. Con un regime infame non si deve collaborare, questo è ovvio. Ma svolgere un’attività artistica equivale a collaborare? Per qualcuno, sì: si contribuisce a dare un’immagine positiva di un Paese che invece è marcio. Per qualcun altro, no: se mostri l’arte, la bellezza, ai tuoi concittadini per quanto oppressi, aiuti a tener vivo in loro qualcosa che un giorno potrebbe aiutarli a riprendersi. In molti casi la questione può essere risolta dalla coscienza individuale: se non voglio i soldi, mettiamo, di quel tale editore le cui posizioni politiche non condivido, posso pubblicare con qualcun altro. Ma quando si tratta di un personaggio così rappresentativo, che le sue scelte costituiscono un esempio per tutti?

La commedia debuttò a Londra nel 1995 per la regia di Harold Pinter, e fu ripresa a New York e in molte altre città. Il titolo originale, “Taking sides”, significa letteralmente “Schierarsi”: non un gran che in italiano, meglio comunque di quello appioppato al film di Istvan Szabò del 2001 (con Harvey Keitel e Stellan Skarsgård), “A torto o a ragione”). Proponendo di renderlo come “La torre d’avorio” si è voluto alludere alla condizione di orgoglioso isolamento che l’artista crede, forse a torto, di potersi permettere sempre.

Masolino d’Amico

L’arte, la cultura in genere, può avere una connotazione politica? Svolgere un’attività artistica sotto un regime presuppone una tacita adesione a esso? Sono gli interrogativi alla base della vicenda che il sudafricano Ronald Harwood (1934) sviluppa nella Torre d’avorio mettendo di fronte due uomini e due sensibilità totalmente opposte: uno è un famoso direttore d’orchestra tedesco, Wilhelm Furtwängler, l’altro è un ufficiale americano, Steve Arnold. Tra di loro, la Storia. In questo caso, il nazismo con tutte le implicazioni che esso ha rappresentato e che ne sono conseguite. Proprio al confronto-scontro tra i due protagonisti allude il titolo originale dell’opera datata 1995, Taking sides (letteralmente Schierarsi) che nel 2001 ebbe anche una trasposizione cinematografica con la regia di Istvan Szabo, protagonisti Harvey Keitel e Stellan Skarsgard. Il film in Italia venne titolato in modo anonimo A torto o a ragione.

Questo allestimento teatrale si avvale della traduzione di Masolino d’Amico che ha “ribattezzato” l’opera La torre d’avorio volendo alludere, come precisa lui stesso “alla condizione di orgoglioso isolamento che l’artista crede, forse a torto, di potersi permettere sempre”.

Di Ronald Harwood è molto nota la commedia Servo di scena che è stata rappresentata parecchie volte in Italia. In realtà nel suo curriculum figurano altri testi teatrali di rilievo oltre a opere letterarie e cinematografiche. Sua, per esempio, è la sceneggiatura del film Il pianista (2002) diretto da Roman Polanski, che gli valse l’Oscar. Più recentemente ha firmato il soggetto del film Quartet che ha segnato il debutto di Dustin Hoffmann nella regia.

La torre d’avorio è ispirata a un fatto vero: all’epoca Furtwängler fu realmente indagato e anche se poi venne scagionato ne rimase segnato per sempre.

«Harwood – sottolinea Luca Zingaretti – è contemporaneamente ebreo, appassionato di musica e sudafricano, in grado quindi di guardare il contegno di Furtwängler sia con gli occhi critici di una delle vittime, sia la tracotanza del “filisteo” Arnold con quelli di qualcuno per cui l’arte sia un bene supremo e irrinunciabile, sia l’atteggiamento dei vincitori dalla prospettiva di uno di loro ma che non è coinvolto come loro. Lo scontro tra due avversari così diversi e così poco disposti a capirsi offre teatralmente quello che nella boxe – conclude – è considerato il match ideale tra il picchiatore e lo schermidore».

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IL GRANDE TEATRO. Fino a domenica in scena al Nuovo «La torre d’avorio». Oggi alle 18 l’incontro con gli attori

Zingaretti sul ring di Harwood
processa l’arte serva del potere

Daniela Bruna Adami

Una regia tradizionale per un testo dirompente. Bella prova di de Francovich e Briguglia nel match con il «commissario»

L’Arena, giovedì 16 gennaio 2014 SPETTACOLI, pagina 47

Luca Zingaretti e Massimo de Francovich in La torre d’avorio FOTO BRENZONI

È un ufficio militare ma pare un ring, a guardare cosa vi accade. Un ring dove si scontrano un famoso direttore d’orchestra tedesco e il maggiore americano incaricato di indagare sulla sua possibile connivenza con il nazismo. Nella Berlino del 1946 succedeva anche questo, la spasmodica ricerca di casi eclatanti per sottolineare la definitiva sconfitta del regime, il quale si era servito delle grandi personalità dell’arte per propaganda. E in quell’ufficio si svolge tutta la vicenda de La torre d’avorio di Ronald Harwood, messa in scena da Luca Zingaretti, che è anche il protagonista nei panni dell’ufficiale americano.
I due si combattono duramente, non mancano i colpi bassi, ma per buona parte dello spettacolo è difficile prevedere chi vincerà, se non al ko neppure ai punti. Tanto sono distanti i loro linguaggi e la loro filosofia di vita: il maggiore Steve Arnold rozzo e pragmatico, dalla parolaccia facile, che odia la musica, perennemente sospettoso verso gli altri (prima della guerra era un assicuratore), e il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, un genio della musica – realmente esistito, cui è ispirata la pièce – colto e raffinato. Arnold non concepisce che l’arte possa dare dei privilegi, soprattutto a chi, come Furtwängler, si è chiuso nella «turris eburnea» del suo talento artistico senza «prendere posizione», come recita il titolo originale Taking sides, contro il nazismo. Perché Furtwängler non aveva mai sposato l’ideologia nazista né si era mai iscritto al partito, ma neppure lo aveva apertamente condannato, e soprattutto era rimasto in Germania a dirigere conservando i suoi privilegi. Un fatto inconcepibile, inaccettabile, per il maggiore americano, e sufficiente per provare la complicità del musicista con i gerarchi nazisti, non importa se di nascosto ha salvato parecchi colleghi ebrei.
Harwood guida magistralmente il match facendoci parteggiare ora per l’uno ora per l’altro, toccando corde profonde e anche sue personali, essendo lui ebreo. Gli interrogativi alla fine restano, anche davanti alla resa di Furtwängler, che vede crollare la torre in cui si era isolato insieme alle sue certezze.
La regia di Zingaretti, alla sua prima prova, si muove in modo tradizionale sul testo tradotto da Masolino d’Amico, è pulita e curata, fin troppo, e perciò alla lunga prevedibile. Non sovrasta il testo, ma neanche aggiunge nulla. Come prevedibili appaiono i personaggi di contorno, la timida segretaria, la esagitata vedova di un ebreo, il violinista pavido e delatore (Caterina Gramaglia, Francesca Ciocchetti, Gianluigi Fogacci). Meglio il tenentino, interpretato con convinzione dal bravo Paolo Briguglia. Bella prova, dalla solidità vecchio stile, di Massimo de Francovich, che dà la giusta solennità al direttore d’orchestra, in contrapposizione alla impazienza dell’investigatore americano di Zingaretti, che non teme di somigliare talvolta al suo commissario più famoso, anzi forse ci gioca. Uno spettacolo comunque da vedere.
Repliche al teatro Nuovo fino a sabato alle 20,45 e domenica alle 16.
OGGI ALLE 18 (anziché alle consuete 17) l’incontro con gli attori, guidato da Betty Zanotelli, preceduto alle 17,45 dall’«invito alla visione» di Simone Azzoni.

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Giovedì 16 Gennaio 2014 – Teatro Nuovo

• Invito alla visione – ore 17.45
Appuntamento per introdurre alla visione degli spettacoli, per dare brevi spunti di lettura critica della messinscena.
A  cura di Simone Azzoni

• Incontro con i protagonisti – ore 18.00
Incontro con gli attori per parlare dello spettacolo ma anche del “dietro le quinte” e dell’affascinante mondo teatrale
 Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti

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Teatro Nuovo di Verona

Piazza Viviani, 10 – Entrata accessibile in Piazzetta Navona
37121 Verona
Telefono: 045 800 61 00
Fax: 045 803 08 15
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