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Barbara Garlaschelli: abile, disabile, opinabile


 Barbara Garlaschelli è donna intelligente e (talvolta ferocemente) ironica, scrittrice poliedrica e ideatrice del blog Sdiario

Tra i mie brani preferiti:

Navigare a vista è un’arte, perché tu magari la rotta la conosci ma poi il vento, le correnti, le onde ti portano da un’altra parte. E tu una meta l’avresti anche avuta, ma d’improvviso senti che stai andando ma non  proprio dove volevi. E’ che ti ci stanno portando – il vento, le correnti, le onde – e allora ti adatti e cerchi di fare il meglio che puoi con quello che hai.

Io, per esempio, fino a un certo punto della mia vita, avevo le gambe che mi portavano in giro e poi, d’improvviso – sempre per ‘sti cazzo di vento, correnti, ecc – mi sono ritrovata munita di ruote (le gambe le ho sempre, ma solo di bellezza, diciamo).

E allora cosa si fa? Si naviga a vista, si cambia rotta, ci si adatta.
Ma la meta continua a essere quella della partenza.
La meta è una vita densa.
La meta è costruzione.

Navigare a vista è un’arte che si impara anche andando fuori rotta. Anzi, spesso restandoci per molto tempo.
L’essenziale è non arenarsi su una spiaggia o schiantarsi contro uno scoglio.
Anzi, l’essenziale è non affondare.

Navigare a vista, qualche volta a occhi chiusi.
Un paradosso.
Una sfida.
Una necessità.

Navigare a vista, ecco quello che farete qui, con me, se mi seguirete. E lo si farà in tanti modi e mille fogge e con alcuni compagni.
(vedi Navigare a vista)

 

Nessuno ha una vita semplice.  Alcuni la hanno più complicata di altri.

Io credo di essere in questa categoria, con un enorme, fantastico, discriminante MA: nella mia vita ho avuto e ho vicino persone che mi hanno resa la donna che sono, nel bene e nel male. Una donna che amo.

Tra queste persone, mio padre, che è stato l’uomo che è stato e che non riuscirei a raccontare ora.

Di lui mi resta tutto, tranne lui.
(vedi Perché sono una donna fortunata)

Abile, disabile, opinabile (1)

Partiamo dalle parole, dal loro significato perché, come si sa: chi scrive male, parla male, pensa male (potete cambiare anche l’ordine, il significato non cambia).
Le parole sono importanti perché definiscono, veicolano significati, spiegano, delimitano. Ma c’è una parte del vivere che nemmeno la precisione delle parole può rendere. Per me, questa parte indefinibile, immaginifica, talvolta spaventosa, sempre stupefacente, è legata al corpoe alla mente.
Scritto, questo, definiamo le parole attorno a cui farò danzare le mie riflessioni future che, chi vorrà, leggerà e commenterà.

 Abile, dal verbo latino “habere”, cioè avere, deriva habilis nel significato di maneggevole, adatto. L’origine di abile ricopre una vasta gamma di significati, da “capace” a “provetto”.
Il contrario di abile è inabile, cioè “incapace”. Quando l’incapacità deriva da limitazioni fisiche abbiamo disabile. C’è chi dice diversamente abile, ritenendo che dis-abile crei una dis-criminazione. E questo secondo l’etimologia, dal tardo latino discriminatio, vorrebbe dire distinzione,separazione, e peggio ancora, esclusione.
Opinabile, dal latino opinabils, derivato da opinari cioè credere. Che comporta un’opinione personale. Discutibile, controvertibile.*

 La prima riflessione: è opinabile la definizione di abile e disabile (e volendo comprendere nella “categoria”, corpo e mente, ci stanno: inabile, handicappato, diversamente abile, paralitico, matto, folle, incapace, menomato, bizzarro, e chi più ne ha più ne metta. Ma un aggettivo li accoglie tutti in grembo come un’infinita madre: diverso).

 Qualcuno di voi è così sicuro di sapere chi sia abile e chi sia disabile?
Basta un’apparenza, anche oggettiva (io sono disabile, non ci sono dubbi al riguardo) a definire un essere umano? La domanda è retorica, ovvio. Il coro di “Noooooo, siamo tutti uguali” l’ho sentito molte volte. E invece no, non lo siamo (e secondo me è solo un bene tutta questa diversità). Ma il punto resta: chi è abile e chi disabile?
Opinabile… 

Abile, disabile, opinabile (2) di BG

Vi racconto una storia. C’è una ragazza di quindici anni: bella, sana, piena di vita. Il suo corpo è ben tornito, è molto alta per la sua età. Appassionata di lettura, ha un sacco di amici, dei genitori fantastici con i quali va molto d’accordo, un accordo che è intesa e sintonia, amore e rispetto. E’ impegnata a vivere e a divertirsi, a crogiolarsi talvolta in una malinconia sottile ma  una vita adolescente senza lacrime e piccoli dolori interiori, che vita adolescente è?

La ragazza è un corpo vitale e una mente vorace.

La ragazza è energia allo stato puro.

Da poco ha cominciato a comprendere i richiami del suo corpo, ad apprezzare l’armonia delle sue curve pur sentendosi troppo abbondante (ma è un’adolescente e solo nella maturità una donna riuscirà ad apprezzare le curve sinuose del panorama di se stessa).

La ragazza è viva.

Poi succede che la ragazza incontri il mare che ha sempre amato, e forse quel giorno è un poco più distratta del solito (e di solito è molto distratta) e si butta in acqua, e nell’acqua la sua seppur dura testa si schianta con la solidità imperturbabile di una pietra. Morbida carne contro dura pietra si sa già chi perde.

Lasciamo da parte tutto il resto (il dolore, la paura, il rischio di morire, le ambulanze, le ferite, le lacrime sue e di chi la ama), lasciamo da parte tutto e concentriamoci sul suo corpo.

Il suo corpo che c’è ma non c’è più.

Le sensazioni che, di colpo, si trasformano in altro, qualcosa che non si può spiegare a parole, anche se i medici ne hanno di perfette e cripticamente sconfortanti da snocciolare (mielolesa, tetraplegica con lesione totale del midollo osseo all’altezza della quinta vertebra cervicale, paralisi totale agli arti inferiori e superiori, ecc.).

Il corpo c’è, non si muove, non sente ma c’è, e sente. Il suo corpo è un paradosso. Sente cose che nessuno può descrivere, che sono in bilico tra dolore e inconsistenza, come colori che si mischiano e perdono la loro purezza formando però altri colori, più confusi e difficili da definire, ma colori, questo è innegabile.

E’ una sinfonia non stonata ma incomprensibile.

Questo corpo, che esiste, c’è, è, però, diventato altro e non sarà mai più come prima.

E’ diventato un corpo diverso e anche il mondo è diventato un posto diverso, non più facile come lo era prima, non più scontato e affrontabile da sola.

Il mondo, adesso, è un posto dove devi chiedere in continuazione: aiutami.

Un posto che si è ristretto, d’improvviso, ed è diventato inaccessibile, a volte. Taluni luoghi lo saranno per sempre, e non importa pensare “non ci sarei mai stata comunque”, perché non c’è più possibilità di scelta.

E qui siamo giunti a un altro nodo cruciale del viaggio: la possibilità di scegliere.

Scégliere, contratto dal latino EX-ELIGERE. Separare la parte migliore di una cosa dalla peggiore, quindi Eleggere ciò che par meglio”.

Ecco, ex-eligere non è più possibile.

Quindi, la riflessione che ne consegue è: abile è colei o colui che ha la possibilità di scegliere per sé ciò che par meglio, mentre per un disabile la possibilità si riduce moltissimo.

E non è questione di opinione, volontà, tenacia o altro.

E’ un fatto non opinabile.

La ragazza è insieme al suo corpo, da sempre. Cambiato o no, è il suo. Mutate le condizioni e le percezioni, continua la sua vita. Ha anche fatto molte scelte, ma non tutte quelle che avrebbe potuto e dovuto in altre condizioni.

E, a questo punto, inviterei a non pensare che “questo vale per tutti”, perché non è così e pensarlo sarebbe miope e fuorviante. Perché pensare che “vale per tutti”, che “siamo tutti uguali” ha comportato il fallimento, in questo paese e nel mondo, dell’impegno culturale e politico, architettonico e civile di costruire pensando alle diversità, di qualunque genere esse siano.

abile, disabile, opinabile (3)

Dolòre, dal lat. dòlor , sensazione spiacevole che affligge.

Il dolore non è opinabile. E’ diverso, per tutti; esistono vari gradi di sopportazione, ma non è che si può discutere. Il dolore è dolore, e massacra, imprigiona, terrorizza.

Il dolore – sia esso fisico che morale – rende schiavi.
Faresti qualunque cosa pur di non sentirne più.
Il dolore fisico, par strano, non si dimentica. Pure se ti sembra. Si installa in un angolo della memoria e appena provi qualcosa che vagamente somiglia a quel dolore antico, scatta la paura.
Il dolore, quando lo hai provato, non sei più la stessa. Magari migliore, ma mai uguale. Il punto, però, è che non ho mai pensato che “le disgrazie” rendano migliori.
Il dolore ti corrode, e basta.
E’ quando smetti di sentirlo che hai la possibilità di diventare diverso, migliore o peggiore, non so, ma hai la possibilità di cambiare. Perché intanto che lo provi, il male fisico (o  della mente), quello che non riesci a sentire o pensare altro, intanto che lo provi sei una belva in gabbia: cieco, sordo, quasi mai muto.

Le urla che ho sentito, e i pianti, e le preghiere, e le bestemmie.

Pare cosa sconcia scrivere o parlare del dolore. Pare impudico e di cattivo gusto.

Soffrire in silenzio, nelle mura di casa, nelle stanze d’ospedale, tra pochi intimi.
O se no, al contrario, campeggiare su un video, in trasmissioni televisive nelle quali se uno avesse la grazia di morire in diretta, torcendosi le budella, sarebbe così gratificante… Per l’audience e per tutti quelli che assistono, passivi o attivi, a uno spettacolo che ti toglie le forze da tanto è crudele.

Forse ciò che temo di più è l’isolamento in cui costringe il dolore.
La solitudine che cerchi e in cui ti costringono.

Questo paese ha il culto della sofferenza, non esiste una cultura del dolore (del non sentirlo, intendo), come se solo così, soffrendo, uno potesse meritarsi sia la vita che la morte.
Invece, ho questa bizzarra convinzione che il dolore sia un oltraggio.

Un giorno ho visto un uomo disteso su un letto, in ospedale. Non parlava, non piangeva, non si muoveva, a parte gli occhi, che gridavano.
L’ho guardato, e l’ho riconosciuto.
Era anche me.

Tutti i movimenti del mondo

La mia vita ha cambiato posizione il 3 agosto 1981.
Da verticale è passata a orizzontale e poi seduta.

Di quando in quando una folata di vento incolla le foglie al muro. Le nuvole attraggono la luce e si gonfiano come seni bianchi.
Sogno il silenzio dietro lo scricchiolio del vuoto. L’assenza ondivaga del mare che fa cerchi dentro la testa.
Nessuno può sentirmi da qui.

Nell’immobilità è possibile percepire con esattezza tutti i movimenti del mondo. Una non azione restituisce la pienezza del suo contrario.
Dalla mia postazione di immobile vigilanza creavo una rete di indefinibile attenzione verso tutto ciò che aveva l’ardire di muoversi.
I volti apparivano come lune in un cielo nero.
Il corpo mi aveva abbandonato e lo sentivo prepotente e beffardo. Il sangue pulsava all’altezza del cuore ma è sempre stato il cervello, da quel giorno, a condurre la danza. Una danza immobile.

Esistono rotture insanabili. Fratture vere, intendo, non quelle poetiche dell’anima, quelle cantate nelle canzoni. No, parlo di un osso che fa crac come un ramo che si spezza. Ecco, un crac è quello che si è verificato dentro di me, e dopo tutto è stato diverso.

Perdere il controllo del proprio corpo è un’esperienza bizzarra, come lanciarsi da un grattacielo senza il paracadute, ovvero un evento improbabile. O molto, molto stupido.
Come può essere che le vene, i muscoli, i nervi, le ossa esistano senza di te che le abiti? Come può il corpo vivere mentre tu hai la sensazione di esserne fuori?

Osservare le mano degli altri, farfalle che si posano sul prato del tuo ventre e non sentire nulla se non un infinito sgomento.

Non aver paura, bambina mia.
Non ne ho. Non ho niente.

C’era sempre odore di disinfettante là dentro, in ospedale. Disinfettavano il dolore perché non si propagasse, ma il dolore è simile all’incedere di un re: inutile ed elegante.

“L’amore è l’infinito abbassato al livello di un barboncino” scrive Céline. Il dolore fisico, invece, è un barboncino elevato all’infinito, fino a diventare un mostro a cento teste. Anche volendo e potendo, non sai quale tagliare.

Quando una pensa che la fine è arrivata, che la notte ha siglato il suo patetico addio, la luce ricompare e si ricomincia da capo.
Respiro.
Ciglia.
Respiro.
Naso.
Respiro.
Bocca.
Respiro.
Culo.
Respiro.
Gambe.
Respiro.
Mani.
Respiro.
Piedi.
Respiro.
Niente.

Da quel “niente” ho ricominciato a vivere a fiato corto, a ficcare le parole tra un respiro e l’altro, in affanno. Sempre.
Ho fame…
Respiro.
… mi prepari un piatto…
Respiro.
… di pasta…
Respiro.
Grazie.
Non ci si accorge di quanto sia impegnativo compiere più azioni contemporaneamente – pensare, prendere la stilografica, scrivere, girare il foglio – fino a quando il corpo non si palesa in tutto il suo ingombro.
Perduti i passi, muoversi nel mondo diventa affare più complesso. Ma non avevo saputo subito se sarei riuscita a muovermi di nuovo, in qualche modo, nel mondo. No, per alcuni mesi il mio posto nel mondo è stato orizzontale, in un letto, spettatrice di soffitti e volti – ma solo se entravano nel mio campo visivo.
E’ stato allora che ho capito che solo l’immaginazione avrebbe potuto salvarmi. Perché l’immaginazione è tutto, è bene che lo sappiate e sappiate anche che più immaginazione uno ha peggio sta, pure se si salva. E non ci potete fare niente.
Io, d’immaginazione, ne ho da vendere, per questo faccio il mestiere che faccio.

Hai una testa dura, dicevano i medici armati del trapano che avrebbero usato per piantarmi dei chiodi in testa. A ripensarci oggi, a quel trapano e a quegli affari che mi avevano ficcato nel cranio c’è da diventare matti. Ma come si fa a vivere anche solo un minuto crocifissi? Allora avrei barattato la mia vita per una camminata.

Ma allora avevo sedici anni, l’età in cui una camminata è una debolezza più che giustificata.

A quarantotto capisci che camminare non è poi così determinante (anzi, in verità l’ho capito molto prima).

E così:

respiro.
Sorriso.
Respiro.
Sorriso.
Respiro.
Ma vaffanculo.

Chi è Barbara Garlaschelli

Sono nata a Milano nel 1965. Mi sono laureata Lettere Moderne all’Università Statale di Milano con una tesi sul teatro a Milano visto attraverso il giornale Il Secolo, dal 1900 al 1906. Tra i libri che ho pubblicato: O ridere o morire; NemicheAlice nell’ombra;Sirena. Mezzo pesante in movimentoSorelle (premio Scerbanenco 2004). Il suo  romanzo Non ti voglio vicino (Frassinelli, 2010) è stato tra i dodici finalisti deI premio Strega 2010 e ha vinto i premi: “Matelica – Libero Bigiaretti 2010”; premio Università di Camerino e premio Alessandro Tassoni 2011; Premio letterario Chianti 2012. Molti racconti sono pubblicati su varie antologie e riviste. Alcuni libri sono stati tradotti in Francia, Spagna, Portogallo, Russia, Olanda.
Ho diretto la collana I Corti per la casa editrice EL.
Ho una rubrica – La Lettrice Innamorata – in cui racconto di libri, sul blog di Chicca Gagliardo: Hounlibrointesta.
Sono presidente dell’Associazione culturale Tessere Trame.

L’ultimo romanzo Carola è uscito a marzo 2013 per Frassinelli.

Nell’ottobre 2013 è uscito nellla nuova edizione di Camelozampa il mio amatissimo Davì

Di me di mi piace pensare che non faccio la scrittrice ma che sono una scrittrice.

Barbara Garlaschelli su Wikipedia

Barbara Garlaschelli (Milano, 26 novembre 1965) è una scrittrice italiana.

Biografia

Laureata in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano, esordì nella scrittura nel 1993 con il racconto, pubblicato in rete, Storie di bambini, donne e assassini. Del 1995 è il suo esordio a stampa, con O ridere o morire, edito da Marcos y Marcos.

Scrittrice versatile, si è cimentata con vari generi: dal giallo al thriller alla letteratura per ragazzi (quest’ultima edita da EL, di cui ha diretto la collana “I corti”, e da Walt Disney in collaborazione con Nicoletta Vallorani). Costretta fin dall’età di 16 anni su una sedia a rotelle a causa della rottura di una vertebra per un tuffo in acque troppo basse, ha descritto con stile asciutto il suo percorso di vita nei dieci mesi successivi, in Sirena (2001).

Nel dicembre 2004 ha vinto il Premio Scerbanenco con Sorelle, ex aequo con Trilogia della città di M. di Piero Colaprico.

I suoi romanzi e racconti sono tradotti in francese (editi da Gallimard), in castigliano per il mercato spagnolo (Roca Editorial) e messicano, in portoghese, in olandese e in serbo.

Il suo ultimo libro, Non ti voglio vicino (Frassinelli, 2010), è un romanzo psicologico che tocca il tema scottante degli abusi sui minori e ne descrive le devastanti conseguenze. Con questo romanzo Barbara Garlaschelli nel 2010 è stata finalista al Premio Strega e ha vinto il premio Libero Bigiaretti e nel 2012 ha vinto la 25ª edizione del Premio Letterario Chianti[1].

Romanzi

  • O ridere o morire (racconti). Marcos y Marcos, Milano 1995 (nuova ed. Todaro, Lugano 2005).
  • Ladri e barattoli. Marcos y Marcos, Milano 1996.
  • Quando la paura chiama. EL – “I corti”, Trieste 1997.
  • L’ultima estate. EL – “I corti”, Trieste 1998.
  • Tre amiche e una farfalla. EL – “Frontiere”, Trieste 1998.
  • Nemiche. Frassinelli, Milano 1998.
  • Marta nelle onde. EL – “Frontiere”, Trieste 1999.
  • Davì. EL – “Frontiere”, Trieste 2000 (nuova edizione Senzapatria,2010; nuova edizione riveduta e ampliata, Camelozampa – “Gli arcobaleni”, 2013).
  • La mappa del male (con Nicoletta Vallorani). Walt Disney, Milano 2000.
  • Il pelago nell’uovo (racconti). Mobydick, Faenza (RA) 2000.
  • Sirena – Mezzo pesante in movimento. Mobydick, Faenza (RA) 2001 (nuova ed. Salani, Milano 2004; nuova edizione TEA 2007).
  • Nessuna lezione d’amore. EL – “Frontiere”, Trieste 2001.
  • Alice nell’ombra. Frassinelli, Milano 2002.
  • Sorelle. Frassinelli, Milano 2004.
  • L’una nell’altra (racconti). Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006.
  • Frammenti. Storie da un fortino di periferia. Mobydick, collana “I Saggi”, Faenza (RA) 2006. ISBN 8881783320.
  • Non ti voglio vicino. Frassinelli, Milano 2010.
  • Lettere dall’orlo del mondo. Ad est dell’equatore, collana “NiMU”, Napoli 2012. ISBN 9788895797410.

Racconti

  • «Loraine». On line nel sito Incubatoio 16, 1996.
  • «Prima della rivolta», in Tutti i denti del mostro sono perfetti. Mondadori, Milano, “Urania” n. 1322, 9/11/1997.
  • «Dentro i colori», in A/Rivista Anarchica n. 245. editrice A, Milano 1998[2].
  • «Conversazione», in Il Galateo del Telefonino. Mobydick, Faenza (RA) 1999.
  • «Gemelli», in Delitti sotto l’albero. Todaro, Lugano 1999.
  • «Dissolvenza», in Capodanno nero. Todaro, Lugano 2000.
  • «Arriva la Befana», in Epifania di sangue. Todaro, Lugano 2001.
  • «Scarti», in Io, erotica. Fanucci, Roma 2001.
  • «Per tutta la vita?», in Innamorati da morire. Todaro, Lugano 2002.
  • «L’odore del tempo». On line nel sito I pinguini nel sottoscala, 2002
  • «Comparse», in Non siamo stati noi. Carabà, Milano 2003.
  • «Fotogrammi», in Anime nere. Arnoldo Mondadori Editore 2007.
  • «15.000 battute», in Grand Tour. Rivisitare l’Italia nei suoi 150 anni, Italianieuropei, 05/2010