20140807-Alcin-Ailey-II-Teatro-romano-01 Teatro romano

Alvin Ailey II al Teatro romano


Teatro romano
7 – 8 -9 agosto 2014, ore 21

ALVIN AILEY II
The next generation of American Dance

coreografie Alvin Ailey

20140806 Manifesto Alvin Aley II Verona

Lo spettacolo che la compagine americana presenta al Teatro Romano ha un significato particolare perché intende festeggiare i quarant’anni di attività.

Considerata unanimemente una delle compagnie più prestigiose al mondo, Alvin Ailey II nacque a New York nel 1974 come gruppo di formazione e ricerca all’interno dell’Alvin Ailey American Dance Theater.

Per onorare al meglio l’importante traguardo raggiunto, Ailey II presenta a Verona il meglio delle nuove tendenze coreografiche “made in Usa” e la coreografia più celebre di Alvin Ailey, quel Revelations (1960) che è diventato un simbolo dello stile Ailey.

Apre la serata Virtues di Amy Hall Garner, mix di danza contemporanea e jazz che sa molto di Broadway. A seguire Splendid isolation di Jessica Lang, suggestivo assolo che su una musica corale medievale vede in scena una ballerina che indossa la classica ampia gonna a ruota divenuta un’“icona” di Ailey.

Segue The hunt di Robert Battle, atletica coreografia per sei uomini ispirata al brivido primitivo della caccia. Sulle fragorose percussioni di Les Tambours du Bronx, The hunt reinterpreta anche certi sport moderni e i rituali dei gladiatori. Gran finale con Revelations, il capolavoro di Alvin Ailey.

Su una base di spiritual, canti religiosi, gospel e blues afroamericani, resta, a cinquantaquattro anni dalla “prima”, un’intensa esplorazione dei luoghi del dolore profondo e della gioia spirituale dell’anima.

Applausi per i ballerini di Alvin Ailey II

COMUNICATO STAMPA  martedì 5 agosto 2014

La compagnia newyorkese c festeggerà i quarant’anni di attività con tre serate al Teatro Romano. Tra i balletti il mitico Revelations del 1960, inno di tutti i popoli della terra alla libertà.

VERONA – Grandissimo evento al Teatro Romano, nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese,  il 7, 8 e 9 agosto con inizio alle ore 21. In scena, per festeggiare i quarant’anni di attività duranti i quali ha raccolto successi in tutto il mondo, la compagnia newyorkese Alvin Ailey II, ensemble nato nel 1974 per operare parallelamente all’Alvin Ailey American Dance Theater con un compito ben preciso: dare spazio ai migliori talenti della giovane danza americana e favorire i migliori coreografi emergenti. Un’idea geniale di Alvin Ailey (1931-1989) maturata dal suo maestro Lester Horton (1906-1953). Grandissimo maestro, Horton, ribelle e intelligente, autore di balletti di forte valenza politica creati attingendo dall’accademico, dal genere “musical” che si evolveva giorno dopo giorno, dal teatro giapponese e addirittura dalle danze degli indiani d’America. «Horton – diceva Ailey – mi ha scoperto, mi ha insegnato tutto quello che so, mi ha marcato nella tecnica e nelle idee. In tutto quello che sono e che faccio, scorre, mi auguro, la linfa del suo messaggio». Danzatore della compagnia di Horton dal 1950, Ailey ne diventa direttore nel 1953. Finché, nel 1958, fonda l’ensemble che lo rende celebre inaugurando strade mai percorse da altri. È fortunata Verona: nel 1968, il 13 e 14 agosto, la compagnia di Ailey che festeggia i dieci anni di attività, giunge al Teatro Romano.  Vi propone The black district di Talley Beatty, The prodigal prince di Geoffrey Holder, Icarus di Lukas Hoving e Revelations di Ailey. Caso piuttosto infrequente nel mondo della danza, Ailey, con spirito democratico e antidivistico, mette in programma una sua sola coreografia e dà spazio agli altri. In riva all’Adige il pubblico va in visibilio: «le manifestazioni di plauso – scrive il cronista di allora – sono state tanto intense e ripetute da diventare autentiche interminabili ovazioni che hanno finito col cogliere di sorpresa gli stessi ballerini». In quegli anni Alvin Ailey diventa nel mondo il simbolo artistico del riscatto degli oppressi e dell’aspirazione all’uguaglianza. «Ailey – scrivevano parecchi giornali riportando sue dichiarazioni – è il direttore di compagnia più meraviglioso e spregiudicato al mondo. Scrittura bianchi, neri, gialli, rosa e, se esistessero, come dice lui stesso con un rimando al film di Joseph Losey, ne scritturerebbe anche di verdi».

Poco più che quarantenne Ailey assurge nell’Olimpo della danza mondiale. In 101 stories of the great ballets (1975) scritto a quattro mani da George Balanchine e da Francis Mason gli vengono dedicate due pagine. Tra i centouno balletti che hanno fatto la storia della danza di tutti i tempi (dal Lago dei cigni a Giselle, dallo Schiaccianoci a Coppelia, dalla Bella addormentata nel bosco a Don Chisciotte) c’è anche il suo The river (1970) su musica di Duke Ellington. Un balletto meraviglioso dove “il fiume è la vita, il suo corso è quello dell’umanità e le due rive sono separate ma gli uomini possono varcarle per vincere le divisioni e le solitudini”.  Per notorietà, coinvolgimento, fascino visivo, il suo capolavoro resta invece, sicuramente, Revelations (1960), colpo di genio di un Ailey appena ventinovenne. Non a caso, quando la compagnia torna al Teatro Romano nel 1989 (dall’11 al 15 luglio), come accadde nel 1968, è Revelations a chiudere la serata. Prima di Revelations vanno in scena altri balletti a firma di Elisa Monte, Talley Beatty e George Faison. Anche questa volta Ailey, con spirito molto democratico, dà ampio spazio agli altri coreografi. E nel suo stile fa vincere l’eleganza sull’egocentrismo. Come nel 1968 è un successone, il pubblico va in visibilio. Contrariamente alle precedenti tournée italiane, al seguito della compagnia il grande Ailey non c’è. Nei preparativi e nel dopo spettacolo si avverte la sua mancanza. Purtroppo non sta bene. Morirà cinque mesi dopo, il 1° dicembre, all’ospedale Lenox Hill di New York. Venticinque anni dopo, il mito “Ailey” torna al Teatro Romano: con la compagnia Ailey II. Questa volta le coreografie sono di Amy Hall Garner, Jessica Lang, Robert Battle… e Alvin Ailey. Di Ailey, come nel 1968 e nel 1989, sarà proposta la sua “icona”: quell’immortale Revelations che, cinquantaquattro anni dopo la prima newyorkese, non cessa d’incantarci ed emozionarci con i suoi canti di dolore, di amore e di liberazione assurti, negli anni, a inno di tutti i popoli della Terra alla libertà.

TEATRO ROMANO. Intervista a Troy Powell, direttore artistico della compagnia che ieri sera ha entusiasmato il pubblico

«Revelations è un inno alla pace
Per questo Ailey è così attuale»

Ovazione per il balletto «cult» «Alvin era un mentore per i suoi danzatori. Questo gruppo giovane ne porta avanti lo spirito»

Pubblico in delirio ieri sera al Teatro Romano per l’ultimo appuntamento con la danza dell’Estate teatrale, che replica ancora stasera e domani alle 21. A suscitare tanto entusiasmo la compagnia newyorkese Ailey II, costola giovane della storica compagnia di Alvin Ailey, che altrettanti consensi aveva ottenuto in riva all’Adige nelle due precedenti occasioni, nel 1968 e nel 1989. I ballerini di Ailey sono da sempre noti per la loro capacità di coinvolgere il pubblico. Merito sicuramente delle coreografie ma anche dell’energia e della forza che esprimono sul palcoscenico.
In questa occasione la «nuova generazione» ha presentato una selezione di brani rappresentativi delle nuove tendenze coreografiche made in Usa e la coreografia più celebre di Alvin Ailey, Revelations, del 1960, diventato un simbolo dello stile Ailey. Domani su queste pagine la recensione completa.
Presente alla serata Troy Powell, ballerino e coreografo che dal 2012 è direttore artistico di Ailey II. Cresciuto all’Ailey School dove ha cominciato a danzare a nove anni, Powell si è diplomato alla High School of Performing Arts e ha danzato nell’Ailey II e successivamente nell’Alvin Ailey American Dance Theater.
A Powell abbiamo chiesto quanto, studiando alla Ailey School, si faccia tesoro degli insegnamenti di Lester Horton che fu il grande maestro di Ailey. «Gli insegnamenti di Horton sono stati importantissimi» ha risposto, «lui sapeva coniugare i movimenti della danza con gli stati d’animo, i sentimenti, il cuore…
E «Revelations» cinquantaquattro anni dopo: cosa trasmette oggi?
Revelations è un segno distintivo di Alvin Ailey e della compagnia. È una coreografia in grado di toccare, emozionare e parlare a tutti gli uomini. Ailey, nel crearla, ha voluto raccontare una storia fatta anche di povertà, della depressione vissuta al Sud, ma soprattutto ha voluto celebrare la ricca tradizione afroamericana guardando con speranza al futuro e inneggiando alla pace. Ogni danzatore racconta la sua storia attraverso Revelations. Per questo forse il balletto è ancora oggi così attuale e così forte.
Che significa avere studiato alla Alvin Ailey School?
Alvin Ailey era ed è fonte d’ispirazione, un mentore, una figura paterna. Mi ha incoraggiato a diventare un grande danzatore. Era un uomo aperto che incoraggiava e ispirava i danzatori.
Bellezza e difficoltà nel ricoprire il ruolo di direttore artistico.
È un’enorme responsabilità. Ho appreso da Sylvia Waters (che era stata scelta direttamente da Ailey) molte cose. Quello che mi ha trasmesso cerco di trasferirlo ai danzatori. Ogni giorno li incoraggio a mantenere la loro umanità e a trasferirla nella danza.
Il programma delle serate al Teatro Romano?
Accanto all’«icona» Revelations, coreografi emergenti in grado di rappresentare le energie e i colori della società odierna. Un programma volutamente diversificato che culmina nella celebrazione della cultura e della vita afroamericana.R.S.


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