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Il giardino dei ciliegi


Teatro Nuovo di Verona
16-17-18-19-20-21 dicembre 2014

Il giardino dei ciliegi

regia Luca De Fusco

di Anton Cechov
con Gaia Aprea

Teatro Stabile di Napoli e Teatro Stabile di Verona
con
Gaia Aprea Ljuba
Paolo Cresta Jaša
Claudio Di Palma Lopachin
Serena Marziale Dunjaša
Alessandra Pacifico Griffini Anja
Giacinto Palmarini Trofimov
Alfonso Postiglione Pišcik
Federica Sandrini Varja
Gabriele Saurio Epichodov
Sabrina Scuccimarra Šarlotta
Paolo Serra Gaev
Enzo Turrin Firs
scene Maurizio Balò
costumi Maurizio Millenotti
luci Gigi Saccomandi
coreografie Noa Wertheim
musiche originali Ran Bagno

In questo Giardino dei ciliegi a firma di Luca De Fusco, Gaia Aprea interpreta l’aristocratica Ljubov’ Andreevna Ranevskaja. Si rinnova dunque il sodalizio Aprea – De Fusco che li ha visti in scena, tra gli altri, in testi di Carlo Goldoni, Molière e John Ford. Scritto tra il 1901 e il 1903 e rappresentato per la prima volta nel gennaio 1904 a Mosca, Il giardino dei ciliegi è l’ultima opera di Cechov che sarebbe morto di lì a poco, nel luglio 1904, di tubercolosi a quarantaquattro anni. Dopo un lungo soggiorno all’estero, passato nel lusso assieme all’amante dilapidando tutti i suoi averi, l’aristocratica Ljubov’ Ranevskaja torna a casa e trova una situazione patrimoniale disastrosa che la costringe a mettere all’asta l’antico edificio di famiglia e il meraviglioso giardino che ne fa parte. Lopachin, giovane e ricco commerciante, figlio di un ex servo di Ljubov’, le consiglia di abbattere i ciliegi e lottizzare il giardino, destinandolo alla costruzione di villette. Sia Ljubov che il fratello Gaiev rifiutano la proposta ma ben presto non avranno alternative.

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DURATA SPETTACOLO
2 ore e 20 minuti compreso l’intervallo

COMUNICATO STAMPA                                                                                venerdì 12 dicembre 2014

 

Il secondo appuntamento del Grande Teatro è con un altro classico: dal 16 al 21 dicembre sarà in scena al Nuovo Il giardino dei ciliegi di Čechov con Gaia Aprea protagonista e con la regia di Luca De Fusco. Giovedì l’incontro con gli attori.

 

Dopo il felice avvio di stagione con Enrico IV di Luigi Pirandello nell’intensa interpretazione di Franco Branciaroli, il secondo appuntamento del Grande Teatro (martedì 16 dicembre alle 20.45 al Teatro Nuovo) è con un altro classico: Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov (1860-1904), uno dei maggiori autori russi di tutti i tempi. A metterlo in scena sono il Teatro Stabile di Napoli e il Teatro Stabile di Verona in un allestimento che vede come protagonista Gaia Aprea con la regia di Luca de Fusco, che cura anche l’adattamento del testo tradotto da Gianni Garrera.
Scritta tra il 1901 e il 1903, la commedia debuttò al Teatro d’Arte di Mosca il 17 gennaio 1904, pochi mesi prima della morte di Čechov, avvenuta a soli quarantaquattro anni, il 15 luglio dello stesso anno, a seguito della tisi che lo tormentava da tempo. Come era già accaduto per altre opere di Čechov, in un primo momento Il giardino dei ciliegi fu accolto con molte riserve. Il successo pieno arrivò qualche mese dopo il debutto. La commedia non rispecchiava le intenzioni del suo autore che l’aveva concepita con toni leggeri, quasi vicini alla farsa. Il regista dell’allestimento, Konstantin Sergeevic Stanislavskij (che con Vladimir Nemirovic-Dancencko fondò il Teatro d’Arte), la trasformò invece in un dramma sociale e in tale “veste” venne proposta al pubblico dal 1904. Da allora in poi la duplice natura dell’opera non fu più messa in discussione.
Al centro della pièce c’è la trasformazione della società russa del tempo con l’aristocrazia che ha dilapidato i propri averi a vantaggio dei nuovi “ricchi”, riscattati dall’originale condizione di servi della gleba e ora proiettati in un presente sempre più roseo. Spettatori di quest’evoluzione sono gli studenti, animati dalla speranza in un futuro diverso e migliore.
La trama risente di alcune esperienze personali dell’autore: in primo luogo la vicenda della madre che si trovò sommersa dai debiti a seguito di una truffa perpetrata da alcuni costruttori incaricati di erigerle una casa. Nella vicenda ebbe un ruolo importante un precedente inquilino che si offrì di aiutarla finanziariamente salvo poi acquistare la casa per sé. Ispirato a questi fatti è sicuramente il personaggio di Lopachin, futuro proprietario dei magnifici giardini che l’aristocratica Ljuba è costretta a mettere all’asta assieme all’edificio che li comprende perché ha dissipato ogni sua sostanza in spese folli per sé e per l’amante senza avvedersi della catastrofe cui stanno andando incontro lei e la sua famiglia. Lopachin, agiato commerciante, è figlio di un servo di Ljuba riuscito a riscattarsi dalla sua originale condizione. Anche qui riferimenti autobiografici: era avvenuto lo stesso al nonno di Čechov che aveva comprato la propria libertà versando al padrone 3500 rubli. Il padre dello scrittore-drammaturgo era invece un piccolo commerciante, con un certo spirito artistico (era suonatore dilettante di violino).
Nato in Ucraina, prima di dedicarsi definitivamente alla scrittura, Čechov si laureò in medicina ed esercitò la professione per un certo periodo. Fin da giovane, egli scrisse parecchio, dapprima reportage dei suoi viaggi, poi novelle e brevi racconti umoristici ricorrendo a diversi pseudonimi, fino al passaggio alla drammaturgia. Le prime esperienze teatrali furono negative tanto da peggiorare le sue già precarie condizioni di salute e indurlo a lasciar perdere. A poco a poco il successo arrivò scoprendo tutto il genio dell’autore di cui si ricordano in particolare – oltre al Giardino dei ciliegi – i drammi Ivanov (1899), Il gabbiano (1896), Zio Vanja (1899) e Le tre sorelle (1901).
Nelle opere di Čechov c’è sempre una venatura di tristezza, l’accettazione di un’esistenza spesso opaca cui solo la speranza in un futuro migliore può dare un po’ di conforto. Ma nonostante tutto, l’attaccamento alla vita non viene mai meno. In quest’allestimento il regista Luca De Fusco privilegia “un approccio mediterraneo al grande repertorio russo… perché sia la società russa che quella meridionale hanno avuto grandi difficoltà a entrare nella logica della rivoluzione industriale e la trama stessa del Giardino riflette questo fenomeno”.
Protagonista dello spettacolo, nel ruolo di Ljuba è Gaia Aprea che da anni collabora con De Fusco. In scena, accanto a lei, Claudio Di Palma (Lopachin), Alessandra Pacifico Griffini (Anja), Paolo Cresta (Jaša), Serena Marziale (Dunjaša), Giancinto Palmarini (Trofimov), Alfonso Postiglione (Pišcik), Federica Sandrini (Varja), Gabriele Saurio (Epichodov), Sabrina Scuccimarra (Šarlotta), Paolo Serra (Gaev) ed Enzo Turrin (Firs). Scene di Maurizio Balò, costumi di Maurizio Millenotti, luci di Gigi Saccomandi, coreografie di Noa Wertheim, musiche originali di Ran Bagno.

Dopo la “prima” di martedì, lo spettacolo viene replicato tutte le sere sino a sabato (alle 20.45). L’ultima recita, domenica 21 dicembre, è alle 16. Come sempre, giovedì pomeriggio alle 17 al Nuovo, è previsto l’incontro con la compagnia. Gaia Aprea e gli altri attori saranno intervistati dal giornalista Lorenzo Reggiani.

La nobiltà disillusa nel «Giardino» bianco di De Fusco

Gaia Aprea è la protagonista del dramma di Cechov, un’aristocratica che deve vendere le proprietà per saldare i debiti

martedì 16 dicembre 2014 SPETTACOLI, pagina 58

Enzo Turrin, Gaia Aprea e Claudio Di Palma in Il giardino dei ciliegi
Il secondo appuntamento del Grande Teatro – da questa sera dicembre (alle 20,45) a domenica 21 al Nuovo – è con l’ultimo capolavoro di Anton Cechov, Il giardino dei ciliegi, che debuttò al Teatro d’Arte di Mosca il 17 gennaio 1904, pochi mesi prima che l’autore, uno dei più insigni di tutta la drammaturgia russa, morisse a soli 44 anni per la tisi che lo affliggeva da molto tempo.
A mettere in scena la commedia che descrive i mutamenti sociali nella Russia dell’epoca sono il Teatro Stabile di Napoli e il Teatro Stabile di Verona in un allestimento che ha Gaia Aprea come protagonista nel ruolo di Ljuba e come regista Luca De Fusco, autore anche dell’adattamento del testo, tradotto da Gianni Garrera.
Scritto in un arco temporale che va dal 1901 al 1903, Il giardino dei ciliegi può sembrare basato su un intreccio molto semplice dove accade ben poco e dove tutto è imperniato sul giardino del titolo, che fa parte integrante di un antico palazzo che, per il tracollo finanziario dei proprietari (l’aristocratica Ljuba e suo fratello Gaev), deve essere messo all’asta. Intorno a questo «nodo» principale si sviluppa però una serie di microstorie che delineano il carattere dei singoli personaggi. Ecco allora emergere la vita tormentata e avventurosa di Ljuba; la carriera di Lopachin che, da figlio di un servitore della stessa Ljuba, riesce a diventare un mercante ricco al punto da acquistare lui stesso il giardino messo in vendita; la stanchezza e la disillusione del vecchio servo Firs; la giovinezza di Anja, figlia di Ljuba, e dello studente Trofimov, simboli di un futuro che essi sperano positivo. Questi e altri personaggi mettono a confronto il passato cui un’aristocrazia ora in declino guarda con nostalgia, il presente dei nuovi ricchi e l’avvenire verso cui si proietta l’idealismo dei più giovani.
Nelle opere di Cechov – autore di capolavori come Il gabbiano (1896), Zio Vanja (1899) e Le tre sorelle (1901) – si avverte una sfumatura di tristezza, l’accettazione di una vita spesso opaca cui solo la speranza in un domani migliore riesce a dare un po’ di conforto. Non c’è solo quest’aspetto nel Giardino dei ciliegi che, nelle intenzioni dell’autore doveva essere una farsa ma che al debutto a Mosca nel 1904, il regista Konstantin Stanislavskij trasformò in un dramma sociale. Da allora in poi però, la duplice natura della commedia – i toni lievi e quelli drammatici – venne sempre rispettata. Tra i momenti di leggerezza della pièce è memorabile la scena del ballo organizzato da Ljuba. Nell’allestimento di De Fusco, tutto basato sul bianco (come la messinscena di Giorgio Strehler del 1974 al Piccolo Teatro di Milano) la danza ha una parte ben precisa che si avvale delle coreografie di Noa Wertheim. Riguardo alla scenografia, Maricla Boggio di Critica teatrale osserva che «De Fusco ha inteso costruire il “suo” Giardino, immergendo le scene in un clima di rivissuto candore virginale, libero dai dolori che sarebbero intervenuti in seguito a cancellare quell’universo giocoso. Trovano allora ragion d’essere gli abiti luminosi dei personaggi, il biancore degli ambienti animati da rigidi aquiloni fermi in un cielo scuro, la presentazione dei protagonisti allineati sulla scala che porta giù, alla casa antica quasi spazio-prigione». Concetti su cui insiste anche Gigi Giacobbe di Sipario: «Il bianco si conviene al Giardino dei ciliegi. Anche De Fusco si adegua a questo paradigmatico colore progettando una scena nivea, astratta quasi, se non fosse per quella scalinata con un paio di colonnine crepate dal tempo». Quanto ai protagonisti, Gianmarco Cesario del Corrierespettacoli.it osserva che «Gaia Aprea è una Ljuba sensuale, infantile, che seduce tutti gli uomini che le sono intorno senza particolari coinvolgimenti personali ma con il dolore di una donna che sa di essere verso la fine… Il Lopachin di Claudio Di Palma è forse meno greve di quello che si immagini ma sicuramente di forte presenza scenica».

«Sono la governante Varja, che ha lo stesso pessimismo di Cechov»

sabato 20 dicembre 2014 SPETTACOLI, pagina 59

Federica Sandrini (in primo piano) nel Giardino dei ciliegi

Nel cast del Giardino dei ciliegi, in scena la teatro Nuovo ancora stasera alle 20,45 e domani alle 16, c’è la veronese Federica Sandrini. L’attrice, con angelica determinazione, veste i panni di Varja, la governante, colei tiene le chiavi della casa, l’unica ad avere i piedi per terra.
Una ragazza del popolo adottata da una famiglia aristocratica, che non riesce a vivere senza la leggerezza e la poesia. Lei si rende conto della situazione in cui sono e cerca soluzioni concrete per scongiurare la vendita, spera nel matrimonio con Lopachin, l’imprenditore, il mondo commerciale che contrasta con la poesia della casa.
Nessuna speranza per lei nel biancore della casa?
Lopachin potrebbe essere la persona giusta ma non spicca mai il volo. Ne è innamorata, lo guarda senza farsi guardare, ma non fa mai capire questo sentimento tranne nel momento in cui gli dà un bastone in testa e gli chiede “vi ho fatto male?”.
O in quell’ultimo meraviglioso dialogo.
Sì, il pubblico si aspetta che Lopachin chieda a Varja di sposarlo invece i due parlano di tutto tranne che di quello, ne vorrebbero parlare ma non sono capaci. È un dialogo straziante perché rispecchia tutte quelle volte che vorremmo dire una cosa ma parliamo d’altro. E poi Lopachin verrà inesorabilmente chiamato fuori scena.
La felicità è rimandata, tipico in Cechov..
La felicità si può solo desiderare. Stiamo lavorando anche alle Tre sorelle e allo Zio Vanja, e si sente che il senso della vita è preparare il terreno alle generazioni che verranno perché a noi non è dato essere felici. Cechov l’ha detto cento anni fa. Chi oggi può dire “sono felice”?
Su cosa hai lavorato per costruire Varja?
Su una caratterizzazione. Mi piaceva trovare una camminata, non goffa, ma diversa per recuperare il rapporto con il terreno dando un po’ di rigidità del corpo.
E di tuo cosa hai messo? Il regista vuole un po’ di voi nei personaggi.
Ogni volta che affronti un grande, tutto ti può appartenere. Anche se avessi fatto altri personaggi. Lei è colei che si prende cura nell’ombra e questo è interessante. E soffre molto.
Indicazioni che invece ha dato De Fusco?
Pensare a statue di gesso, che si crepano e si rompono. I personaggi di Cechov si trasformano, si umanizzano via via sempre di più.
Il bianco della scenografia come influenza i personaggi?
De Fusco ci ha chiesto un leggerissimo accento napoletano. Secondo lui la società napoletana e russa della stessa epoca hanno delle somiglianze. Una casa bianca in cui vive la mollezza, ci ha chiesto di pensare di essere sempre un po’ ubriachi.
Varja è bianca?
No. Anja lo è perché ha speranza per il futuro. Lei invece è opaca, non ha speranza, è piena di preoccupazioni.
Come riuscire a far venire i ragazzi come te a teatro?
Si dovrebbe alzare il livello generale. Più lettura, più cinema, più spettacoli belli. Quando Gloriana Ferlini mi portò a vedere il Prometeo al Piccolo mi si è aperto un mondo. Se un giovane vede uno spettacolo bello poi gli viene la voglia di tornare.
Hai un futuro sicuro ora?
Navigo a vista, non ho sicurezza, ho una continuità relativa. Noi siamo la generazione dei provini. L’unica cosa che mi rende sicura è la mia passione: affrontare un provino con la luce negli occhi e sperare che gli altri la riconoscano.
Ti prepari ad un grande ruolo?
Vorrei fare Giulietta, ma anche Lady Macbeth e poi Goldoni.