20140106 Stop carrozzina disabile Verona On wheels

Bernardo Bertolucci: Red shoes (on wheels)


Roma purtroppo è molto meno accessibile di Verona (almeno per la mia esperienza), ecco come la racconta il regista Bernardo Bertolucci

“Red shoes”, Bernardo Bertolucci per Venezia 70

Il corto di Bernardo Bertolucci inserito nella raccolta “Future reloaded”, realizzata in occasione della 70esima edizione della Mostra di Venezia

18 SETTEMBRE 2014
Trastevere, l’inferno dei sampietrini
A un anno di distanza dal corto-denuncia del regista Bernardo Berolucci (“Red Shoes, presentato alla 70esima edizione della Mostra di Venezia), lungo le strade di Trastevere nulla è cambiato. Sampietrini divelti, buche, tombini che emergono e avvallamenti. Tra via della Lungara e le rampe di via Garibaldi camminare è impossibile. Si rischiano cadute e incidenti, spingere un passeggino diventa un inferno e per i disabili il tragitto è impossibile (video di Mirko Malgieri e Francesco Raganelli)

(fonte repubblica.it)

Bertolucci, film-denuncia: “Buche e sampietrini, così Roma umilia i disabili”

La rabbia del regista sulla carrozzella bloccata dal degrado Il suo corto “Scarpette rosse” è un grido di dolore contro la Capitale

di GIUSEPPE CERASA

ROMA. All’inizio si vedono solo le scarpette rosse. Le punte. Di un rosso Ferrari. Sportive ma aristocratiche. E poi la telecamera si concentra sui sampietrini. Tanti. Miserabilmente sconnessi. E le buche come piccoli crateri e i tombini quasi staccati dal manto stradale. Un uomo siede sulla carrozzina da disabile, ma si vedono solo le scarpe rosse. Ci sono le gomme delle ruote che ansimano, soffrono, quasi urlano tra quei selci sconnessi, quelle bottiglie vuote abbandonate. Si avverte lo sforzo del piccolo motore che le spinge quasi senza speranza. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Come un leggero grido di dolore, un sussurro di impotenza. Rassegnazione e rabbia. Poi il rumore della carrozzina viene coperto dalla morbida voce di Jaques Trenet: “Je chante, je chante…”, anno 1937.

Bertolucci, film-denuncia: “Buche e sampietrini, così Roma umilia i disabili”

La rabbia del regista sulla carrozzella bloccata dal degrado Il suo corto “Scarpette rosse” è un grido di dolore contro la Capitale

di GIUSEPPE CERASA

ROMA. All’inizio si vedono solo le scarpette rosse. Le punte. Di un rosso Ferrari. Sportive ma aristocratiche. E poi la telecamera si concentra sui sampietrini. Tanti. Miserabilmente sconnessi. E le buche come piccoli crateri e i tombini quasi staccati dal manto stradale. Un uomo siede sulla carrozzina da disabile, ma si vedono solo le scarpe rosse. Ci sono le gomme delle ruote che ansimano, soffrono, quasi urlano tra quei selci sconnessi, quelle bottiglie vuote abbandonate. Si avverte lo sforzo del piccolo motore che le spinge quasi senza speranza. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Come un leggero grido di dolore, un sussurro di impotenza. Rassegnazione e rabbia. Poi il rumore della carrozzina viene coperto dalla morbida voce di Jaques Trenet: “Je chante, je chante…”, anno 1937.Siamo a Trastevere, nel cuore più bello e più antico di Roma. Sulla carrozzina è seduto Bernardo Bertolucci, regista di sogni, memoria, bellezza e azzardi. Il video dura un minuto e mezzo e fu presentato lo scorso anno al Festival di Venezia (“Red Shoes” è il titolo) assieme ad altri 67 supercorti in omaggio al 70° della Biennale. Ma è come se fosse ancora clandestino e Bertolucci lo mostra con orgoglio nel grande salone di casa sua (“Questa è la più bella sala di proiezione di tutta Roma. Non le pare?”, sorride).
Il supercorto è un colpo al cuore, una invocazione disperata, un estremo appello ad una città che sogna un’altra Roma, moderna, metropolitana, attenta alla storia e alle bellezze. Una città vera e di grande dignità. Il video non l’ha praticamente mai visto nessuno. “O meglio, lo scorso anno è venuto il sindaco Ignazio Marino, in bicicletta, si è seduto su quella poltrona dove lei sta adesso”, ricorda con una nota di amarezza Bertolucci.E come ha reagito il sindaco, si sarà vergognato, presumo? “Non proprio. Era imbarazzato e mi ha chiesto se conoscessi chi si occupa della manutenzione dei sampietrini. Sa, quei vecchi operai di un tempo, espertissimi, ma ormai quasi scomparsi. Poi è andato via e non si è fatto più sentire”.

È passato quasi un anno e in via della Lungara, nelle rampe laterali alla bellissima via Garibaldi, in tutto Trastevere, i sampietrini sono sempre lì come li ha lasciati Bertolucci. La contabilità del dissesto e del disonore dà questi risultati: rampe di via Garibaldi 3.254 sampietrini mancanti, 6 buche, 25 tombini saltati, 10 rattoppi di asfalto. “Sa, lo scorso anno a Venezia il tema dei supercorti era dove va la cultura”, ricorda il regista. “E io ho voluto ricordare che la cultura finisce tra i sampietrini abbandonati di Trastevere, vergognosamente dissestati, che non si ricordano più di niente. ‘Io canto’, dice Trenet nella sua bella canzone, in realtà verrebbe la voglia di dire io piango”, spiega Bertolucci, lasciandosi trascinare dai ricordi che lo portano ai suoi lunghi soggiorni parigini”.

“Guardi, io amo Roma sopra ogni cosa, in pratica è come se non mi fossi mai mosso da Trastevere. Però Parigi è altro. Nel 1968 ero a Saint Germain nel cuore di Parigi e lì i sampietrini, il pavé, venivano scagliati contro la polizia e lo slogan era “Sous le pavé c’est la plage”, cioè sotto il pavé c’è la sabbia, ossia la libertà. Anni bellissimi. Ricordo che ero molto amico di Godard, dividevamo tutto, poi lui ebbe una deriva supermaoista e io rimasi semplicemente nel Pci. Non ci siamo più sentiti. Per me Parigi è come una grande storia d’amore. Nel 1971 quando giravo l’Ultimo Tango vivevo nell’Île Saint-Louis e dalla mia finestra vedevo passare puntualmente Bresson alle 9.30, faceva il giro dell’isola e tornava indietro. Mezz’ora esatta.

Nostalgie? No, Roma è più bella, più struggente, ma la qualità della vita è peggiore. Parlo di me, parlo di tanti come me che vivono in carrozzina. Ma parlo anche di quelle mamme con i bimbi piccoli in braccio costrette a camminare su strade ridotte a vulcani senza speranza. Ma anche di chi si appoggia ad un bastone, di chi (sorride) si avventura nelle notti di Trastevere con un tacco 15. O di chi è costretto a stare su una carrozzella. Questa è una città segnata come unfriendly per i portatori di handicap. Lo sanno tutti, tranne il Comune. Ma non mi meraviglio, fa parte della nostra cultura, non siamo storicamente attenti al mondo di chi non è autosufficiente, non ci sono leggi di garanzia, noi preferiamo una sorta di manutenzione per i disabili, che è una via d’uscita mediocre”.

Ricordo su ricordo e Bertolucci insiste. “Vuole che le racconti delle nozze di Mario Martone? Ero anch’io sulla piazza del Campidoglio in una giornata di freddo. Dopo la cerimonia dovevamo andare sulla terrazza Caffarelli. E lì si scopre che non c’erano rampe di accesso per disabili. Intervengono due inservienti, mi caricano di peso come un sacco di patate e mi portano su. Non avevo mai subito un’umiliazione simile. E sa cosa ha detto l’allora sindaco Alemanno? “Ma cosa crede, Bertolucci, che noi roviniamo una delle più belle piazze del mondo per mettere una pedana per disabili?” Ma si rende conto della bestialità? Ma le pedane si possono sempre togliere, no?”.

“Vuole che continui? Bene. Io amavo andare a piazza Farnese a leggere i giornali di mattina, non lo faccio più da quando hanno messo una catena antimotorini a Ponte Sisto: nessuno ha le chiavi e quelle catene sono il simbolo della libertà negata. Questi sono gli incubi di chi abita a Trastevere nelle mie condizioni, di poveracci come me. Guardi, io senza Roma non potrei esistere, non posso vivere senza il colore rossastro dei palazzi, senza sentire quello spirito di appartenenza unico al mondo. Ma rimango impotente a pensare che qui a Trastevere un tempo erano tutti artigiani, falegnami, restauratori, corniciai, c’erano quelli che decapavano mobili, i fabbri, gli antiquari. E adesso è tutto ridotto in questo stato pietoso. E io qui sulla mia carrozzina, la mia sedia elettrica…”. Sorride. Attende e conclude: “No, questa in realtà è la mia sedia della vita”.

Siamo a Trastevere, nel cuore più bello e più antico di Roma. Sulla carrozzina è seduto Bernardo Bertolucci, regista di sogni, memoria, bellezza e azzardi. Il video dura un minuto e mezzo e fu presentato lo scorso anno al Festival di Venezia (“Red Shoes” è il titolo) assieme ad altri 67 supercorti in omaggio al 70° della Biennale. Ma è come se fosse ancora clandestino e Bertolucci lo mostra con orgoglio nel grande salone di casa sua (“Questa è la più bella sala di proiezione di tutta Roma. Non le pare?”, sorride).
Il supercorto è un colpo al cuore, una invocazione disperata, un estremo appello ad una città che sogna un’altra Roma, moderna, metropolitana, attenta alla storia e alle bellezze. Una città vera e di grande dignità. Il video non l’ha praticamente mai visto nessuno. “O meglio, lo scorso anno è venuto il sindaco Ignazio Marino, in bicicletta, si è seduto su quella poltrona dove lei sta adesso”, ricorda con una nota di amarezza Bertolucci.

E come ha reagito il sindaco, si sarà vergognato, presumo? “Non proprio. Era imbarazzato e mi ha chiesto se conoscessi chi si occupa della manutenzione dei sampietrini. Sa, quei vecchi operai di un tempo, espertissimi, ma ormai quasi scomparsi. Poi è andato via e non si è fatto più sentire”.

È passato quasi un anno e in via della Lungara, nelle rampe laterali alla bellissima via Garibaldi, in tutto Trastevere, i sampietrini sono sempre lì come li ha lasciati Bertolucci. La contabilità del dissesto e del disonore dà questi risultati: rampe di via Garibaldi 3.254 sampietrini mancanti, 6 buche, 25 tombini saltati, 10 rattoppi di asfalto. “Sa, lo scorso anno a Venezia il tema dei supercorti era dove va la cultura”, ricorda il regista. “E io ho voluto ricordare che la cultura finisce tra i sampietrini abbandonati di Trastevere, vergognosamente dissestati, che non si ricordano più di niente. ‘Io canto’, dice Trenet nella sua bella canzone, in realtà verrebbe la voglia di dire io piango”, spiega Bertolucci, lasciandosi trascinare dai ricordi che lo portano ai suoi lunghi soggiorni parigini”.

“Guardi, io amo Roma sopra ogni cosa, in pratica è come se non mi fossi mai mosso da Trastevere. Però Parigi è altro. Nel 1968 ero a Saint Germain nel cuore di Parigi e lì i sampietrini, il pavé, venivano scagliati contro la polizia e lo slogan era “Sous le pavé c’est la plage”, cioè sotto il pavé c’è la sabbia, ossia la libertà. Anni bellissimi. Ricordo che ero molto amico di Godard, dividevamo tutto, poi lui ebbe una deriva supermaoista e io rimasi semplicemente nel Pci. Non ci siamo più sentiti. Per me Parigi è come una grande storia d’amore. Nel 1971 quando giravo l’Ultimo Tango vivevo nell’Île Saint-Louis e dalla mia finestra vedevo passare puntualmente Bresson alle 9.30, faceva il giro dell’isola e tornava indietro. Mezz’ora esatta.

Nostalgie? No, Roma è più bella, più struggente, ma la qualità della vita è peggiore. Parlo di me, parlo di tanti come me che vivono in carrozzina. Ma parlo anche di quelle mamme con i bimbi piccoli in braccio costrette a camminare su strade ridotte a vulcani senza speranza. Ma anche di chi si appoggia ad un bastone, di chi (sorride) si avventura nelle notti di Trastevere con un tacco 15. O di chi è costretto a stare su una carrozzella. Questa è una città segnata come unfriendly per i portatori di handicap. Lo sanno tutti, tranne il Comune. Ma non mi meraviglio, fa parte della nostra cultura, non siamo storicamente attenti al mondo di chi non è autosufficiente, non ci sono leggi di garanzia, noi preferiamo una sorta di manutenzione per i disabili, che è una via d’uscita mediocre”.

Ricordo su ricordo e Bertolucci insiste. “Vuole che le racconti delle nozze di Mario Martone? Ero anch’io sulla piazza del Campidoglio in una giornata di freddo. Dopo la cerimonia dovevamo andare sulla terrazza Caffarelli. E lì si scopre che non c’erano rampe di accesso per disabili. Intervengono due inservienti, mi caricano di peso come un sacco di patate e mi portano su. Non avevo mai subito un’umiliazione simile. E sa cosa ha detto l’allora sindaco Alemanno? “Ma cosa crede, Bertolucci, che noi roviniamo una delle più belle piazze del mondo per mettere una pedana per disabili?” Ma si rende conto della bestialità? Ma le pedane si possono sempre togliere, no?”.

“Vuole che continui? Bene. Io amavo andare a piazza Farnese a leggere i giornali di mattina, non lo faccio più da quando hanno messo una catena antimotorini a Ponte Sisto: nessuno ha le chiavi e quelle catene sono il simbolo della libertà negata. Questi sono gli incubi di chi abita a Trastevere nelle mie condizioni, di poveracci come me. Guardi, io senza Roma non potrei esistere, non posso vivere senza il colore rossastro dei palazzi, senza sentire quello spirito di appartenenza unico al mondo. Ma rimango impotente a pensare che qui a Trastevere un tempo erano tutti artigiani, falegnami, restauratori, corniciai, c’erano quelli che decapavano mobili, i fabbri, gli antiquari. E adesso è tutto ridotto in questo stato pietoso. E io qui sulla mia carrozzina, la mia sedia elettrica…”. Sorride. Attende e conclude: “No, questa in realtà è la mia sedia della vita”.