my arm di tim crouch - piccolo teatro di giulietta di verona - accademia degli artefatti Theatre Art Verona

My arm di Tim Crouch


My arm

Giovedì 25 ottobre 2012 / ore 21.00 – Piccolo Teatro di Giulietta
Accademia degli Artefatti

Informazioni / cast

di Tim Crouch
traduzione L. Scarlini
regia F. Arcuri
con M. Angius e E. Duncan Barbieri
video L. Letizia – Chant du jour

My arm è il monologo di un trentenne che racconta di come da bambino ha sfidato se stesso, le proprie possibilità, la propria noia, e quella universale. Una sfida incosciente, eppure di una portata speculativa e di un’intensità emotiva travolgente: dopo aver dimostrato di riuscire a stare per quattro mesi senza andar di corpo o senza parlare, un giorno porta un braccio sopra la testa e prova a verificare per quanto tempo riuscirà a tenercelo…Una storia che ha la preziosità del racconto biografico e la carica di una critica culturale; e anche la malinconia di un disfacimento e la gioia di una rivoluzione; è una storia raccontata direttamente al pubblico rendendolo consapevole e complice di ogni sua piega, di ogni suo dramma e di ogni sua ridicola assurdità.

La vita quotidiana di un uomo che non riesce più a riportare il braccio nella posizione naturale e la vita straordinaria di un braccio che diventa protagonista della scena artistica mondiale. Una colonna sonora suonata live ripercorre le tappe dei trent’anni del protagonista. Una telecamera in scena riproduce su uno schermo un teatrino: elementi capaci di spostare il piano del racconto e della visione.

“L’uomo del braccio” racconta la sua storia prendendo a prestito dagli spettatori foto, chiavi, accendini che raffigurano luoghi o personaggi cui però non rimandano affatto: e ricostruisce così un teatro ulteriore, un mondo e un linguaggio ulteriori che raccontano una storia tanto vera e per questo impossibile.

Sito compagnia teatrale Accademia degli artefatti

Sito di Tim Crouch

My arm è il monologo di un trentenne che racconta di come da bambino ha sfidato se stesso, le proprie possibilità, la propria noia, e quella universale. E’ una sfida incosciente, eppure di una portata speculativa e di un’intensità emotiva travolgente: dopo aver dimostrato di riuscire a stare per quattro mesi senza andar di corpo o senza parlare, un giorno porta un braccio sopra la testa e prova a verificare per quanto tempo riuscirà a tenercelo…e ora vent’anni dopo vive e muore del suo braccio reso inattivo, arto ucciso, ma insieme unico superstite al resto del corpo.
Una storia che ha la preziosità del racconto biografico e la carica di una critica culturale; e anche la malinconia di un disfacimento e la gioia di una rivoluzione; è una storia raccontata direttamente al pubblico rendendolo consapevole e complice di ogni sua piega, di ogni suo dramma e di ogni sua ridicola assurdità. La vita quotidiana di un uomo che non riesce più a riportare il braccio nella posizione naturale e la vita straordinaria di un braccio che diventa protagonista della scena artistica mondiale anche grazie all’uomo che ha scelto di riposizionarlo definitivamente. Una colonna sonora suonata live ripercorre le tappe dei trent’anni del protagonista, regalando alla messa in scena tutta la britannicità del contesto in cui la storia si sviluppa. Una telecamera in scena che riproduce su uno schermo da filmino casalingo il teatrino ulteriore allestito dal protagonista e un video in cui il protagonista dialoga con un altro sé a grandezza naturale: ecco gli elementi capaci di spostare continuamente il piano del racconto e della visione.
‘L’uomo del braccio’ racconta la sua storia prendendo a prestito dagli spettatori foto, chiavi, accendini che raffigurano luoghi o personaggi cui però non rimandano affatto: e ricostruisce così un teatro ulteriore, un mondo e un linguaggio ulteriori che raccontano una storia tanto vera e per questo impossibile, manipolando la realtà e mettendola a servizio di una rappresentazione che però non ha nulla da raccontare, se non se stessa.

MY ARM

My Arm
di Tim Crouch
traduzione Luca Scarlini
regia Fabrizio Arcuri
con Matteo Angius e Emiliano Duncan Barbieri
video Lorenzo Letizia – Chant du jour
organizzazione Rosario Capasso
produzione accademia degli artefatti07
in collaborazione con: British Council, Trend – Nuove frontiere del Teatro Britannico, Santarcangelo – International Festival of the Arts, Festival Teatri delle Mura di Padova, Armunia – Castiglioncello, AREA06.
My arm è il monologo di un trentenne che racconta di come da bambino ha sfidato se stesso, le proprie possibilità, la propria noia, e quella universale. E’ una sfida incosciente, eppure di una portata speculativa e di un’intensità emotiva travolgente: dopo aver dimostrato di riuscire a stare per quattro mesi senza andar di corpo o senza parlare, un giorno porta un braccio sopra la testa e prova a verificare per quanto tempo riuscirà a tenercelo…e ora vent’anni dopo vive e muore del suo braccio reso inattivo, arto ucciso, ma insieme unico superstite al resto del corpo.
Una storia che ha la preziosità del racconto biografico e la carica di una critica culturale; e anche la malinconia di un disfacimento e la gioia di una rivoluzione; è una storia raccontata direttamente al pubblico rendendolo consapevole e complice di ogni sua piega, di ogni suo dramma e di ogni sua ridicola assurdità. La vita quotidiana di un uomo che non riesce più a riportare il braccio nella posizione naturale e la vita straordinaria di un braccio che diventa protagonista della scena artistica mondiale anche grazie all’uomo che ha scelto di riposizionarlo definitivamente. Una colonna sonora suonata live ripercorre le tappe dei trent’anni del protagonista, regalando alla messa in scena tutta la britannicità del contesto in cui la storia si sviluppa. Una telecamera in scena che riproduce su uno schermo da filmino casalingo il teatrino ulteriore allestito dal protagonista e un video in cui il protagonista dialoga con un altro sé a grandezza naturale: ecco gli elementi capaci di spostare continuamente il piano del racconto e della visione.
‘L’uomo del braccio’ racconta la sua storia prendendo a prestito dagli spettatori foto, chiavi, accendini che raffigurano luoghi o personaggi cui però non rimandano affatto: e ricostruisce così un teatro ulteriore, un mondo e un linguaggio ulteriori che raccontano una storia tanto vera e per questo impossibile, manipolando la realtà e mettendola a servizio di una rappresentazione che però non ha nulla da raccontare, se non se stessa.

Debutto: Festival Santarcangelo dei Teatri, luglio 2007

Estratti rassegna stampa
“Con rara lucidità Fabrizio Arcuri e l’Accademia degli Artefatti continuano con due atti unici di Tim Crouch presentati sotto il titolo “Ab-Uso” […] Teatro smontato e messo a nudo, caustico invito a non fidarsi di nessuna certezza (o abuso di potere) spettacolare. Si esce con l’impressione che gran parte della merce in circolazione sia avariata o scaduta.”
Nico Garrone, La Repubblica, 31 dicembre 2007

“Gli Artefatti, nei lavori ideati da Tim Crouch, agiscono invece sullo svelamento e sulla messa in discussione dei meccanismi dei patti della comunicazione teatrale con gli attori e gli spettatori obbligati a trascurare gli eventi narrati e a prendere atto e a vivere in comune l’esperienza della separazione tra i ruoli e i compiti di “individuo”, “attore” e “personaggio” […] L’esperienza teatro si trasferisce qui su un piano teorico, di riflessione sulla rappresentabilità del reale”.
Sandro Avanzo, Liberazione, 10 luglio 2007

“Progetto vibrante e teso come una corda di violino […] Quel braccio tumefatto, quasi staccato dal corpo, diventa il correlativo oggettivo di un malessere che Matteo Angius ci restituisce in un modo delicato, leggero, quasi funambolico […]”
Katia Ippaso, Liberazione, 16 marzo 2008

“Le cose, a dire il vero, non sono così scoperte; il dialogo possiede infatti una struttura articolata che lo porta ad assumere, lungo un percorso di rimozione e ricostruzione della memoria, i toni della commedia, della farsa, della tragedia.”
Marco Andreoli, Hystrio, ottobre-dicembre 2007

“Matteo Angius è bravissimo nel portare lo spettatore in questo racconto a più livelli, coadiuvato dagli inserti musicali di Emiliano Duncan Barbieri alla chitarra, tra riferimenti pop e sottile ironia, mentre interagisce con lo schermo alle sue spalle che proietta un altro se stesso, le immagini della videocamera davanti la qual fa muovere gli oggetti che di volta in volta rappresentano cose e persone in un gioco divertente e divertito, mentre mette a nudo i meccanismi di significazione della nostra civiltà delle immagini, del sistema di assegnazione di valore della vita umana e della significazione anche dell’arte.”
Alessandro Paesano, teatro.org, 5 settembre 2010

“[…] la sapida e valentissima Accademia degli Artefatti […] ha appena proposto, al Centro Zo, My Arm di Tim Crouch, essenzialmente un monologo, qui felicemente affidato alla convincente, avvincente tempra di “comedian” di Matteo Angius […]”
Carmelita Celi, La Sicilia, 6 novembre 2010

 

 

My arm E-mail
Scritto da Paolo Randazzo
Un bambino alza il braccio sinistro, quindi prova a tenerlo alzato per un po’ di tempo ancora e ci riesce, si fa male certo, ma ci riesce, si accorgono di lui, si preoccupano per lui (è un trionfo!) e allora decide, contro tutto e contro tutti, che lo terrà alzato per sempre quel braccio, sino a perderlo del tutto rovinato d’inattività e cancrena, sino a marcirne, sino a morirne. Anni settanta, un’anonima famiglia inglese della piccola borghesia che vive nell’I-sola di White. Un gesto «…in assenza di fede. Nessun pensiero ne è causa né effetto»: un urlo senza significato, ma che pure segnala (disperatamente) una presenza. È questo, in breve, il nucleo drammaturgico di “My arm” lo spettacolo tratto da un testo del drammaturgo inglese contemporaneo Tim Crouch che l’“Accademia degli artefatti” ha realizzato nel contesto del progetto “Ab-uso”. In scena ci sono Matteo Angius, molto efficace, Emiliano Duncan Barbieri che suona una chitarra elettrica, i contributi video di Lorenzo Letizia. Lo spettacolo (visto a Catania il 4 novembre scorso, nello spazio scenico di ZO e nel contesto della rassegna “Altre scene” di “Statale 114”) è diretto da Fabrizio Arcuri. Un nucleo drammaturgico così breve potrebbe apparire persino banale se non fosse che lo spettacolo, più che rappresentarlo, gira intorno ad esso coinvolgendo il pubblico in una serie di interrogativi che sono squarci di senso rapidi, profondi, domande che svelano varchi improvvisi che lasciano intravedere un’ umanità tanto beffarda quanto sfuggente e surreale. Un coinvolgimento del pubblico che parte dallo stesso straordinario lavoro attoriale di Angius: entra ed esce dal testo, lo usa, se ne distanzia, lo aggredisce e lo propone alterandone l’impatto con ironia, e poi parla con il pubblico, monologa dialogando col fratello che compare nel video alle sue spalle oppure coi tanti oggettini (penna, portachiavi, elastico, pupazzetto etc.) che ha chiesto ai presenti all’inizio della piéce o che ha trovato poggiati su un tavolino. Sono oggetti, ma sono anche uomini e donne, i genitori del bambino, il neuropsichiatra infantile che lo ha in cura, gli amici. Oggetti le persone, oggetti i personaggi: i filosofi direbbero che si tratta di una chiara immagine della “reificazione”, ovvero della trasformazione in “cosa” dell’umanità che vive il nostro mondo, il nostro secolo liberato e capitalista. La comunicazione verbale se non è proprio falsa, resta ambigua, si muove in superficie. Forse è davvero così ma, se veramente di questo si tratta, allora la leggerezza di questo spettacolo assume un reciso valore politico e la potenza straniata, angosciante e coltissima di una tragedia che ci urla quanto lontani siamo dalla possibilità di vivere autenticamente e di percepire l’umanità di chi ci sta accanto. A meno che… non si alzi un braccio.