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Giorno del ricordo 2013


L’Amministrazione Comunale, come negli anni precedenti, celebra il Giorno del Ricordo dedicato alle vittime delle Foibe e dell’esodo Giuliano – Dalmata e delle vicende del confine orientale, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

Programma delle iniziative

Mercoledì 6 febbraio 2013

  • ore 9.00 – Gran Guardia Sala BuvetteApertura mostra fotografica Dedicata al ricordo
    a cura del Comitato Provinciale di Verona di A.N.V.G.D (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)
    Consulenza storica e testi del professore Guido Rumici, storico e scrittoreLa mostra è aperta nei giorni 6, 7 e  8 febbraio, dalle 9 alle 20
    Ingresso libero

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Giovedì 7 febbraio 2013  – Gran Guardia Auditorium
dalle ore 9.30

Commemorazione dedicata al “Giorno del ricordo”

Interventi:
» Sindaco della Città di Verona Flavio Tosi
» Rappresentante della Consulta Provinciale degli Studenti di Verona
» Presidente del Comitato di Verona A.N.V.G.D. Francesca Briani

a seguire

Teatro Impiria
presenta lo spettacolo
“Giulia”
di Michela Pezzani
regia di Andrea Castelletti
Introduce Davide Rossi, docente all’Università degli studi di Trieste

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Venerdì 8 febbraio 2013

  • ore 10.30 – Cimitero Monumentale di Verona

    Santa Messa e cerimonia commemorativa
    deposizione di una corona al “”Monumento dedicato alle Vittime delle Foibe, agli Esuli deceduti  lontano dalla loro terra d’origine ed a tutti i Defunti rimasti“”  alla presenza delle Autorità

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Venerdì 15 febbraio 2013

  • ore 17.30 – Circolo Ufficiali in Castelvecchio”La questione giuliana dall’Età moderna alla Macro regione contemporanea”
    Il Sottosegretario del Ministero degli Esteri, Ambasciatore Staffan de Mistura presenta il volume “Fenomenologia di una macro regione”
    a cura di G. de Vergottini, G. Cevolin, D. Rossi, I. Russo e G. F. Siboni
    Interviene Francesco Perfetti, ordianario di Storia Contemporanea all’Università L. U.I. S.S.

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Venerdì 22 marzo 2013 

  •  ore 15.30 – Foyer del Teatro NuovoPremio Letterario  A.N.V.G.D. Verona “Gen. Loris Tanzella”
    dedicato a opere letterarie sulla storia delle terre di Istria, Fiume e Dalmazia
    Cerimonia di premiazione della dodicesima edizione
Informazioni e contatti:

Ufficio Manifestazioni del Comune di Verona
Ornella Bigi
tel. 045 8077616

Il giorno del ricordo ricorre domenica il 10 febbraio

Il testo delle legge che ha istituito questa importante solennità:

La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

(legge 30 marzo 2004 n. 92)

Con questa legge vennero riconosciute con lo scopo di mantenere sempre in vita la memmoria anche due importantissime e poco conosciute istituzioni culturali: il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l’Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. Sempre con la stessa legge venne stabilita l’assegnazione in seguito a domanda, di un titolo onorifico senza assegni, costituito da un’apposita insegna metallica con relativo diploma, al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti sino al sesto grado, degli infoibati e a tutti coloro che vennero assassinati nello stesso periodo e nelle stesse zone per le identiche motivazioni (il termine per la domanda al riconoscimento è il 30 marzo 2014). L’insegna metallica e il diploma, firmato dal Presidente della Repubblica, vengono conferiti ogni anno

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Repressione, conflitti etnici e crimini contro i civili

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Provincia di Lubiana, Governatorato di Dalmazia e Crimini di guerra italiani.

Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrate da tutte le parti in causa numerosi crimini di guerra[30].

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall’istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, ed i cetnici, nazionalisti monarchici a prevalenza serba.[31], i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente.

Nella Provincia di Lubiana, fallito il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido, emerse presto un movimento resistenziale: la conseguente repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra con devastazioni di villaggi e rappresaglie contro la popolazione civile. A scopo repressivo, numerosi civili sloveni furono deportati nei campi di concentramento di Arbe e di Gonars[32].

Nei territori annessi, costituenti il Governatorato della Dalmazia, fu avviata una politica di italianizzazione forzata del territorio e della popolazione. In tutta la Dalmazia, sia italiana che croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerriglia, che raggiunse livelli di massacro dopo l’estate 1942.

A causa dell’annessione della Dalmazia costiera al Regno d’Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d’occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un’alleanza tattica tra le forze italiane ed i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia[senza fonte].

Le rappresaglie attuate dal Regio esercito aumentarono il risentimento della popolazione slava nei confronti degli italiani. Dopo la guerra la Jugoslavia chiese di giudicare i presunti responsabili di questi massacri (come il generale Mario Roatta), ma l’Italia negò la loro estradizione grazie ad alcune amnistie[33]

Gli eccidi contro la popolazione italiana

1943: armistizio e prime esecuzioni

Norma Cosseto

L’8 settembre 1943 con l’armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito.

Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentaneamente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l’annessione dell’Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione popolare per l’Istria.[34] Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell’Istria.

Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s’intendeva creare.[35] A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.[36]

Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 400-600 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile.

L’armistizio in Dalmazia

Copertina del la Domenica del Corriere del gennaio 1944, che illustra l’annegamento del farmacista Pietro Ticina e della famiglia, nei pressi di Zara.

Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri dalmati entravano i partigiani jugoslavi. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.

La Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, dalla 7. SS-Gebirgsdivision “Prinz Eugen”. La 77ª divisione fanteria italiana Bergamo, di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata divisione Prinz Eugen, nonostante l’atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi, in quello che è noto come il massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò – seppur sotto il controllo tedesco – sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell’ottobre 1944.

L’occupazione tedesca della Venezia Giulia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Operazione Nubifragio.

A seguito dell’armistizio di Cassibile i tedeschi lanciarono l’Operazione Nubifragio, con l’obbiettivo di assumere il controllo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e dell’Istria.

L’offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 e portò all’annientamento della resistenza opposta da parte di nuclei partigiani, che furono decimati, catturati, costretti alla fuga o dispersi. I partigiani cercarono di ostacolare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati: questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi.
Uno dei momenti più significativi sul territorio italiano fu la battaglia di Gorizia combattuta fra i giorni 11 e 26 settembre 1943 tra l’esercito tedesco e la Brigata Proletaria, un raggruppamento partigiano forte di circa 1500 uomini, costituito in massima parte da operai dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone rafforzato da un consistente gruppo di partigiani sloveni.

L’Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.

Dal 1943 al 1945 si susseguirono le repressioni nazifasciste che portarono la provincia di Gorizia ad essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio nazisti, mentre quarta fu Fiume.[37]

I ritrovamenti dell’autunno 1943

Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d’Istria negli ultimi mesi del 1943

4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi (C) e Amalia Ardossi (D)

Con l’espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nelle foibe, dove furono rinvenuti i resti di centinaia di persone. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse le indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria.

La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine “foibe” cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l’enfasi data ai ritrovamenti da parte della Repubblica di Salò alimentò da un lato il clima di terrore che favorì il successivo esodo, dall’altro lato la reazione negazionista con cui le sinistre respinsero per molto tempo la fondatezza di un crimine denunciato per la prima volta dal nemico fascista.

Dalmazia 1944

Veduta di Zara distrutta dai bombardamenti (Molo di Riva Nuova)

Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell’occupazione delle città dalmate dove risiedevano comunità italiane.

Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti alleati, che causarono la morte e la fuga della maggior parte dei suoi abitanti. La città fu infine occupata dagli Jugoslavi il 1º novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180.[38]

Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare[39]. Quella dell’annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze[40], tanto da divenire nell’immaginario popolare la “tipica” modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.

Primavera 1945: l’occupazione della Venezia Giulia e la nuova ondata di eccidi

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Massacro di Bačka.

Nella primavera del 1945 la IV Armata jugoslava, puntò verso Fiume, l’Istria e Trieste. L’obiettivo era di occupare la Venezia Giulia prima dell’arrivo degli alleati, trascurando l’occupazione delle due capitali (Zagabria e Lubiana), che vennero lasciate in mano germanica, in quanto la loro successiva assegnazione alla Jugoslavia non era minimamente in discussione. Il 20 aprile 1945 le formazioni partigiane raggiunsero i confini della Venezia Giulia. Tra il 30 aprile ed il 1º maggio le formazioni del IX Korpus sloveno occuparono l’Istria, Trieste e Gorizia.

Il nuovo regime si mosse in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L’OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia. Il compito della stessa era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazioni antifasciste italiane nonché tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, rivendicando l’appartenenza della stessa all’Italia.

A partire dal maggio del 1945, quindi, massacri si verificarono in tutta la Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria e Fiume). A Gorizia e Trieste (occupate dal 1º maggio), i massacri cessarono con l’arrivo degli alleati il 12 giugno: si riscontrò l’uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe.

Gli eccidi a Trieste ed in Istria

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Trieste#L’occupazione jugoslava.

I baratri venivano usati per l’occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito.

Gli scritti dell’allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Giulia, dell’Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi) e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi nel maggio 1945 chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l’esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi jugoslavi successivi mai smentirono.

Di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella dei democristiani Carlo Dell’Antonio e Romano Meneghello e di don Francesco Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire “in odium fidei” dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.

Tra altri politici di riferimento del CLN, si segnalano i casi di Augusto Bergera e Luigi Podestà – che restano due anni in campo di concentramento jugoslavo – e quelli del socialista Carlo Schiffrer e dell’azionista Michele Miani, che miracolosamente riescono ad aver salva la vita[41].

Gorizia e provincia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Deportazioni di Gorizia.

Con l’arrivo dell’Armata Popolare Jugoslava anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l’apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.

Fra le vittime si ricordano alcuni esponenti politici locali di riferimento del CLN: Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d’Azione, che non si sa ancora quando fu ucciso e se il suo cadavere fu infoibato[42].

Le autorità slovene a marzo del 2006 hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno. Secondo il presidente dell’Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta.[43]

Fiume

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Lapide votiva nel cimitero di Cossala, a Fiume.

Fiume fu occupata il 3 maggio dagli jugoslavi, che avviarono immediatemente un’intensa campagna di epurazione.

Particolarmente violenta fu la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, particolarmente forte in città, che era visto come un potenziale ostacolo all’annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò una violentissima campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero accomunati ai fascisti. I partigiani uccisero nelle prime ore di occupazione della città i vecchi capi del partito, dei quali una buona parte fu schiettamente antifascista. Fra questi Mario Blasich (infermo da anni, venne strangolato nel suo letto), Giuseppe Sincich (prelevato dalla sua casa e abbattuto a raffiche di mitra), Mario Skull (ucciso a colpi di pistola), Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.

Toccante fu la storia dell’ebreo Angelo Adam. Già deportato a Dachau e miracolosamente salvatosi, al ritorno in città venne eletto nei comitati sindacali aziendali, che fra i mesi di luglio e dicembre 1945 videro impegnate le intere maestranze cittadine, su impulso del Partito Comunista Croato. Inaspettatamente, queste elezioni videro il trionfo delle componenti autonomiste, che ottennero oltre il 70% dei seggi. In procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI, Angelo Adam venne arrestato, così come in immediata successione la moglie Ernesta Stefancich e il giorno dopo la figlia minorenne Zulema Adam, recatasi presso le autorità per chiedere informazioni sulla sorte dei genitori. Di nessuno dei tre si ebbero più notizie.

Tra i politici furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante che non si erano macchiati di crimini. In anni recenti vicino alla località di Castua è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma risulta difficile il loro recupero.

La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946 – assai dopo le esplosioni di “jacquerie” – risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN.[44]

Il numero di italiani sicuramente uccisi dall’entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un altro numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi.[45]

Cause

« ….già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”. »
(Discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo“. Roma, 10 febbraio 2007[46])

Schema di una foiba tratto da una pubblicazione del 1946.

La qualificazione delle concause e dei fattori che possono essere alla base dei massacri delle foibe è un’operazione senza dubbio complessa. Dall’esame dei fatti storici emergono una serie di elementi antecedenti non trascurabili, quali:

  • la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall’altra, causata dall’imporsi del concetto di nazionalità e stato nazionale nell’area;
  • gli opposti irredentismi, per cui i territori mistilingui della Dalmazia, della Venezia Giulia e del dovevano appartenere, in esclusiva, all’uno o all’altro ambito nazionale, e quindi all’uno o all’altro stato;
  • le conseguenze della prima guerra mondiale, con un’intensa battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d’Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni con conseguenti tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra;
  • il tentativo di assimilazione forzata delle minoranze slave della Venezia Giulia durante il ventennio fascista;
  • l’occupazione militare italiana, durante la guerra, di diverse zone della Jugoslavia durante le quali si verificarono anche crimini di guerra contro la popolazione civile;
  • la guerra nel teatro jugoslavo-balcanico, che fu uno dei fronti più complessi e violenti[47] (ad esempio l’operato degli ustascia croati);
  • la convinzione, diffusa fra i partigiani slavi, che la guerra di liberazione jugoslava non avesse solo un carattere “nazionale”, ma anche “sociale”, con la popolazione italiana percepita anche come “classe dominante” contro cui lottare;
  • la natura totalitaria e repressiva del costituendo regime comunista jugoslavo

Ciò premesso, il fenomeno delle foibe può essere considerato come un evento derivante da un disegno politico annessionista, il cui duplice obiettivo era:[48]:

  • l’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all’annessione di queste terre alla Jugoslavia.
  • l’avvento di un governo comunista jugoslavo in quelle terre: si volevano pertanto neutralizzare reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista.

Per quanto riguarda un supposto aspetto “vendicativo”, essendo i fascisti e i loro fiancheggiatori in gran parte italiani (sia pure non in numero superiore rispetto ad altre regioni italiane), ed opponendosi essenzialmente gli italiani all’annessione alla Jugoslavia, soprattutto a livello locale fu frequentemente utilizzata l’equazione italiano = fascista[49] Il conseguente (riuscito) tentativo di disarticolare in tutti i modi il precedente ordine sociale e religioso, fu interpretato dagli italiani d’Istria come un inusitato attacco alla propria etnia. Questo aspetto provocò, localmente, episodi di “jacquerie” (insurrezioni spontanee dei ceti popolari), in cui molti colsero anche l’opportunità di portare avanti vendette personali o compiere rapine eliminando i testimoni. Tale jacquerie si rivolse non solo verso i rappresentanti del regime fascista, ma anche verso gli italiani in quanto tali.[50] Gli episodi di jacquerie si verificarono prevalentemente nel corso degli eccidi del settembre-ottobre del 1943, avvenuti in un contesto in cui vennero a mancare i poteri costituiti[senza fonte].

Pertanto gli eccidi furono in massima parte, il risultato di una “violenza di stato”[51], che fu uno strumento di repressione politica e di pulizia etnica[52], in vista dell’annessione alla Jugoslavia di tutta la Venezia Giulia (incluse Trieste e Gorizia)[53] e per eliminare gli oppositori (reali o presunti) del costituendo regime comunista. In vista di questi due obiettivi era infatti necessario reprimere le classi dirigenti italiane (compresi antifascisti e resistenti), per eliminare ogni forma di resistenza organizzata. Questo aspetto era particolarmente importante a Gorizia e Trieste, della cui annessione gli Jugoslavi non erano (a ragione) certi. Tito, pertanto, fece il possibile per occupare le due città prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi una posizione di forza nelle trattative. Durante l’occupazione di Gorizia e di Trieste diverse migliaia di italiani furono arrestati, uccisi o deportati nei lager jugoslavi (soprattutto nel campo di lavoro e detenzione di Borovnica e nel carcere dell’OZNA di Lubiana).[54][55] Neutralizzando i vertici dirigenziali, ed eliminando o intimorendo i cittadini italiani tentò di far credere che gli jugoslavi fossero la maggioranza assoluta della popolazione: la composizione etnica sarebbe stata, infatti, un fattore decisivo nelle conferenze del dopoguerra e per questo motivo la riduzione della popolazione italiana risultava essenziale.[56]

Su questo dibattuto problema, gli storici italiani e sloveni (ma non quelli croati) hanno raggiunto conclusioni concordi, laddove affermano:

« Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani. »
(Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, “Periodo 1941-1945”, Paragrafo 11, Capodistria, 2000)

Vittime

Tipologia delle vittime

Tra i caduti figurano non solo personalità legate al Partito nazionale fascista, ma anche ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, sacerdoti, parte dell’alta dirigenza italiana contraria sia al comunismo, sia al fascismo, tra cui compaiono esponenti di organizzazioni partigiane o anti-fasciste, autonomisti fiumani seguaci di Riccardo Zanella, sloveni e croati anti-comunisti, collaboratori e nazionalisti radicali e semplici cittadini.

Modalità delle esecuzioni

Nelle foibe sono stati gettati cadaveri sia di militari che di civili. In alcuni casi, com’è stato possibile documentare, furono infoibate persone non colpite o solo ferite[57].

Sebbene quest’ultima modalità di esecuzione fosse, come già detto, solo uno dei modi con cui vennero uccise le vittime dei partigiani di Tito[58], nella cultura popolare divenne il metodo di esecuzione per eccellenza ed un simbolo del massacro.

In realtà la maggior parte delle vittime, date per infoibate, sono state inviate nei campi di concentramento jugoslavi dove molte furono uccise o morirono di stenti o malattia.

Quantificazione delle vittime

Nel dopoguerra e nei decenni immediatamente successivi non furono mai effettuate stime scientifiche del numero delle vittime, che venivano usualmente indicate in 15.000[59] (e talvolta aumentate fino a 30.000).[60] Studi rigorosi sono stati effettuati solo a partire dagli anni novanta. Una quantificazione precisa è impossibile a causa di una generale mancanza di documenti. Il governo jugoslavo (e successivamente quello croato) non ha inoltre mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero di decessi. Alcuni commentatori ritengono inoltre che una parte della documentazione sia tuttora secretata negli archivi, in particolare dell’ex Partito comunista italiano[61]. Gli studi effettuati recentemente valutano il numero totale delle vittime (comprensive quindi di quelle morte durante la prigionia o la deportazione) come compreso tra poco meno di 5.000 e 11.000.[62][63] Di questi solo alcune centinaia furono gli “infoibati” veri e propri, ma nell’uso comune anche gli uccisi in altre circostanze legate all’avanzata delle forze jugoslave lungo il confine orientale italiano vengono comunque considerati vittime o martiri “delle foibe”.

Testimonianze

Autunno 1943: recupero di una salma, gli uomini indossano maschere antigas per i miasmi dell’aria attorno alla foiba

Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe comunque tra questi Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi hanno raccontato la loro tragica esperienza a storici e/o emittenti televisive.[64]

« dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri “facciamo presto, perché si parte subito”. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo. »
(dichiarazione di Radeticchio[65])

Questa testimonianza della primavera del 1945 fu pubblicata il 26 gennaio 1946 sul periodico della Democrazia Cristiana triestina La Prora, e poi riportata integralmente e anonimamente nell’opuscolo Foibe, la tragedia dell’Istria, edito dal CLN dell’Istria[66]. A partire dall’inserimento della testimonianza in un libro di Giuseppe Bedeschi nel 1987[67], questa è stata poi varie volte ripresa dalla pubblicistica[68].

Anche le testimonianze degli scampati dalle foibe hanno causato delle polemiche politico-storiografiche: Pol Vice (pseudonimo di Paolo Consolaro) – un saggista di ispirazione marxista[69] ed esponente di Rifondazione Comunista[70] – ha sottoposto i testi ad una serrata critica, giungendo ad affermare che siamo in presenza di falsi testimoni[71]. Il libro di Pol Vice è stato presentato dall’editore – Alessandra Kersevan – come parte di un progetto più ampio comprendente anche dei similari testi di forte critica di Claudia Cernigoi[72], e Daniela Antoni[73]. La Kersevan – varie volte presentata dalla stampa come “negazionista”[74] -ritiene che sulle foibe stia «funzionando una propaganda forsennata (…) che ha come scopo preciso quello della rivalutazione del fascismo»: «un vero e proprio progetto mediatico di falsificazione della storia (…) costruito ed imposto all’opinione pubblica (…) dall’immediato dopoguerra ad oggi da forze politiche sociali ed economiche tuttora dominanti nel nostro Paese»[75], anche grazie a «storici compiacenti» come Pupo e Spazzali, con la Democrazia Cristiana in testa nell’appoggio politico ai «neo irredentisti ex fascisti»[76].

Vittime di nazionalità slovena e croata

In paralleli eccidi furono coinvolti cittadini italiani o ex italiani di nazionalità slovena e croata, oltre slavi autoctoni. Tali uccisioni ebbero una matrice esclusivamente politica, rimanendo esclusa quella etnica, intendendo il costituendo regime comunista eliminare le forme di opposizione.[77] Questi eccidi, quindi, nel dibattito italiano non sono di solito considerati parte degli eccidi delle foibe[78], termine che si riferisce alle sole vittime di nazionalità italiana.

Tra gli sloveni uccisi vanno ricordati: Ivo Bric di Montespino (Dornberk), antifascista cattolico ucciso con la famiglia il 2 luglio 1943, Vera Lesten di Merna, poetessa e antifascista cattolica, uccisa nel novembre del 1943, la famiglia Brecelj di Aidussina (il padre Anton, le figlie Marica e Angela e il figlio Martin) uccisa nel luglio del 1944. Tra i sacerdoti uccisi (e spesso infoibati) dai comunisti vanno ricordati: don Alojzij Obit del Collio (scomparso nel gennaio 1944), don Lado Piščanc e don Ludvik Sluga di Circhina (uccisi con altri 13 parrocchiani sloveni nel febbraio del 1944), don Anton Pisk di Tolmino (scomparso e probabilmente infoibato nell’ottobre 1944), don Filip Terčelj di Aidussina, sequestrato dalla polizia segreta il 7 gennaio 1946 e successivamente scomparso, e don Izidor Zavadlav di Vertoiba, arrestato e fucilato il 15 settembre 1946. Un caso a parte rappresenta la sorte di Andrej Uršič di Caporetto, giornalista antifascista e anticomunista sloveno, ex membro del TIGR e co-fondatore dell’Unione Democratica Slovena in Italia, sequestrato dall’UDBA nel 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell’autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova.[79]

La percezione del fenomeno dal dopoguerra ai giorni nostri

L’oblio del dopoguerra

« … va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe (…) e va ricordata (…) la “congiura del silenzio”, “la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio”.Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali. »
(Discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo”. Roma, 10 febbraio 2007)

La vicenda nel dopoguerra è stata a lungo trascurata per i convergenti interessi di governo e opposizione.[80]

Secondo lo storico Gianni Oliva il silenzio fu causato da tre motivi: prima di tutto vi fu un silenzio internazionale, provocato dalla rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 1948, che spinse tutto il blocco occidentale a stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia, in funzione antisovietica (si era agli inizi della guerra fredda). Vi furono anche cause politiche[81] dal momento che il PCI non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale. Vi fu infine un silenzio da parte dello Stato Italiano che voleva sorpassare tutto il capitolo della sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Oltre a questo non si voleva inoltre riaprire il problema dei molti militari che commisero in Jugoslavia reati di guerra per i quali non furono mai perseguiti, nonostante le iniziali richieste del governo jugoslavo[82].

La memoria degli avvenimenti rimase per lo più ristretta nell’ambito degli esuli, di qualche intellettuale anticonformista e di commemorazioni locali. Solo una parte della destra ha sostenuto le ragioni delle vittime, sia pure strumentalizzandole in funzione anticomunista ed esagerando il loro numero.

Ciò non toglie che in opere storiche, l’argomento fosse dibattuto: ad esempio nel 1980, Arrigo Petacco – noto giornalista e saggista – illustrò la tragica realtà di questo massacro. Il suo racconto, pur all’interno di un’opera più ampia e con molte incertezze, prudenze ed omissioni, offriva un quadro sufficientemente completo, senza sottovalutare entità e ferocia delle stragi.

L’inizio della ricerca storica negli anni ’90

Con la fine della guerra fredda nei primi anni ’90, il tema delle foibe tornò a riscuotere l’interesse dei mass media e ad essere oggetto delle prime ricerche storiche (effettuate con crismi scientifici). Anche su iniziativa degli ex comunisti[83], si è fatta luce su questi episodi, che hanno cominciato ad essere ufficialmente ricordati.

Dal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione dei morti e dei profughi italiani. La data del 10 febbraio ricorda il trattato di Parigi siglato nel 1947 che assegnò alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall’armata di Tito.

In tale occasione fu trasmessa da Rai 1 la fiction Il cuore nel pozzo prodotta dalla RAI e liberamente ispirata alle stragi delle foibe. La trasmissione ebbe un vasta audience[84] e suscitò numerose polemiche per l’approssimazione con cui veniva trattato il contesto storico della vicenda[85]

Al di là dei differenti punti di vista che ancora animano l’analisi storica degli avvenimenti, resta la realtà di fondo che negli ultimi anni[quando?] la storiografia e tutta la classe politica italiana hanno finalmente preso coscienza ed ammesso la drammaticità e l’estensione degli avvenimenti che marcarono la fine della presenza italiana in Istria e Dalmazia.

Le tesi militanti al giorno d’oggi

La ricerca storica ha ormai pubblicato molteplici studi sugli avvenimenti, molte opere divulgative sono, inoltre, state pubblicate. Nell’opinione pubblica, tuttavia, persiste una forte enfasi, di origine ideologica, sulle responsabilità che comunismo e fascismo hanno avuto nelle foibe[86].

Comunismo e fascismo: il dibattito sulle responsabilità

In particolare, in alcuni ambienti della destra si afferma che le foibe sono state semplicemente un crimine del comunismo (spregiativamente chiamato “barbarie slavocomunista”), un genocidio di cittadini inermi che avevano la “sola colpa di essere italiani”[87], in preparazione alla successiva pulizia etnica. D’altra parte, in alcuni ambienti della sinistra, è diffuso un atteggiamento “giustificazionista” e si presentano gli eccidi come una “reazione” alla brutalità fascista.[88][89][90] È diffuso, inoltre, un atteggiamento “riduzionista”[91] che contesta il numero delle vittime delle foibe correggendolo al ribasso e che sostiene che gli eccidi abbiano coinvolto essenzialmente esponenti fascisti, sia militari che civili, responsabili di repressioni e di crimini di guerra italiani in jugoslavia.[92] [93] Si è visto sopra come le cause degli eccidi siano, in realtà, molto più complesse rispetto a queste semplificazioni.

Responsabilità del regime comunista jugoslavo

« … le “foibe” (…) sono state una variante locale di un processo generale che ha coinvolto tutti i territori in cui si realizzò la presa del potere da parte del movimento partigiano comunista jugoslavo … »
(Raoul Pupo, Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall’esercito partigiano jugoslavo[94])

Gli eccidi, come detto, avevano anche l’obiettivo di eliminare i possibili oppositori del costituendo regime comunista jugoslavo[95] e furono uno dei tanti eccidi che caratterizzarono la sua ascesa al potere[94], fra questi è rimasto tristemente celebre il massacro di Bleiburg. Repressioni di tale portata furono consentite dalle caratteristiche dittatoriali del regime comunista di Tito. Simili repressioni furono, inoltre, caratteristiche dell’ascesa al potere di gran parte dei regimi comunisti del periodo (che all’epoca conicidevano con lo stalinisimo), fatto che ha spesso portato a presentare le foibe ‘tour court’ come un “crimine del comunismo“.

La posizione del Partito Comunista Italiano

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Treno della vergogna e Esodo dei cantierini monfalconesi 1946 – 1948.
« Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.[96] »
(Da Profughi di Piero Montagnani su “L’Unità” – Organo del Partito Comunista Italiano – Edizione dell’Italia Settentrionale, Anno XXIII, N. 284, Sabato 30 novembre 1946)

L’atteggiamento del PCI nei confronti della questione dei confini orientali italiani fu ambiguo: già nel corso del conflitto, aveva acconsentito a lasciare la Venezia Giulia e il Friuli orientale sotto il controllo militare dei partigiani di Tito,[97] avallando così la successiva occupazione jugoslava.[98] Fu per questo motivo che aveva ordinato ai propri partigiani operanti nella regione di porsi sotto comando jugoslavo (fu in questo contesto che maturò l’eccidio di Porzûs)[99].
Successivamente richiese che i territori assegnati all’Italia col Trattato di Rapallo (1920) passassero alla Jugoslavia, ritenendo che i diritti nazionali degli italiani sarebbero stati tutelati dal nuovo ordine socialista imposto da Tito al suo paese; infine – a partire dalla metà del 1945 e massimamente a seguito della rottura fra Tito e Stalin – passò ad una difesa del carattere italiano della città di Trieste: prima sposando la linea per cui era da crearsi il Territorio Libero di Trieste, poi – dal 1948 – assumendo il mantenimento della città in Italia fra gli obiettivi del suo programma politico. Localmente, tutte le federazioni del PCI della Venezia Giulia aderirono alle richieste annessionistiche espresse dalla Jugoslavia[senza fonte]. In particolare, il PCI di Trieste – allontanatosi alla fine del 1944 dal CNL cittadino per sottoporsi gerarchicamente al fronte di liberazione della Slovenia – auspicò durante il corso di un’assemblea pubblica indetta dalle autorità italo-slave quella che venne definita “risoluzione settima repubblica”, che prevedeva la formazione di una settima repubblica federativa jugoslava, di carattere italiano con già pronta la bandiera ufficiale, comprendente Trieste, Monfalcone e il Friuli orientale: a tal scopo organizzarono il Partito Comunista della Venezia Giulia[100][101][102].
Terminato il conflitto molti militanti[senza fonte] comunisti italiani collaborarono con il governo jugoslavo e molti ebbero un ruolo attivo nelle repressioni. Si consideri che le scelte dei comunisti italiani, spesso tacciati di “tradimento”, furono coerenti al loro internazionalismo, secondo il quale l’affermarsi del comunismo era un valore moralmente superiore a quello di patria e nazione.
Negli anni successivi furono tuttavia molti gli ex partigiani e i militanti a prendere la via dell’esodo, come conseguenza delle politiche nazionaliste e repressive del comunismo jugoslavo[103][104], oltre che per la disputa che opponeva Tito a Stalin, e che vedeva i comunisti italiani schierati su posizioni rigidamente staliniane[105].
Negli anni successivi il P.C.I. contribuì a dare, all’opinione pubblica italiana, una visione alterata degli avvenimenti, volta a minimizzare e a giustificare le azioni dei comunisti jugoslavi.[106] Di questo atteggiamento ne fecero le spese i profughi, ai quali fu ingiustamente cucita addosso l’odiosa nomea di “fascisti in fuga”.[107]
A tutt’oggi, come si dice avanti, persiste in taluni ambienti comunisti e post-comunisti, in particolar modo quelli più legati all’epopea partigiana un atteggiamento che tende a minimizzare e a giustificare gli eccidi.[108][109][110][111][112]

Negazionismo e/o riduzionismo dei massacri

In un suo libro del 1997, la giornalista triestina Claudia Cernigoi, ha definito tutto il processo di riflessione storiografica sulle foibe sviluppatosi in Italia nel corso degli anni ’90 come frutto diretto della «propaganda nazifascista» e teso a riproporre un «neoirredentismo» italiano[113]. Uno degli scopi dichiarati dall’autrice è quello di «liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra tutta da quel senso di colpa che si portano dietro come “infoibatori”»[114]. In questo libro, il numero degli infoibati nella provincia di Trieste per opera degli jugoslavi venne determinato in 517[115], oltre a ciò – per l’autrice – «non vi furono massacri indiscriminati: della maggior parte degli arrestati si sa che erano militari e comunque collaboratori del nazifascismo»[116]. Allo stesso tempo, con riferimento alle onoranze concesse negli anni più recenti agli infoibati, la Cernigoi affermava che «visti i ruoli impersonati dalla maggior parte degli “infoibati”, personalmente ci rifiutiamo di onorarli. Si può provare umana pietà nei confronti dei morti, ma da qui ad onorare chi tradiva, spiava, torturava, uccideva, ce ne corre»[117].

Il testo provocò moltissime polemiche, tanto che un ricercatore vicino alle associazioni degli esuli istriani – Giorgio Rustia – pubblicò nel 2000 un saggio fortemente critico delle metodiche di studio della Cernigoi[118]. Rustia contestò alla radice l’intera impostazione del saggio della Cernigoi, fra l’altro individuando all’incirca altri duecento nomi di persone soppresse dagli jugoslavi a Trieste e nella provincia[119] e ricostruendo la storia personale di alcuni degli infoibati, dalla Cernigoi accusati di gravi reati che secondo Rustia non sono stati commessi[120].

In uno studio del 2003, gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali hanno pertanto inserito Claudia Cernigoi fra i «negazionisti (o riduzionisti)» delle foibe[121]. Claudia Cernigoi ha reagito molto duramente a tale accusa, con due articoli apparsi sulla rivista on-line La Nuova Alabarda – da lei diretta – a marzo del 2003[122] e a febbraio del 2007[123], nei quali affermò di ritenere «inesatta e fuorviante, oltreché offensiva, questa definizione» e ribadendo che – a suo dire – sulle foibe sarebbe stata artatamente creata una «mitologia (…) a scopi politici», «a scopo anticomunista, antipartigiano e soprattutto in funzione razzista contro i popoli della ex Jugoslavia (…)», sperando nel contempo che in Italia «non siamo già arrivati al fascismo completo». In una lettera aperta di marzo 2010, la stessa Cernigoi si lamentò che «da un po’ di tempo (…) gli studiosi Claudia Cernigoi (che scrive), Sandi Volk ed Alessandra Kersevan (che è anche titolare della casa editrice Kappa Vu di Udine) sono accusati di essere dei “negazionisti delle foibe”, dove va considerato che il termine di “negazionista” è genericamente usato, in ambito storico, per definire in senso negativo gli studiosi ed i propagandisti che cercano di dimostrare che non vi fu una politica di sterminio nazista nei confronti del popolo ebraico. Con questa similitudine si cerca pertanto di paragonare la nostra attività di ricerca storica a quella di altre persone che nulla di scientifico in ambito storico hanno prodotto ma si limitano ad arrampicarsi sugli specchi per dimostrare una propria teoria.[124]».

In un saggio del 2009 da lui curato[125], lo storico italiano di etnia slovena Jože Pirjevec per primo nel panorama degli storici accademici[126] ha utilizzato come fonte gli studi della Cernigoi. Anche questo saggio è stato fortemente criticato da molti storici e giornalisti italiani, fra i quali Paolo Mieli[127] (per il quale Pirjevec ha scatenato «polemiche di fuoco»), Roberto Spazzali[128], Raoul Pupo e Giuseppe Parlato[129].

Tesi sul primo utilizzo delle foibe

La Foiba di Pisino, dove si inabissa l’omonimo torrente

Più volte, a partire dagli anni ottanta, sono stati ricordati alcuni scritti del gerarca fascista Giuseppe Cobolli Gigli, che in una guida turistica del 1915 aveva riportato il testo di una filastrocca popolare[130]: «A Pola xé l’Arena/ la Foiba xé a Pisin:/ che i buta zò in quel fondo/ chi gà un certo morbin»[131]. Otto anni dopo, Cobolli riprendeva la tematica in un articolo sul periodico del PNFGerarchia[132]La musa istriana ha chiamato Foiba[133] degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria».

Sulla base di questi scritti si è affermato che l’utilizzo delle foibe, per eliminare le vittime di stragi, fosse di ideazione fascista. Tuttavia, secondo lo storico Elio Apih, il nesso fra le foibe e gli scritti di Cobolli è suggestivo e non credibile, e tali scritti, anche se definibili come “cattiva letteratura” e testimonianza di una “ostilità scherzosa”, non possono essere certo presentati, retrospettivamente, come un antefatto alle stragi[134]. Nel 2003, il giornalista e scrittore Giacomo Scotti ha ripreso la tesi[135] affermando, sulla base degli srcritti di Cobolli, che le foibe sarebbero state un'”invenzione fascista”[136]. A riprova di un effettivo utilizzo delle foibe da parte fascista, Scotti cita una lettera, a firma di Raffaello Camerini, pubblicata sul quotidiano triestino Il Piccolo nel 2001, dove si riferisce di supposti eccidi compiuti dai fascisti e dell’occultamento dei cadaveri delle vittime in alcune foibe. Le affermazioni contenute nella lettera non hanno però trovato riscontri specifici presentando contraddizione e incongurenze, pertanto la sua autenticità viene posta in dubbio[137].

Al contrario, lo storico Elio Apih, che pure ha effettuato un’analisi dei possibili precursori delle Foibe, non menziona tale tesi[138].

Lo stesso Apih ricorda che l’utilizzo delle foibe quale fossa comune, non costituisce una caratteristica originale degli eccidi giuliani. In gran parte delle stragi che caratterizzarono la seconda guerra mondiale difatti, insorse la necessità pratica di seppellire e/o occultare in fretta e con poca fatica le vittime. Le foibe furono utilizzate semplicemente perché era ciò che la Venezia Giulia offriva allo scopo, a fianco, peraltro, di miniere abbandonate e di cave[139].

Lo storico Raoul Pupo è sostanzialmente in linea con quest’ultima affermazione laddove parla di una tecnica di omicidio “diffusa in tutta l’area Jugoslava”[140].

Le tesi di Scotti, malgrado fossero di origine prettamente giornalistica[senza fonte], hanno avuto una certa diffusione, venendo riportate anche da un intellettuale come Predrag Matvejević[141] e in molti ambienti vicini alla resistenza (soprattutto a quella comunista) come l’ANPI[142] e in quotidiani di ispirazione comunista, quali il Manifesto e Liberazione. La tesi è inoltre popolare in svariate associazioni neo e post comuniste.

Nel già citato saggio del 2009, curato dallo storico italiano Jože Pirjevec, è stata utilizzata la testimonianza di Camerini[143], primo e unico caso nell’ambiente della ricerca storica. Come detto tale saggio è stato fortemente criticato da molti storici e giornalisti.[senza fonte]

Un’altra ipotesi, che attribuisce al comandante di polizia della RSI Gaetano Collotti l’utilizzo di foibe per eliminare i cadaveri di perseguitati politici[144], è stata proposta nel già citato testo “Operazione foibe a Trieste”, della giornalista Claudia Cernigoi.

Il punto di vista sloveno e croato

Abbozzo guerra
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Abbozzo storia

La Slovenia ha ufficialmente adottato la relazione di una commissione congiunta italo-slovena che descrive i rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956.

Il presidente della Repubblica di Croazia Stipe Mesic; pur condannandole ha circoscritto le ragioni dei massacri delle foibe a semplice vendetta[145] dei partigiani di Tito per i crimini commessi dalle forze fasciste italiane.

Le autorità italiane, pur avendo sostenuto l’operato della commissione, non hanno adottato la relazione, ritenendo inopportuno conferire ad essa uno status di ufficialità che non è compatibile con il principio della libera ricerca[senza fonte].

Il Governo italiano nel 2007, rispondendo ad una interrogazione parlamentare del deputato Cardano, ha precisato che, godendo già la relazione della Commissione bilaterale dello Status di ufficialità, ed essendo passati ormai ben 7 anni dalla sua prima pubblicazione sulla stampa e dal riconoscimento ufficiale del governo sloveno, non ritiene di pubblicarla perché gode già dello Status di ufficialità.[146] In Croazia sono diffuse opinioni di carattere riduzionista e si ritiene che i massacri siano stati solo una limitata reazione alle angherie del regime fascista, tanto nel ’43 quanto nel ’45.[senza fonte]

Il ricordo in Italia

Con la Legge 92 del 30 marzo 2004 [147] in Italia è stato istituito nella giornata del 10 febbraio di ogni anno il “Giorno del ricordo“, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Lo stesso provvedimento legislativo ha anche istituito una specifica medaglia commemorativa destinata ai congiunti delle vittime:

Infoibati.png Medaglia commemorativa del Giorno del Ricordo ai congiunti degli infoibati

Processi a criminali di guerra

I vari governi italiani succedutesi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della così detta “amnistia Togliatti[148] intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l’indulto e l’amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[149] a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966.[150] All’epoca la sola città di Belgrado chiese di imputare oltre 700 presunti criminali di guerra italiani[151] e i generali Mario Roatta, Vittorio Ambrosio e Mario Robotti, che non furono mai consegnati nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione.[152]

Nel 1992 è stato istituito un procedimento giudiziario in Italia contro alcuni dei responsabili dei massacri ancora in vita.[153] Tali inchieste furono giustificate dal fatto che all’epoca la Venezia Giulia era ancora ufficialmente sotto sovranità italiana; inoltre i crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione. Partite dalla denuncia di Nidia Cernecca[154], figlia di un infoibato, videro come principali imputati i croati Oscar Piskulic e Ivan Motika. L’inchiesta fu istituita dal pubblico ministero Giuseppe Pittitto. Nel 1997 diversi parlamentari sollecitarono il governo affinché avanzasse richiesta di estradizione per alcuni degli imputati.[155] Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto: nel 2004 fu infatti negata la competenza territoriale dei magistrati italiani.

Anche in questa occasione fiorirono le polemiche: fra le altre cose Pittitto fu accusato di volere imbastire un “processo alla resistenza”.[156]

Elenco di foibe

In questo elenco sono segnalate foibe e cave nelle quali son stati trovati resti umani o che secondo le testimonianze conterrebbero dei resti umani, dei quali solo una minima parte è stata recuperata[157].

  • Foiba di Basovizza (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)
  • Foiba di Monrupino (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)

Mappa delle principali foibe

  • Foiba di Barbana
  • Foiba di Beca
  • Foiba Bertarelli (Pinguente)
  • Foiba di Brestovizza
  • Foiba di Campagna (Trieste) (assieme alle foibe di Opicina e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foibe di Capodistria (una commissione slovena fece ispezionare le ottantun cavità con entrata verticale che circondano la città: in diciannove di esse sono stati trovati resti umani. Recuperati cinquantacinque corpi, secondo le testimonianze nella zona furono eliminati centoventi italiani e sloveni di San Dorligo della Valle)
  • Foiba di Casserova (vicino a Fiume: tedeschi, sloveni e italiani gettati dentro. Estremamente difficile il recupero)
  • Foibe di Castelnuovo d’Istria
  • Foiba di Cernizza (due salme recuperate nel 1943)
  • Foiba di Cernovizza (Pisino) (testimonianze di circa cento uccisioni)
  • Foiba di Cocevie
  • Foiba di Corgnale (assieme alle foibe di Campagna e Opicina, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Cregli (otto corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Drenchia (presenza di cadaveri della divisione partigiana Osoppo, secondo Diego De Castro)
  • Cava di bauxite di Gallignana (ventitré corpi recuperati nel mese di ottobre del 1943)
  • Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) (circa ottanta morti, secondo le testimonianze)
  • Foiba di Gimino
  • Foiba di Gropada (trentaquattro persone eliminate con colpo alla nuca il 12 maggio 1945. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Iadruichi
  • Foiba di Jurani
  • Cava di bauxite di Lindaro
  • Foiba di Obrovo (Fiume)
  • Foiba di Odolina
  • Foiba di Opicina (assieme alle foibe di Campagna e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Orle (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Podubbo (cinque corpi individuati e non recuperati)
  • Foiba di Pucicchi (undici corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Raspo
  • Foiba di Rozzo
  • Foiba di San Lorenzo di Basovizza
  • Foiba di San Salvaro
  • Foiba di Scadaicina
  • Abisso di Semez (individuati i resti di ottanta/cento persone. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Semi (Istria)
  • Abisso di Semich (un centinaio di corpi individuati ma non recuperati)
  • Foiba di Sepec (Rozzo)
  • Foiba di Sesana (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Terli (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Treghelizza (due corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Vescovado (sei corpi recuperati)
  • Foiba di Vifia Orizi (testimonianze di circa duecento persone eliminate)
  • Foiba di Villa Surani (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Vines (cinquantaquattro corpi recuperati nel mese di ottobre 1943)
  • Foiba di Zavni (Selva di Tarnova) (secondo le testimonianze, vi sono stati gettati i corpi dei Carabinieri di Gorizia, oltre che di centinaia di sloveni oppositori di Tito)

Campi di concentramento

I campi di concentramento nei quali morirono la maggior parte delle vittime delle foibe furono:

CITTA’ D’ITALIA CHE HANNO ONORATO I MARTIRI DELLE FOIBE NELLA PROPRIA TOPONOMASTICA

Lombardia ABBIATEGRASSO (Milano) Parco Martiri delle Foibe
Puglia ACQUAVIVA DELLE FONTI (Bari) Piazza Martiri delle Foibe
Piemonte ACQUI TERME (Alessandria) Piazza Martiri delle Foibe
Veneto ALBIGNASEGO (Padova) Viale Martiri delle Foibe
Piemonte ALESSANDRIA Via Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati
Piemonte ALESSANDRIA Via Vittime delle Foibe
Sardegna ALGHERO fraz. Fertilia (Sassari) Via Martiri delle Foibe
Umbria ALLERONA scalo (Terni) Largo Martiri delle Foibe
Puglia ALTAMURA (Bari) Via Caduti delle Foibe
Veneto ALTAVILLA VICENTINA fraz. Tavernelle (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Marche ANCONA Scalinata Italiani di Istria Fiume e Dalmazia
Lazio ANTRODOCO (Rieti) Giardino Martiri delle Foibe
Toscana AREZZO Largo Martiri delle Foibe
Piemonte ARONA (Novara) Largo Martiri delle Foibe
Umbria ASSISI – S.Maria degli Angeli (Perugia) Via Martiri delle Foibe
Abruzzo AVEZZANO (L’Aquila) Via Martiri delle Foibe
Veneto BADIA POLESINE (Rovigo) Via Martiri delle Foibe
Lombardia BARANZATE (Milano) Giardino Martiri delle Foibe
Puglia BARI Via Martiri delle Foibe
Veneto BASSANO DEL GRAPPA (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Sicilia BAUCINA (Palermo) Via Martiri delle Foibe
Veneto BELLUNO Piazzale Vittime delle Foibe
Campania BENEVENTO Piazzale Martiri delle Foibe
Umbria BETTONA (Perugia) Via Martiri delle Foibe
Lombardia BIASSONO (Monza-Brianza) Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna BOLOGNA Giardino Martiri d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia,
Emilia-Romagna BOLOGNA Rotonda Martiri delle Foibe
Lombardia BONATE SOPRA (Bergamo) Parco Martiri delle foibe
Piemonte BORGO SAN DALMAZZO (Cuneo) Piazzale Vittime delle Foibe
Piemonte BRA (Cuneo) Piazza Martiri delle Foibe
Lombardia BRESCIA Via Martiri delle Foibe
Lombardia BRESCIA Via Vittime d’Istria, Fiume e Dalmazia
Puglia BRINDISI Via Martiri delle Foibe
Lombardia BRONI (Pavia) Via Martiri delle Foibe
Lombardia BRUGHERIO (Monza-Brianza) Parco Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna BUDRIO (Bologna) Via Vittime delle Foibe
Veneto BUSSOLENGO (Verona) Viale Martiri delle Foibe
Sardegna CAGLIARI Parco dei Martiri delle Foibe
Toscana CALCINAIA fraz. Fornacette (Pisa) Via Vittime delle Foibe
Lombardia CALCINATO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
Lombardia CALOLZIOCORTE (Lecco) Parco Martiri delle Foibe
Toscana CAMAIORE (Lucca) Via Martiri delle Foibe
Liguria CAMOGLI (Genova) Scalinata Martiri delle Foibe
Puglia CARAPELLE (Foggia) Via Martiri delle Foibe
Campania CARDITO (Napoli) Via Martiri delle Foibe
Piemonte CASALE MONFERRATO (Alessandria) Via Vittime delle Foibe
Campania CASERTA Via Martiri delle Foibe
Puglia CASSANO DELLE MURGE (Bari) Parco ai Martiri delle Foibe e all’Esodo Istriano-giuliano-dalmata
Emilia-Romagna CASTEL MAGGIORE (Bologna) Rotonda Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna CASTELFRANCO EMILIA (Modena) Via Martiri delle Foibe
Campania CASTELLABATE fraz. Lago di Castellabate (Salerno) Via Martiri delle Foibe
Campania CASTELLABATE fraz.. San Marco (Salerno) Via Norma Cossetto
Campania CASTELLABATE fraz.. San Marco (Salerno) Via Giovanni Romito – Vittima delle Foibe
Piemonte CASTELLAMONTE (Torino) Via Martiri delle Foibe
Veneto CASTELNUOVO DEL GARDA (Verona) Via Martiri delle Foibe
Lombardia CASTIGLIONE DELLE STIVIERE (Mantova) Via Martiri delle Foibe
Puglia CEGLIE MESSAPICA (Brindisi) Via Martiri delle Foibe
Lazio CERVETERI (Roma) Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna CERVIA (Ravenna) Parco Martiri delle Foibe
Lombardia CHIARI (Brescia) Piazzetta Martiri delle Foibe
Veneto CHIUPPANO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Piemonte CHIVASSO (Torino) Via Martiri d’Istria e Dalmazia
Umbria CITTA’ DI CASTELLO (Perugia) Via Martiri delle Foibe
Marche CIVITANOVA MARCHE (Macerata) Via Martiri delle Foibe
Lazio CIVITAVECCHIA (Roma) Parco Martiri delle Foibe – Parco Uliveto
Piemonte COGGIOLA (Biella) Largo vittime delle Foibe
Piemonte COLLEGNO (Torino) Giardino Esuli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia
Lombardia COMO Piazza Martiri Foibe Istriane
Lombardia COMO Rondello Don Angelo Tarticchio
Lombardia COMO fraz. Albate Giardini Martiri italiani delle Foibe istriane
Veneto CONEGLIANO (Treviso) Via Martiri delle Foibe
Puglia COPERTINO (Lecce) Via Martiri delle Foibe
Lombardia CORNAREDO (Milano) Via Vittime delle Foibe
Emilia-Romagna CORTEMAGGIORE (Piacenza) Via Martiri delle Foibe
Lombardia COSTA VOLPINO (Bergamo) Parco Martiri delle Foibe
Veneto CREAZZO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Piemonte CRESCENTINO (Vercelli) Via Martiri delle Foibe
Veneto DANTA DI CADORE (Belluno) Via Vittime delle Foibe
Lombardia DESENZANO DEL GARDA (Brescia) Via Martiri Italiani delle Foibe
Piemonte DOMODOSSOLA (Verbano-Cusio-Ossola) Piazzale Vittime delle Foibe Istriane
Veneto DUE CARRARE (Padova) Piazza Norma Cossetto
Veneto DUE CARRARE (Padova) Piazza Vittime delle Foibe
Marche FABRIANO (Ancona) Via dei Martiri delle Foibe Istriane
Marche FERMO Largo Vittime delle Foibe
Emilia-Romagna FERRARA Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna FIDENZA (Parma) attesa delibera
Toscana FIRENZE Largo Martiri delle Foibe
Puglia FOGGIA Piazza dei Martiri Triestini
Umbria FOLIGNO (Perugia) Piazzale Martiri delle Foibe
Lazio FONDI (Latina) Piazza Martiri delle Foibe
Veneto FONTANIVA (Padova) Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna FORLI’ (Forlì-Cesena) Via Martiri delle Foibe
Toscana FORTE DEI MARMI (Lucca) Piazza Martiri delle Foibe
Veneto FOSSO’ (Venezia) Via Martiri Giuliani e Dalmati
Abruzzo FRANCAVILLA AL MARE (Chieti) Via Martiri delle Foibe
Lazio FROSINONE Piazza Martiri delle Foibe
Puglia GALATINA (Lecce) Piazza Vittime delle Foibe
Piemonte GATTINARA (Vercelli) Piazza Martiri delle Foibe
Lombardia GAVIRATE (Varese) Piazza Martiri delle Foibe 1943 – 1945
Toscana GAVORRANO (Grosseto) Via Martiri d’Istria
Liguria GENOVA Passo Vittime delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia GORIZIA Largo Martiri delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia GORIZIA Via Norma Cossetto
Piemonte GOZZANO (Novara) Via Vittime delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia GRADO (Gorizia) Piazza Martiri delle Foibe (pass. a mare)
Toscana GROSSETO Piazza Martiri delle Foibe Istriane
Piemonte GRUGLIASCO (Torino) Giardino Vittime delle Foibe
Veneto GRUMOLO DELLE ABBADESSE (Vicenza) Piazza Norma Cossetto
Lazio GUIDONIA MONTECELIO – Villalba (Roma) Piazza Martiri delle Foibe
Liguria IMPERIA Giardini Martiri delle Foibe
Marche JESI (Ancona) Piazza Martiri delle Foibe
Marche JESI (Ancona) Via Martiri delle Foibe
Veneto JESOLO (Venezia) Viale Martiri delle Foibe
Abruzzo LANCIANO (Chieti) Piazza Martiri delle Foibe
Abruzzo L’AQUILA Via Norma Cossetto
Puglia LATERZA (Taranto) Via Martiri delle Foibe
Lazio LATINA Piazzale Martiri delle Foibe
Lazio LATINA Viale Martiri di Dalmazia
Friuli-Venezia Giulia LATISANA (Udine) Via Martiri delle Foibe
Veneto LAVAGNO fraz. San Pietro (Verona) Via Martiri delle Foibe
Lombardia LAZZATE (Monza-Brianza) Largo Martiri delle Foibe
Puglia LECCE Via Martiri delle Foibe
Lombardia LECCO Riva Martiri delle Foibe
Veneto LEGNAGO (Verona) Via Norma Cossetto
Piemonte LEINI’ (Torino) Via Martiri delle Foibe
Lazio LEONESSA (Rieti) Largo dei Martiri delle Foibe Istriane
Sicilia LICATA (Agrigento) Piazzale Martiri delle Foibe
Lombardia LIMBIATE (Monza-Brianza) Piazza Martiri delle Foibe
Lombardia LISSONE (Monza-Brianza) Piazza Martiri delle Foibe
Liguria LOANO (Savona) Via Martiri delle Foibe
Calabria LOCRI (Reggio Calabria) Via Martiri delle Foibe
Veneto LONIGO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Toscana LUCCA Via Martiri delle Foibe
Marche MACERATA Via Vittime delle Foibe
Marche MAIOLATI SPONTINI (Ancona) Largo Martiri delle Foibe
Sicilia MANDANICI (Messina) P.zza Carabiniere Domenico Bruno-Martire delle Foibe
Lombardia MAPELLO (Bergamo) Via Esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia
Lombardia MAPELLO (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
Lazio MARCELLINA (Roma) Piazza Martiri delle Foibe
Lazio MARINO (Roma) Piazzale Caduti delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia MARTIGNACCO (Udine) Piazzale Martiri delle Foibe
Toscana MASSA (Massa-Carrara) Parco del ricordo ai Martiri delle Foibe.
Sicilia MAZARA DEL VALLO (Trapani) Via Martiri delle Foibe
Puglia MELISSANO (Lecce) Piazza Martiri delle Foibe
Sicilia MESSINA P.zza Martiri delle Foibe, Esuli di Istria, Fiume e Dalmazia
Lombardia MILANO Via Martiri Triestini
Lombardia MILANO Largo Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna MIRANDOLA (Modena) Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna MODENA Via Martiri delle Foibe
Puglia MODUGNO (Bari) Parco del Ricordo delle Foibe
Veneto MOGLIANO VENETO (Treviso) Via Martiri delle Foibe
Piemonte MONCALIERI (Torino) Via Vittime delle Foibe
Marche MONTE PORZIO (Pesaro) Via Martiri delle Foibe
Veneto MONTEBELLUNA (Treviso) Vicolo Martiri Giuliani e Dalmati
Veneto MONTECCHIO MAGGIORE (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Marche MONTELUPONE (Macerata) Via Martiri delle Foibe
Lazio MONTEROTONDO (Roma) Largo Martiri delle Foibe
Abruzzo MONTESILVANO (Pescara) Via Martiri delle Foibe
Lombardia MORTARA (Pavia) Via Martiri delle Foibe
Campania MUGNANO DI NAPOLI (Napoli) Via Vittime delle foibe
Veneto NANTO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Puglia NARDO’ (Lecce) Piazzale Martiri delle Foibe
Lazio NEPI (Viterbo) Parco Martiri delle Foibe
Lombardia NERVIANO (Milano) Via Martiri delle Foibe
Sicilia NISCEMI (Caltanisetta) P.za Martiri delle Foibe di Istria, Dalmazia e V.G.
Umbria NOCERA UMBRA (Perugia) Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna NOCETO (Parma) Via Martiri delle Foibe
Piemonte NOVARA Via Vittime delle Foibe
Lombardia NOVATE MILANESE Giardino Martiri delle Foibe
Veneto NOVENTA VICENTINA (Vicenza) Via Vittime delle Foibe
Sardegna ORISTANO Via Martiri delle Foibe
Lombardia OSPITALETTO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
Marche OSTRA VETERE (Ancona) Giardino Martiri delle Foibe
Sardegna OZIERI (Sassari) Via Martiri delle Foibe
Veneto PADOVA Passaggio Martiri delle Foibe
Veneto PADOVA Via Nicolò e Pietro Luxardo
Friuli-Venezia Giulia PAGNACCO (Udine) Piazzale Martiri delle Foibe
Lombardia PALAZZOLO SULL’OGLIO (Brescia) Piazza Martiri delle Foibe Istriane
Emilia-Romagna PARMA Via Martiri delle Foibe (seduta n.1 6.4.09 app.all’unanimità – str.n. 9)(Intit. N.1173 del 17.09.09)
Friuli-Venezia Giulia PASIAN DI PRATO (Udine) Via Martiri delle Foibe
Umbria PERUGIA Via Vittime delle Foibe (Parco)
Marche PESARO (Pesaro-Urbino) Parco Esuli Giuliano-Dalmati
Abruzzo PESCARA Piazza Martiri Dalmati e Giuliani
Veneto PESCHIERA DEL GARDA (Verona) Via Caduti delle Foibe
Toscana PIETRASANTA (Lucca) Piazza Martiri delle Foibe
Campagna PIGNATARO MAGGIORE (Caserta) Via Caduti delle Foibe
Veneto PIOVE DI SACCO (Padova) Via Martiri delle Foibe
Toscana PISA Rotonda Martiri delle Foibe
Puglia POGGIORSINI (Bari) Via Martiri delle Foibe
Lazio POMEZIA (Roma) Via Martiri delle Foibe
Lombardia PONTE SAN PIETRO (Bergamo) Piazza Martiri delle Foibe
Toscana PONTEDERA (Pisa) Via Caduti delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia PORDENONE Pedonale/ciclabile Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna PORRETTA TERME (Bologna) Piazza Martiri delle Foibe
Toscana PORTOFERRAIO (Livorno) Via Martiri delle Foibe
Veneto PORTOGRUARO (Venezia) Via Vittime delle Foibe (attesa delibera)
Emilia-Romagna PORTOMAGGIORE (Ferrara) Via Martiri delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia POVOLETTO (Udine) Ponte Martiri delle Foibe
Toscana PRATO Via Martiri delle Foibe
Lazio PRIVERNO (Latina) Giardino Martiri delle Foibe
Puglia PUTIGNANO (Bari) Via Martiri delle Foibe
Piemonte QUATTORDIO (Alessandria) Via della Memoria (Vittime delle Foibe)
Liguria RAPALLO (Genova) Piazzale Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna RAVENNA fraz. Porto Corsini Parco Martiri delle Foibe
Marche RECANATI (Macerata) Via Martiri delle Foibe
Toscana REGGELLO (Firenze) Via Caduti delle Foibe
Emilia-Romagna REGGIO EMILIA fraz. Coviolo Viale Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna RICCIONE (Rimini) Piazzale Martiri delle Foibe
Trentino-Alto Adige RIVA DEL GARDA (Trento) Largo Caduti delle Foibe
Lombardia ROBECCO SUL NAVIGLIO (Milano) Via Martiri delle Foibe
Sicilia ROCCALUMERA (Messina) Piazzetta Vittime delle Foibe
Lazio ROMA Via Norma Cossetto
Lazio ROMA Via Icilio Bacci
Lazio ROMA Via Riccardo Gigante
Lazio ROMA (Laurentina) Largo Vittime delle Foibe istriane
Friuli-Venezia Giulia RONCHI DEI LEGIONARI (Gorizia) Piazzale Martiri delle Foibe
Veneto ROSA’ (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Lombardia ROVATO (Brescia) Via Martiri delle Foibe
Trentino-Alto Adige ROVERETO (Trento) Largo Vittime delle Foibe 1943 – 1947
Puglia RUVO DI PUGLIA (Bari) Via Martiri delle Foibe
Lazio SABAUDIA (Latina) Largo dei Martiri delle Foibe
Lombardia SALO’ (Brescia) Via Martiri delle Foibe
Lombardia SALO’ (Brescia) Galleria Martiri delle Foibe
Veneto SAN BONIFACIO (Verona) Piazza Martiri delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia SAN DANIELE DEL FRIULI (Udine) Via Luxardo
Veneto SAN DONA’ DI PIAVE -Calvecchia (VE) Via Martiri delle Foibe
Veneto SAN GIOVANNI ILARIONE (Verona) Via Martiri delle foibe
Veneto SAN GIOVANNI LUPATOTO (Verona) Parco Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna SAN LAZZARO DI SAVENA (Bologna) Via Martiri delle Foibe
Piemonte SAN MAURO TORINESE (Torino) Vittime delle Foibe e degli Esuli da Istria, Fiume, Dalmazia, Alto Isonzo.
Toscana SAN MINIATO fraz. Ponte a Egola (Pisa) Via Vittime delle Foibe
Puglia SAN SEVERO (Foggia) Largo Vittime delle Foibe
Liguria SANREMO (Imperia) Via Martiri delle Foibe
Lazio SANTA MARINELLA (Roma) Parco Martiri delle Foibe
Lombardia SANT’ANGELO LODIGIANO (Lodi) Via Martiri delle Foibe
Veneto SAONARA (Padova) Via Martiri Giuliani e Dalmati
Sardegna SASSARI Via Martiri delle Foibe
Emilia-Romagna SASSO MARCONI -Borgonuovo (Bologna) Piazzale Vittime delle Foibe
Emilia-Romagna SASSUOLO (Modena) Piazza Martiri delle Foibe
Piemonte SAVIGLIANO (Cuneo) Via Martiri delle Foibe
Campania SCAFATI (Salerno) Via Martiri delle Foibe
Veneto SEDICO (Belluno) Via Martiri delle Foibe
Lazio SELCI (Rieti) Piazza Martiri delle Foibe
Veneto SEREN DEL GRAPPA (Belluno) Via Vittime delle Foibe
Lombardia SERIATE (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
Marche SERVIGLIANO (Fermo) Via Martiri delle Foibe
Piemonte SETTIMO TORINESE (Torino) Via Vittime delle Foibe
Veneto SOVIZZO (Vicenza) Via Martiri delle Foibe
Puglia SURBO (Lecce) Largo Vittime delle Foibe
Puglia TARANTO Piazzale Vittime delle Foibe
Sardegna TEMPIO PAUSANIA (Olbia-Tempio) Via Martiri delle Foibe Istriane
Veneto TEOLO (Padova) Via Martiri delle Foibe
Abruzzo TERAMO Via Martiri delle Foibe
Abruzzo TERAMO fraz. Piano d’Accio Via Norma Cossetto
Sicilia TERMINI IMERESE (Palermo) Largo Martiri delle Foibe
Molise TERMOLI (Campobasso) Largo Martiri delle Foibe
Sardegna TERRALBA (Oristano) Piazza Martiri delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia TOLMEZZO (Udine) Largo Vittime delle Foibe ed Esuli di Istria, Fiume, Dalmazia ed A.Isonzo (II Guerra Mondiale e dopoguerra)
Veneto TOMBOLO fraz. Onara (Padova) Via Martiri delle Foibe
Puglia TORRE MAGGIORE (Foggia) Via Martiri delle Foibe
Piemonte TORTONA (Alessandria) Giardini Esuli Istriani, Fiumani, Dalmati e Rimpatriati
Trentino-Alto Adige TRENTO Via Vittime delle Foibe
Veneto TREVISO Piazza Martiri delle Foibe
Puglia TRICASE (Lecce) Via Martiri delle Foibe
Friuli-Venezia Giulia TRIESTE Largo don Francesco Bonifacio
Friuli-Venezia Giulia TRIESTE Via Norma Cossetto
Friuli-Venezia Giulia TRIESTE Viale Martiri delle Foibe
Piemonte TROFARELLO (Torino) Via Martiri delle Foibe
Puglia TUGLIE (Lecce) Via Martiri delle Foibe
Campania TUORO (Caserta) Via Martiri delle Foibe
Lombardia UGGIATE TREVANO (Como) Piazzetta 10 febbraio – Giorno del Ricordo delle Vittime delle Foibe e dell’Esodo
Lombardia URGNANO (Bergamo) Piazza Martiri delle Foibe
Veneto VALDOBBIADENE (Treviso) Parco Martiri delle Foibe
Veneto VALEGGIO SUL MINCIO (Verona) Via Martiri delle Foibe
Lombardia VARESE Via Istria – Martiri delle Foibe
Abruzzo VASTO MARINA (Chieti) Via Martiri Istriani
Veneto VEDELAGO fraz. Casacorba (Treviso) Piazza Martiri delle Foibe
Lazio VELLETRI (Roma) Via Martiri delle Foibe
Veneto VENEZIA fraz. Marghera (Venezia) Piazzale Martiri Giuliano-Dalmati delle Foibe
Liguria VENTIMIGLIA (Imperia) Giardini Martiri delle Foibe
Piemonte VERBANIA (Verbano-Cusio-Ossola) Via Norma Cossetto
Piemonte VERCELLI Via Martiri delle Foibe
Veneto VICENZA Largo Martiri delle Foibe
Lombardia VIGEVANO (Pavia) Via Martiri delle Foibe
Veneto VIGONZA (Padova) Via Martiri delle Foibe
Piemonte VIGUZZOLO (Alessandria) Piazza Vittime delle Foibe
Toscana VILLAFRANCA IN LUNIGIANA (Massa Carrara) Piazza Martiri delle Foibe
Lombardia VILLONGO (Bergamo) Via Martiri delle Foibe
Lazio VITERBO Largo Martiri delle Foibe Istriane
Sicilia VITTORIA fraz. Scoglitti (Ragusa) Via Martiri delle Foibe
Lombardia VOGHERA (Pavia) Via Martiri delle Foibe
Piemonte VOLPIANO (Torino) Via Vittime delle Foibe
Liguria ZOAGLI (Genova) Scalinata Martiri delle Foibe

I Morti dimenticati
Non troverete i loro nomi sui libri di storia nelle scuole.
Per questo parleremo di Loro.
INDOCTI DISCANT ET AMENT MEMINISSE PERITI
(chi ignora impari e chi conosce ami ricordare)


1 commento on Giorno del ricordo 2013

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