Balletto di Sardegna TEMPESTA coreografia e regia Caterina Genta musiche originali Marco Schiavoni canzoni Caterina Genta luci Ivano Cugia produzione ASMED interpreti Luca Castellano, Matteo Corso, Caterina Genta, Cristina Locci, Sara Pischedda Tempesta, tra le opere più misteriose di Shakespeare, è ricca di significati e riflessioni sulla natura umana e su quella fittizia del teatro. La rappresentazione si propone come un caleidoscopio di visioni sovrannaturali, unite sul testo e sul palco dal cerchio magico del mago Prospero, elemento simbolo dell’universo shakespeariano dove la finzione teatrale svela i propri segreti e si rivela al pubblico. Le coreografie, a cura di Caterina Genta, vengono portate in scena da sei danzatori, protagonisti e interpreti al tempo stesso, i quali saranno accompagnati dalla colonna sonora e da elementi acustici rievocanti le atmosfere enigmatiche dell’opera shakespeariana. Danza e balletto

Balletto di Sardegna in Tempesta


Corte Mercato Vecchio
Sabato 30 luglio 2016, ore 21.30

Balletto di Sardegna

TEMPESTA

coreografia e regia Caterina Genta
musiche originali Marco Schiavoni

canzoni Caterina Genta

luci Ivano Cugia
produzione ASMED

interpreti
Luca Castellano, Matteo Corso, Caterina Genta, Cristina Locci, Sara Pischedda

Tempesta, tra le opere più misteriose di Shakespeare, è ricca di significati e riflessioni sulla natura umana e su quella fittizia del teatro.

La rappresentazione si propone come un caleidoscopio di visioni sovrannaturali, unite sul testo e sul palco dal cerchio magico del mago Prospero, elemento simbolo dell’universo shakespeariano dove la finzione teatrale svela i propri segreti e si rivela al pubblico.

Le coreografie, a cura di Caterina Genta, vengono portate in scena da sei danzatori, protagonisti e interpreti al tempo stesso, i quali saranno accompagnati dalla colonna sonora e da elementi acustici rievocanti le atmosfere enigmatiche dell’opera shakespeariana.

nuova produzione

CORTE MERCATO VECCHIO. Il Balletto di Sardegna stasera alle 21,30 sull’opera di Shakespeare

Danza che evoca la «Tempesta»

La coreografa Caterina Genta racconta «un’isola dove ognuno ha la sua tempesta da superare»

Simone Azzoni

sabato 30 luglio 2016 SPETTACOLI, pagina 44

«Ognuno ha la sua Tempesta da attraversare. Tempeste catartiche che rigenerano e rinnovano desideri e creatività», dice la coreografa Caterina Genta della Tempesta che chiude la rassegna di danza in Corte Mercato Vecchio stasera alle 21,30. Il Balletto di Sardegna di cui la Genta è coreografia e regista, è partito dall’universo shakespeariano, dal concetto di isola come mondo per restituire il caleidoscopio di visioni sovrannaturali e fantastiche che il testo suggerisce. Il lavoro, nato in prima stesura come opera performativa, danzata, cantata e recitata da una sola interprete, poi si è arricchito via via di altri performer che oggi, oltre alla Genta, sono: Luca Castellano, Matteo Corso, Cristina Locci, Sara Pischedda e Daniela Vitale. Saranno loro a dare vita alla dimensione laboratoriale della riflessione che l’opera di Shakespeare propone nel confronto tra natura e artificio, teatro e finzione, magia e realtà. La Tempesta è infatti un’officina isola-mondo per un’originale scrittura coreografica in cui i danzatori sono protagonisti, autori e interpreti, creando ognuno il proprio racconto.La Tempesta, tra le opere più misteriose di Shakespeare, è ricca di significati che si dipanano a partire dalle parole di Prospero, di Miranda, Ariele e Calibano. «Si sciolgono gli incanti, inizia la Tempesta, il dolore, la rabbia, l’amore. Alla fine tutto si dissolve in aria sottile», scrive Genta, «Ariele libero vive in ogni cosa suggerendoci la consapevolezza leggera di essere fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Tutto passa, le torri incoronate di nubi, i sontuosi palazzi, lo stesso immenso globo non lasceranno traccia dietro di sé». Tutto dentro una sorta di cerchio magico, gli incantesimi del mago Prospero, ma anche l’universo di Shakespeare che si riflette come in uno specchio nell’isola della Tempesta. Il cerchio magico è la punteggiatura drammaturgica detta con i video (Marco Schiavoni) ed è elemento scenografico in linea con la quotidianità degli oggetti che animano lo spazio.Mentre la colonna sonora nasce dalle suggestioni e dalla potenza evocativa del testo in lingua originale. Caterina Genta che qui cura le scenografie e assieme agli altri interpreti-danzatori rievoca le atmosfere shakespeariane, si è formata alla Folkwang Hochschule con i maestri del Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch. Nella sua lunga carriera anche una parentesi con il Teatro Valdoca e un ruolo nel Parsifal di Mariangela Gualtieri.

William Shakespeare

LA TEMPESTA

PERSONAGGI

ALONSOre di Napoli

SEBASTIANOsuo fratello

PROSPEROlegittimo duca di Milano

ANTONIOsuo fratellol’usurpatore

FERDINANDOfiglio del re di Napoli

GONZALOvecchio e onesto consigliere

FRANCESCOADRIANO: nobili

CALIBANOselvaggio e deforme schiavo

TRINCULObuffone

STEFANOdispensiere ubriacone

Capitano di una nave

Nostromo

Marinai

MIRANDAfiglia di Prospero

ARIELEspirito aereo

Altri spiriti al servizio di Prospero

 

 

Scena: A bordo di una nave; poi su un’isola disabitata

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA – A bordo di una nave. Fragore di tempestatuoni e lampi

(Entrano un Capitano e un Nostromo)

CAPITANO: Nostromo!

NOSTROMO: Eccomicapitano. Che c’è?

CAPITANO: Da bravo: incoraggiate la gente. Dacci sottoalla sveltase no andiamo in secco. Lestilesti.

 

(Esce. Entrano Marinai)

NOSTROMO: Suragazzianimo! Animoragazzi! Sveltisvelti. Ammaina la gabbia. State attenti al fischio del capitano. Soffia finché ti scoppino i polmonipurché ci lasci un po’ di spazio libero.

 

(Entrano ALONSOSEBASTIANOANTONIOFERDINANDOGONZALO ed altri)

ALONSO: Buon nostromousate ogni attenzione. Dov’è il capitano?

Chiamate a raccolta tutti gli uomini.

NOSTROMO: Oraper piacerestatevene giù.

ANTONIO: Dove è il capitanonostromo?

NOSTROMO: Non lo sentite? Ci siete d’impiccio nelle manovre. Statevene nelle vostre cabine: non fate che aiutar la tempesta.

GONZALO: Viaamicosiate calmo.

NOSTROMO: Quando sarà calmo il mare. Via di ~i! Che importa a queste onde ruggenti I nome di re? Giù in cabina! Silenzio! on ci date noia.

GONZALO: Va benema ricordati chi hai a bordo.

NOSTROMO: Nessuno che io ami più di me stesso. Voi siete un consigliere; se potete imporre il silenzio a questi elementi e ottenere che si plachino sull’istantenon prenderemo più in mano una corda. Fate uso della vostra autorità. Se non poteteringraziate Iddio di aver vissuto così a lungo e tenetevi pronto nella vostra cabina per l’imminente disastro se ha da avvenire. Animobravi ragazzi! E voi levatevi di mezzoripeto.

 

(Esce)

GONZALO: Quest’uomo mi ispira una gran fiducia. Mi pare che egli non abbia alcuno dei segni di chi è destinato a naufragare: il suo è un perfetto muso da forca. O benigno Fatopersisti nel proposito di farlo morire impiccato; fa’ che la corda del suo destino sia la nostra gomena di salvezzaperché quella che abbiamo qui ci serve a poco. Se egli non è nato per la forcail nostro caso è disperato.

 

(Escono. Rientra il Nostromo)

NOSTROMO: Sghinda l’albero di gabbia! Lesti! Filafila; alla cappa con la bassa vela! (Un grido dal di dentro) Accidenti a questi urli!

Fan più frastuono che la tempesta e gli ordini della manovra.

 

(Rientrano SEBASTIANOANTONIO e GONZALO)

Ancora qui. Ma che ci state a fare? Dobbiamo rassegnarci e annegare?

Avete voglia di colare a fondo?

SEBASTIANO: Ti venga un canchero alla golaurloneempio e insensibile cane!

NOSTROMO: Manovrate voi allora.

ANTONIO: Va’ a farti impiccarecagnaccio! Va’ a farti impiccarefiglio d’una mala femminaschiamazzatore insolente. Noi abbiamo meno paura di te di annegare.

GONZALO: Garantisco che egli non annegheràfosse anche la nostra nave meno resistente di un guscio di noce e facesse acqua come una cialtrona incapace di contener l’orina.

NOSTROMO: Stringi il ventostringi; fa’ portare le basse vele; prendi di nuovo il largo; tienti al largo.

 

(Entrano Marinai tutti bagnati)

MARINAI: Ogni speranza è perduta! Non c’è che pregare; non c’è che pregare! Ogni speranza è perduta.

NOSTROMO: Dunque le nostre labbra saran fredde per sempre?

GONZALO: Il re e il principe pregano! Uniamoci ad essiperché la nostra sorte è uguale alla loro.

SEBASTIANO: Tutta la mia calma è sparita interamente.

ANTONIO: Degli ubriaconi ci defraudano né più né meno che delle nostre vite. Questo mascalzone dalle larghe mascelle… Vorrei che tu stessi tanto a morire annegato finché non fosse passato su te il flusso di dieci maree!

GONZALO: Eppure egli sarà impiccatononostante che ogni goccia d’acqua spalancandosi per inghiottirlo si dichiari contro quel destino.

VOCI (di dentro): Pietà di noi! Andiamo a sfasciarciandiamo a sfasciarci! Addiomoglie e figliuoli! Addiofratello! Andiamo a sfasciarciandiamo a sfasciarci!

ANTONIO: Affondiamo tutti insieme col re.

 

(Esce)

SEBASTIANO: Andiamo a dirgli addio.

 

(Esce)

GONZALO: Ora darci mille stadi di mare per un iugero di terreno arido coperto di eriche lunghe e di scure ginestredi qualsiasi cosa. Sia fatta la volontà di Dio; ma avrei preferito di fare una morte asciutta.

 

(Esce)

 

 

SCENA SECONDA – L’isola. Davanti alla grotta di Prospero

(Entrano PROSPERO e MIRANDA)

MIRANDA: Se con la vostra artemio carissimo padreavete destato nelle onde tale fragore di tempestacalmatele. Pare che il cielo voglia versar giù fetida pecema che il maresollevandosi sino alla fucina delle nubine spenga il fuoco. Ohio ho sofferto con quelli che ho visto soffrire! Una magnifica nave che certamente aveva a bordo nobili esseri umanitutta sfasciata! Ohquelle grida mi colpirono profondamente il cuore! Povere creaturesono perite! Se avessi avuto il potere di un dioavrei sommerso il mare entro la terraprima che esso avesse inghiottito la bella nave con tutto il carico delle creature che conteneva.

PROSPERO: Calmatie bando allo sgomento. Di’ al tuo compassionevole cuore che nessun male è accaduto.

MIRANDA: Ohgiorno sventurato!

PROSPERO: Nessun male. Tutto ciò che ho fatto è stato per sollecitudine verso di tedi temia caradi temia figlia che ignori chi seinon sai donde io venga e come io sia molto di più di quel Prospero padrone di un’assai povera grotta e tuo padrenon per altre ragioni più grande.

MIRANDA: Non mi è mai venuto in mente di saper di più.

PROSPERO: E’ tempo che ti dia più ampi ragguagli. Aiutami a togliermi di dosso il mio magico mantello. Così. (Si toglie il mantello) E ora sta’ costìo mia arte. Asciugati gli occhi e confortati. Il terribile spettacolo del naufragioche ha svegliato in te la più pura essenza della compassioneio l’ho preparato con la mia arte con ogni cautela in modo così innocuo che non c’è lordurache dico? non c’è stata tanta perdita quanto quella di un capello per nessuna delle persone che hai udito gridarenella nave che hai visto affondare. Sieditiperché ora devi sapere qualche cosa di più.

MIRANDA: Tante volte avete cominciato a narrarmi chi io siama poi vi siete sempre fermato a mezzolasciandomi ai dubbi di una vana inchiestae avete concluso: “Aspetta; non è ancor tempo”.

PROSPERO: Ora il tempo è venuto. E’ questo il momento che ti invita ad aprir bene le orecchie. Obbedisci e sta’ attenta. Sei in grado di ricordarti degli anni che precedettero il nostro arrivo in questa grotta? Non credo che ciò sia possibileperché allora non avevi più di tre anni.

MIRANDA: Ma certo che è possibile.

PROSPERO: Ricordarti di che? Di qualche altra cosa o di qualche altra persona? Accennami a qualche cosa la cui immagine è rimasta nella tua memoria.

MIRANDA: Ohè molto lontanae più come un sogno che come una certezza di cui si possa far garante la mia memoria. Non avevo una volta quattro o cinque donne al mio servizio?

PROSPERO: Sìe anche di piùMiranda. Ma com’è che ciò è rimasto vivo nella tua memoria? E che altro vedi nell’oscuro passato e nell’abisso del tempo? Se ti ricordi di qualche cosa anteriore alla tua venuta quapuoi anche ricordare in qual modo sei qua giunta.

MIRANDA: No; questo no.

PROSPERO: Dodici anni faMirandadodici anni fa tuo padre era il duca di Milano e un potente principe.

MIRANDA: Masignorenon siete voi mio padre?

PROSPERO: Tua madre era un modello di virtù e diceva che tu eri mia figlia. Tuo padre era duca di Milano e sua unica erede una principessa di nascita non meno illustre.

MIRANDA: Dio mio! Quale orribile tranello fu quello per cui ci allontanammo di lào fu buona sorte che così facemmo?

PROSPERO: L’una cosa e l’altrabambina mia. Un orribile tranellocome tu dicici strappò di làma una buona fortuna ci aiutò a giungere qua.

MIRANDA: Ahmi sanguina il cuore pensando al dolore che vi ho causato e che è così lontano da ogni mio ricordo. Di graziacontinuate.

PROSPERO: Il mio fratello e tuo ziodi nome Antonio… oditi pregoin che modo un fratello poté essere così perfido! io lo amavodopo di tesopra ogni altra cosa al mondoed a lui lasciai l’amministrazione del mio Statoche a quel tempo era il primo fra tutte le Signoriecome Prospero erasenza paragoneil primo fra quei duchie per la dignità e per le arti liberali. Orbenepoiché queste ultime formavano tutta la mia occupazioneio affidai il governo a mio fratello e divenni indifferente al mio alto gradotutto preso e assorbito da occulti studi. Il tuo perfido zio… Mi stai a sentire?

MIRANDA: Signorecon tutta l’attenzione.

PROSPERO: Divenuto che fu esperto nell’arte di accogliere petizioni e di respingerledi innalzare alcuni e di trattenere altri che s’erano spinti tropp’oltrecreò a nuovo quelle che erano le mie creature; voglio dire le mutò e le plasmò in un altro modo. Possedendo la chiave e degli ufficiali e degli ufficiaccordò nello Stato gli animi di tutti secondo quel tono che più piaceva al suo orecchiocosicché divenne ben presto l’edera che aveva coperto il mio principesco tronco e ne aveva succhiato tutto il vigore. Ma tu non presti attenzione.

MIRANDA: Ah sìmio buon padre.

PROSPERO: Ti pregostammi a sentire. Incurante così di ogni mondana aspirazionepreoccupato di starmene in disparte e di perfezionar la mia mente con quegli studi chetranne per la solitudine che richiedevanosorpassavano tutto ciò che il favore popolare può offriresvegliai nel mio falso fratello una malvagia inclinazionee la mia fiduciacome avviene a un buon genitoregenerò in lui una perfidia tanto grande nella sua opposta naturaquanta era la mia fiducia: una fiducia che in realtà era senza limitiveramente sconfinata. Essendosi egli così levato in alto non solo con ciò che le mie rendite gli offrivanoma con ciò che la mia autorità poteva in altri modi ottenerecome uno che spregiando la verità ha indotto talmente in peccato la sua memoria da dar credito alla propria bugiaa furia di ripeterlafinì col credere di esser lui veramente il ducaperché era il mio sostituto ed esercitava l’esteriorità della dignità regale con tutte le sue prerogative. Crescendoa causa di ciòla sua ambizione… Ma mi stai a sentire?

MIRANDA: Il vostro racconto renderebbe l’udito a un sordo.

PROSPERO: Perché non ci fosse nessuno schermo tra la parte che egli rappresentava e colui in nome del quale egli la rappresentavavolle essere in tutto e per tutto assoluto duca di Milano. In quanto a mepover’uomola mia libreria era un ducato abbastanza vasto. Ecco che egli mi crede incapace di atti di sovranità temporale; si accorda (tanto era assetato di dominio) col re di Napoli di pagargli un tributo annuodi prestargli omaggiodi assoggettare la sua piccola corona a quella più grande di lui e di piegare il ducato sin allora indipendente – ahimèpovera Milano! – alla più ignobile soggezione.

MIRANDA: Mio Dio!

PROSPERO: Considera i termini del trattato e le sue conseguenze e dimmi poi se costui poteva essere un fratello.

MIRANDA: Commetterei un peccato a non avere un’alta stima per mia nonna. Malvagi figli furono già portati da grembi schietti.

PROSPERO: Ed ecco ora i termini dell’accordo. Questo re di Napoliessendo un mio inveterato nemicoprestò orecchio alla proposta di mio fratelloche era questa: che in cambio di quelle condizionidell’omaggio e di non so qual misura di tributoegli avrebbe immediatamente cacciato me e la mia famiglia dal ducato e avrebbe assegnato con tutti gli onori la bella Milano a mio fratello. Radunato allora un esercito traditoreuna mezzanotte all’uopo prefissa dai fatiAntonio aprì le porte di Milanoe nel fitto delle tenebre i ministri designati a quello scopo cacciarono di là me e te che piangevi.

MIRANDA: Ahipietà! Non ricordando come piansi allorarinnoverò ora quel pianto. E’ un tema che costringe gli occhi alle lacrime.

PROSPERO: Ascolta ancora un po’e poi ti condurrò sino ai presenti avvenimenti che ci riguardanosenza di che questa storia sarebbe fuor di proposito.

MIRANDA: Perché non ci uccisero allora?

PROSPERO: Giusta domandabambina: il mio racconto l’ha provocata. Non osaronomia cara (tanto era intenso l’amore che il popolo mi portava); né ardirono segnar l’impresa d’un marchio così sanguinoso; ma dipinsero di più bei colori i loro truci disegni. Per farla breveci cacciarono in fretta in una barca e ci portaronoa qualche lega di distanzaverso il maredove tenevano pronta una marcita carcassa di barcaccia non attrezzatasenza sartiesenza vela senz’albero. Anche i topi l’avevano istintivamente abbandonata. Ivi essi ci issarono lasciandoci a gridare al mare che ci mugghiava di rimandoa sospirare ai ventila cui compassionericambiando i nostri sospirici ingiuriava sìma benignamente.

MIRANDA: Ahimèqual causa di affanno fui allora per voi!

PROSPERO: Ah! fosti un cherubino che mi salvasti. Sorridevi invasa da una forza che ti veniva dal cielomentre io cospargevo le onde delle più salse stille gemendo sotto il mio grave fardello; e il tuo sorriso destò in me il fermo coraggio di resistere a tutto ciò che poteva succedere.

MIRANDA: E come arrivammo a terra?

PROSPERO: Per divina provvidenza… Avevamo dei viveri e dell’acqua da bere chemosso a compassioneci aveva fornito Gonzaloun nobile napoletano incaricato di dirigere l’esecuzione di quella trama. Egli aggiunse anche ricchi abitibiancheriastoffe e altre cose necessarie che ci sono state poi di grande utilità. Parimentisempre mosso dalla bontàsapendo che amavo i miei librimi provvidetogliendoli dalla mia bibliotecadi parecchi volumi di cui faccio più conto che del mio ducato.

MIRANDA: Ahpotessi vedere un giorno codest’uomo!

PROSPERO: Eccomi levo. (si rimette il mantello) Tu rimani seduta e odi l’ultima parte delle nostre tribolazioni sul mare. Arrivammo a quest’isolae quicome tuo maestroti ho fatto progredire più che non possano altre principesse che hanno più tempo per le vane occupazionie guide non così diligenti.

MIRANDA: Vi renda per tutto ciò grazie il cielo. Ed oraditemisignoreve ne prego – poiché questo pensiero seguita a travagliarmi – per qual ragione avete sollevata la tempesta?

PROSPERO: Sappi dunque anche questo. Per un caso assai strano la benevola Fortunaora mia patronaha portato i miei nemici su questo lidoe in grazia del mio antivedereio scopro che il mio zenit dipende da un’assai propizia stellae che se io non cerco di attirar su me il suo influssoma lo trascurole mie fortune in seguito cadrebbero sempre più in basso. Ora non farmi altre domande. Tu sei disposta a dormire. E’ un benefico soporeperciò abbandonati ad esso.

So che non vi ti puoi sottrarre. (Miranda s’addormenta) Vienimio servovieni. Ora son pronto. Avvicinatimio Ariele; vieni.

 

(Entra ARIELE)

ARIELE: Salveo mio grande padrone. Venerando signoresalve! Io vengo per eseguire ciò che più ti piacesi tratti di volaredi nuotaredi immergersi nel fuocodi cavalcare su cirri di nubi.

Sottoponi ai tuoi potenti ordini Ariele e tutta la sua consorteria.

PROSPERO: Haio spiritoeseguito appuntino l’ordine che ti diedi di suscitar la tempesta?

ARIELE: Alla lettera. Abbordai la nave del ree ora sulla proraora sul ponteora sul cassero e in ogni cabina fiammeggiavo destando terrore. Talvolta mi dividevo e ardevo in molti luoghi. Fiammeggiavo separatamente sul trinchettosulle antennesul bompressopoi correvo ad unirmi. I lampi di Gioveprecursori del terribile scoppio dei tuoninon erano più istantanei e oltrepassanti la velocità della vista. Il fuoco e lo scoppiar fragoroso di nubi di zolfo parevano assediare il potente Nettuno e facevano tremare le sue spavalde onde e scuotere perfino il suo terribile tridente.

PROSPERO: Mio eccellente spirito! Chi poteva essere tanto forte e impassibile da non sentir turbata la sua ragione in mezzo a quel tumulto?

ARIELE: Non ci fu alcuno che non sentisse la febbre del delirio e che non commettesse inconsulti atti di disperazione. Tuttiad eccezione dei marinaisi gettarono tra le spumeggianti onde e abbandonarono la nave tutta incendiata da me; Ferdinandoil figlio del recoi capelli ritti – e parevano più stecchi che capelli – fu il primo a buttarsi giù mentre gridava: “L’inferno è vuotoe tutti i diavoli sono qua”.

PROSPERO: Così va benespirito mio! Ma non avvenne tutto ciò in prossimità della spiaggia?

ARIELE: Vicinissimomio padrone.

PROSPERO: E son essi salviAriele?

ARIELE: Neppur un capello è perduto. I loro abiti che li tenevano a galla non hanno neppure una macchiae sono più nuovi di prima. Come mi comandastili ho dispersi a gruppi per l’isola; soltanto il figlio del re l’ho fatto approdare da soloe l’ho lasciato in un remoto angolo dell’isola a rinfrescar l’aria coi suoi sospiri con le braccia dolorosamente conserte così.

PROSPERO: Che hai fatto della nave del re con tutti i marinai e del resto della flotta?

ARIELE: La nave del re è salva nel porto in quella profonda insenaturadove una volta mi facesti venire a mezzanotte perché ti recassi della rugiada dalle sempre tormentate Bermude. Colà essa è nascosta. I marinai son tutti vivi eper un’opera d’incanto combinata con la stanchezza delle loro faticheli ho lasciati addormentati. In quanto al resto delle navi che io dispersiesse si sono di nuovo riunite e sulle onde del Mediterraneo ritornano tristemente a Napolipoiché tutti sono convinti di aver visto colare a fondo la nave del re e l’augusto personaggio perire.

PROSPERO: Hai eseguito esattamente il tuo compitoAriele; ma c’è ancora da fare. A che punto siamo del giorno?

ARIELE: Ne è passata la metà.

PROSPERO: Sìalmeno di due ampollette. Il tempo che c’è di qui alle sei deve essere impiegato da noi due assai proficuamente.

ARIELE: C’è ancora da lavorare? Dal momento che m’imponi altre fatichelascia che ti ricordi ciò che mi hai promesso e che non hai ancora mantenuto.

PROSPERO: Come! Imbronciato? Che cosa mi puoi domandare?

ARIELE: La mia libertà.

PROSPERO: Prima che sia passato il tempo? Non dir altro.

ARIELE: Ricordatiti pregoche ti ho reso dei segnalati serviginon ti ho mai detto bugienon ho mai commesso erroriti ho servito senza lamentarmi e senza brontolare. Tu mi promettesti di condonarmi un intiero anno.

PROSPERO: Ti sei scordato da quale tormento ti liberai?

ARIELE: No.

PROSPERO: Te ne sei scordatoe ora credi che sia una gran cosa calpestare il fangoso fondo del marecorrere sul tagliente aquiloneeseguire qualche incarico nelle viscere della terraquando essa è indurita dal gelo.

ARIELE: Non me ne sono scordato.

PROSPERO: Mentiscispirito maligno. Hai dimenticato la brutta strega Sicorace che a causa degli anni e della malignità era diventata curva come un cerchio? L’hai dimenticata?

ARIELE: No.

PROSPERO: L’hai dimenticata. Dove era essa nata? Surispondimi.

ARIELE: In Algeri.

PROSPERO: Ahproprio Algeri?… Io devo una volta al mese ricordarti ciò che sei statoperché tu te ne scordi. Quella maledetta strega Sicoracea causa dei suoi molteplici misfatti e dei suoi malefizi troppo terribili per poter essere uditi da umani orecchifu come saibandita da Algeri. Per un solo buon atto che commise le fu risparmiata la vita. Non è forse vero?

ARIELE: Sissignore.

PROSPERO: Codesta stregaccia dagli occhi azzurri fu portata qui incinta e qui lasciata dai marinai. Tu che dici di essere mio schiavoeri allora suo servo; e poiché eri uno spirito troppo delicato per eseguire i suoi bassi e odiosi ordinirifiutandoti alle sue gravi ingiunzionifosticon l’aiuto di ministri più potenti di teconfinato da leiche era tutta pervasa da un’implacabile iranella spaccatura di un pinoe in quel crepaccio rimanesti miseramente imprigionato una dozzina di anni. Nel frattempo essa morì e ti lasciò lì dove tu mandavi fuori lamenti più frequenti che non siano i giri della ruota di un mulino. Quest’isolaa quel tempofatta eccezione del figlio che essa qua partorì – un cucciolo lentigginosovero figlio di una stregaccia – non si onorava di alcuna forma umana.

ARIELE: Ma sìdel figlio di leiCalibano.

PROSPERO: O stupido esserelo sto pur dicendo: quel Calibano che ho ora al mio servizio. Tu sai bene fra quali tormenti ti trovai: i tuoi gemiti facevano urlare i lupi e penetravano nel petto degli orsi sempre irritati. Era un tormento da infliggere ai dannatie che Sicorace non poteva più far cessare Fu la mia arte chequando arrivai qua e ti udiifece allargare la bocca al pino e ti lasciò andare.

ARIELE: Ti ringraziopadrone.

PROSPERO: Se brontoli ancoraspaccherò una quercia e ti rinserrerò nelle sue nodose viscerefinché avrai urlato per altri dodici inverni.

ARIELE: Perdonamipadrone: sarò obbediente agli ordini e farò volonterosamente il mio dovere di spirito.

PROSPERO: Fa’ cosìe fra due giorni ti libererò.

ARIELE: Tu sei davvero un nobile padrone. Che cosa debbo fare?

Dimmelo. Che cosa debbo fare?

PROSPERO: Va’ a trasformarti in una ninfa marina: non esposto ad altra vista fuor che alla tua e alla mia; e invisibile ad ogni altro occhio.

Va’ ad assumere questa apparenza e in essa ritorna a me. Via con ogni fretta. (Esce Ariele) Svegliatimia carasvegliati! Hai dormito saporitamente: svegliati.

MIRANDA: La stranezza del vostro racconto ha infuso in me questa sonnolenza.

PROSPERO: Scuotila. Vieni; andremo a dare un’occhiata al mio schiavo Calibano che non ci dà mai una risposta gentile.

MIRANDA: Signoreè un furfantesul quale non ho piacere di alzar gli occhi.

PROSPERO: Maad onta di ciònon possiamo fare a meno di lui. Ci accende il fuococi porta la legna e ci rende degli utili servigi.

Olàschiavo! Calibano! Pezzo di motarispondi!

CALIBANO (di dentro): C’è abbastanza legna dentro.

PROSPERO: Vieni avantiti dico. Ci sono altre faccende per te. Vienitartaruga. E quando?

 

(Rientra ARIELE sotto le spoglie di ninfa marina)

Deliziosa apparizione! Mio vezzoso Arieleascolta ciò che ti dico in un orecchio.

ARIELE: Sarà fattomio signore.

 

(Esce)

PROSPERO: Vieni avantivelenoso schiavo che il diavolo in persona fece concepire alla tua maligna madre.

 

(Entra CALIBANO)

CALIBANO: Possa cadere su voi due una rugiada maligna come quella che con una penna di corvo raccoglieva mia madre da una malsana palude!

Possa su voi soffiar il libeccio e ricoprirvi di vesciche!

PROSPERO: Sta’ sicuro che per queste parole avrai stanotte dei crampie delle trafitture ai fianchi che ti chiuderanno il respiro: degli spiriti follettidurante il desolato periodo della notte in cui possono operareecerciteranno tutti la loro azione su te. I loro pizzicotti saranno più fitti che le celle d’un alvearee ognun d’essi più pungente delle api che le fanno.

CALIBANO: Devo ancora pranzare. Quest’isola che tu mi hai presoè mia per parte di mia madre Sicorace. Appena tu vi giungestimi carezzavi e facevi gran conto di memi solevi dare dell’acqua con entro infuse delle bacchemi insegnavi come dovevo chiamare la luce maggiore e quella più piccola che ardono il giorno e la notte. Allora io ti amavo e ti indicavo tutte le particolarità dell’isolale sorgenti di acqua dolcei pozzi d’acqua salatai luoghi sterili e quelli fertili.

Maledetto quando feci così! Vi possano piombare addosso tutte le malìe di Sicorace: rospiscarafaggipipistrelli. Poiché ora io formo rutta la vostra sudditanza mentre prima ero re di me stesso. Ora mi avete confinato in questa dura roccia . Mi avete preso il resto dell’isola.

PROSPERO: O bugiardissimo schiavo che solo le frustate possono commuoveree non la gentilezza! Io ti trattaimucchio di immondizie che seicon ogni umano riguardoe ti alloggiai nella mia grotta finché non tentasti di violare l’onore della figlia mia.

CALIBANO: Ihih! Così la cosa fosse riuscita! Tu te n’accorgesti a tempoaltrimenti avrei popolato quest’isola di Calibani.

MIRANDA: Schiavo aborritosu cui non potrà mai imprimersi un’orma di bontàché sei capace di ogni male! Io ebbi compassione di temi affaticai per metterti in grado di parlareti insegnavo ora una cosaora un’altra. Quando tuo selvaggionon sapevi esprimere ciò che ti passava per la mente ma emettevi suoni inarticolati come il peggiore dei brutiio ti apprestai le parole per le tue idee in maniera da renderle manifeste. Ma la tua spregevole indolenonostante che tu imparassiaveva tutto ciò che rendeva impossibile la tua convivenza con persone virtuose. Perciò fosti giustamente confinato in questa roccialaddove ti saresti meritato assai più di una prigione.

CALIBANO: Mi hai insegnato a parlaree il profitto che ho fattoè che ora so come bestemmiare. Ti stermini la peste rossa per avermi insegnata la tua lingua!

PROSPERO: Via di quafiglio di strega. Porta dentro della legna da ardere e sii pronto a eseguire altri incarichi: sarà meglio per te.

Scrolli le spalletristo? Se trascuri o eseguisci mal volentieri ciò che ti ordino ti tormenterò con i crampi della vecchiaiat’empirò le ossa di dolori e ti farò tanto urlare che le fiere tremeranno a quel fragore.

CALIBANO: Noper carità! (A parte) Bisogna che obbedisca. La sua arte è tanto potente da vincere il dio di mia madreSeteboe far di lui un vassallo.

PROSPERO: Ed orava’ viaschiavo!

 

(Esce Calibano)

(Rientra ARIELE invisibilecantando e suonando; FERDINANDO lo segue)

CANZONE
ARIELE: Venite a queste bionde arene; mentre mano con man si tienefate un inchinoogni bocca si bacia e sull’onde è la bonaccia; qua e là danzate bel belloe voidolci spiritidite il ritornello.

Ascoltaascolta!

RITORNELLO (da varie parti): Baubau.

ARIELE: Abbaiano i can da scolta.

RITORNELLO (da varie parti): Baubau.

ARIELE: Ascolta ascolta! Si udì il canto del tronfio gallo squillare chicchirichì.

FERDINANDO: Dove può essere questa musica? Nell’aria o sulla terra?

Non risuona piùe certamente essa è al servizio di qualche dio dell’isola. Mentre ero seduto su un rialzo e piangevo di nuovo il naufragio del re mio padrequesta musica venne sulle acque verso la parte dove io eroe con la sua dolce armonia calmò la furia di esse e il mio dolore. Di là io l’ho seguitao meglioessa mi ha trascinato.

Ma ora è cessata. No; comincia di nuovo.

ARIELE (canta):

A cinque tese tuo padre è sepolto; coralli gli son fatte le ossa; son perle gli occhi nel suo voltoniente in lui che perire possache il mar non lo vada convertendo in qualcosa di ricco e stupendo.

Suonano a morte le ninfe del mare.

RITORNELLO: Dindon.

ARIELE: Ascolta! Ora le odo: Din donsquille.

FERDINANDO: Il canto commemora mio padre annegato. Non è cosa terrena e non è un’armonia che sia propria di questo mondo. Eccola sento al di sopra di me.

PROSPERO: Solleva le frangiate cortine dei tuoi occhi e dimmi che cosa vedi laggiù.

MIRANDA: Che cosa è? Uno spirito? Diocome egli guarda tutto all’ingiro! Credetemisignore; le sue forme sono stupende; ma è uno spirito.

PROSPERO: Noragazza mia; egli mangiadorme ed ha gli stessi sensi che abbiamo noiproprio gli stessi. Il bel giovane che vediera tra i naufraghie se non fosse alquanto sfigurato dal dolore che è il verme roditore della bellezzapotresti dirlo una bella persona. Ha perduto i suoi compagni e va errando in cerca di loro.

MIRANDA: Vorrei chiamarlo un essere divinoperché nulla ho visto sulla terra di così nobile.

PROSPERO (a parte): Vedo che tutto procede a seconda di ciò che l’animo mi ispira. O spiritogentile spiritoper tutto ciò ti libererò fra due giorni.

FERDINANDO: Ecco senza dubbio la dea al cui servigio è questa musica.

Concedetemivi pregodi poter sapere se abitate in quest’isola e se volete darmi qualche istruzione sul modo con cui io possa qui comportarmi. Ma la mia domanda principaleche io formulo per ultimaè questa: siete voimeravigliosa creaturauna fanciulla o no?

MIRANDA: Non una meravigliosa creaturasignor mioma una fanciulla certamente.

FERDINANDO: O Dio! il mio stesso linguaggio! Io sarei il più alto in dignità fra coloro che parlano questa linguase potessi esser colà dove essa è parlata.

PROSPERO: Come! il più alto? E che cosa saresti se ti udisse il re di Napoli?

FERDINANDO: Ciò che sono oraun essere debole e solo che si meraviglia di udirti parlare del re di Napoli. Costui mi odee poiché mi odeio piango. Son io il re di Napoliio che vidicon occhi non mai più asciuttida quel momento in poinaufragare il re mio padre.

MIRANDA: Ahimèche pietà!

FERDINANDO: Sìe con lui tutti i gentiluomini della sua cortefra i quali erano il duca di Milano e il suo gentile figliuolo.

PROSPERO (a parte): Il duca di Milano e la sua più assai gentile figliuola ti potrebbero smentirese fosse opportuno far ciò. Appena si son vedutisi son scambiati sguardi amorosi. Per tutto questo ti darò la libertào leggiadro Ariele. (A Ferdinando) Una parolacaro signore. Temo che la vostra lingua vi abbia fatto torto. Una parola.

MIRANDA: Perché mio padre parla così scortesemente? E’ questo il terzo uomo che ho visto in vita mia ed il primo per cui ho sospirato. Possa la pietà indurre mio padre a propendere dalla mia parte.

FERDINANDO: Ohse siete nubile e il vostro affetto non è rivolto altroveio vi farò regina di Napoli.

PROSPERO: Adagiosignore! Una parola ancora! (A parte) Essi sono in potere l’uno dell’altro; ma bisogna che io renda difficile questa rapida avventuraaltrimenti una facile vittoria rende di poco valore il premio. (A Ferdinando) Una parola ancora. Ti impongo di prestarmi attenzione. Tu usurpi un nome che non ti spettae sei venuto in quest’isola come una spiaper toglierla a me che ne sono il signore.

FERDINANDO: Nocome è vero che sono un uomo!

MIRANDA: Nessuna malvagità può abitare in un simile tempio. Se lo spirito maligno avesse una così bella dimoragli esseri buoni farebbero di tutto per abitarvi con lui.

PROSPERO (a Ferdinando): Seguimi. (A Miranda) Non dire una parola in suo favore: è un traditore. Vieni; legherò con una catena il tuo collo e i tuoi piediberrai acqua di mare e mangerai molluschi d’acqua dolceradici secche e le cupole che servon di culla alle ghiande.

Seguimi.

FERDINANDO: Nomi opporrò a questo trattamentofinché il mio nemico non mostrerà di aver più forza di me.

 

(Sguaina la spada e un incantesimo gl’impedisce di muoversi)

MIRANDA: Caro padrenon lo mettete a una troppo dura provapoiché egli è mite e non formidabile.

PROSPERO: E che? il mio piede la farà da padrone? Rinfodera la spadatraditoretu che fai mostra di colpire e non ositanto sulla tua coscienza grava la colpa. Desisti da codesta tua messa in guardiaperché io ti posso disarmare con questo mio bastoncello e posso far sì che ti cada l’arma di mano.

MIRANDA: Vi scongiuropadre mio…

PROSPERO: Scostatinon appenderti ai miei panni.

MIRANDA: Abbiate pietàsignore. Resto io garante per lui.

PROSPERO: Taci. Un’altra parola che dici mi costringerà a strapazzartise non a odiarti. Come! Difendere un impostore! Taci! Tu credi che non ci sia alcun’altra creatura come luitu che non hai visto che lui e Calibano. Sciocca! Di fronte alla maggior parte degli uomini costui non è altro che un Calibanoed essia paragone suosono degli angeli.

MIRANDA: Vuol dire che le mie aspirazioni sono assai umilinon ambisco di vedere un uomo più bello.

PROSPERO (a Ferdinando): Orsùobbedisci. I tuoi nervi sono tornati di nuovo nella loro infanzia e non hanno più in sé alcun vigore

FERDINANDO: E’ vero. I miei spiriti son tutti inceppaticome in un sogno. La perdita di mio padrela debolezza che sentoil naufragio di tutti i miei amici e le minacce di quest’uomo al quale devo piegarmimi sarebbero sopportabilise potessi dalla mia prigione contemplare una volta al giorno questa fanciulla. Abbiano pure gli uomini liberi a loro disposizione ogni angolo della terra; per me c’è abbastanza spazio in questa prigione.

PROSPERO (a parte): L’incanto opera. (A Ferdinando) Vieni. (Ad Ariele) Ti sei ben comportatoo bell’Ariele! (A Ferdinando) Seguimi. (Ad Ariele) Odi ciò che ancora devi fare per me.

MIRANDA: Rassicuratevi. Il carattere di mio padre è migliore di quel che apparisca dalle sue parole. Tutto ciò che ora ha detto è insolito in lui.

PROSPERO (ad Ariele): Sarai libero come sono liberi i venti della montagnama devi eseguire i miei ordini in ogni loro particolare.

ARIELE: Alla lettera.

PROSPERO (a Ferdinando): Orsùseguitemi. (A Miranda) Non dir nulla in suo favore.

 

(Escono)

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA – Un’altra parte dell’isola

(Entrano ALONSOSEBASTIANOANTONIOGONZALOADRIANOFRANCESCO e altri)

GONZALO: Rasserenatevisignoreve ne scongiuro. Come noi tuttianche voi avete motivo di esser lietoperché la nostra salvezza avanza di molto la perdita. Il nostro tema di dolore è cosa comune a tutti. Ogni giorno qualche moglie di marinaioil padrone di qualche nave da traffico e il mercante hanno gli stessi nostri motivi di tristezza; ma per quel che riguarda il nostro miracoloossia il fatto di esserci salvatitra milioni di uominipochi posson parlare come noi. Perciòmio buon sovranocontrappesateda uomo saggioil nostro dolore e la nostra letizia.

ALONSO: Taciti prego.

SEBASTIANO: Egli fa alle parole di conforto la stessa accoglienza che a una zuppa diaccia.

ANTONIO: Ma il confortatore non lascerà la sua presa.

SEBASTIANO: Attenti: egli sta caricando l’orologio a ripetizione del suo spirito: a momenti suonerà.

GONZALO: Mio sovrano…

SEBASTIANO: E uno. Contate.

GONZALO: Quando si dà albergo ad ogni malanno che si presentacolui che lo alberga ne ricava…

SEBASTIANO: …una crazia.

GONZALO: Giàne ricava una sgrazia. Avete parlato con maggior verità che non fosse nella vostra intenzione.

SEBASTIANO: E voi avete inteso più saggiamente che io non credessi.

GONZALO: Perciòsignor mio…

ANTONIO: Uhcom’è prodigo della sua lingua!

ALONSO: Risparmialati prego.

GONZALO: Ebbeneho finito. Pur tuttavia…

SEBASTIANO: Non può fare a meno di parlare.

ANTONIO: Facciamo una bella scommessachi dei due comincerà a cantare per primolui o Adriano?

SEBASTIANO: ll vecchio gallo.

ANTONIO: Il galletto.

SEBASTIANO: Vada pure. E la posta?

ANTONIO: Una risata.

SEBASTIANO: Accettato!

ADRIANO: Quantunque quest’isola sembri deserta…

SEBASTIANO: Ah ah! Antonio! Così siete pagato.

ADRIANO: …inabitabile e quasi inaccessibile…

SEBASTIANO: …tuttavia…

ADRIANO: …tuttavia…

ANTONIO: Egli non poteva omettere il tuttavia.

ADRIANO: …deve avere necessariamente una temperanza sottilemolle e deliziosa.

ANTONIO: Temperanza era una deliziosa ragazza.

SEBASTIANO: Sìe anche sottilecome egli si è dottamente espresso.

ADRIANO: L’aria spira intorno a noi assai mollemente.

SEBASTIANO: Come se avesse i polmonie i polmoni fossero marci.

ANTONIO: O come se fosse grave delle esalazioni di uno stagno.

GONZALO: Qui c’è ogni cosa utile alla vita.

ANTONIO: Precisamente; salvo i mezzi per vivere.

SEBASTIANO: Di questi ce n’è pochi o punti.

GONZALO: Come l’erba appare qui pingue e vigorosa; come verde!

ANTONIO: Il terreno invero è giallastro.

SEBASTIANO: Con un pizzico di verde.

ANTONIO: Non si sbaglia di molto.

SEBASTIANO: Nosoltanto altera completamente la verità.

GONZALO: Del resto lo straordinario dell’avventuracosa che oltrepassa ogni credenzaè…

SEBASTIANO: Come sono tutte le cose che passano per straordinarie.

GONZALO: …che i nostri abitiimmersi come sono stati nel marehanno conservatoad onta di tuttola loro freschezza e il loro lustro come se fossero stati tinti di frescoanziché scoloriti dall’acqua marina.

ANTONIO: Se una sola delle sue tasche potesse parlarenon direbbe che egli mentisce?

SEBASTIANO: Già; oppure intascherebbe assai disonestamente la sua asserzione.

GONZALO: A parer mioi nostri abiti sono ora cosi nuovi come quando li indossammo per la prima volta in Africaal matrimonio della bella figlia del reClaribellacol re di Tunisi.

SEBASTIANO: Fu un bellissimo matrimonio e noi siamo stati ben fortunati nel nostro ritorno.

ADRIANO: Tunisi non ebbe mai per l’addietro l’onore di aver per regina un tal modello di perfezione.

GONZALO: Nodal tempo della vedova Didone in poi.

ANTONIO: Vedova! Che orrore di parola! Che c’entra questa vedova? La vedova Didone!

SEBASTIANO: E se avesse detto anche il vedovo Enea? Dio miocome vi arrabbiate!

ADRIANO: Avete detto la vedova Didone? Mi fate riflettere su queste parole. Essa era di Cartaginenon di Tunisi.

GONZALO: Ma la Tunisi d’orasignoreera Cartagine.

ADRIANO: Cartagine?

GONZALO: Cartagineve l’assicuro.

ANTONIO: Le sue parole compiono più miracoli della famosa arpa.

SEBASTIANO: Ha fatto sorgere le mura e anche le case.

ANTONIO: Quale altro fatto impossibile non renderà egli facile adesso?

SEBASTIANO: Credo che si porterà a casa in tasca questa isola per regalarla a suo figlio come una mela.

ANTONIO: E poispargendone i semi nel marefarà spuntare altre isole.

GONZALO: Ma!…

ANTONIO: Ohalla buon’ora!

GONZALO: Maestànoi stavamo dicendo che i nostri abiti sembrano ora nuovi come quando eravamo a Tunisi per il matrimonio della vostra figliuolache ora è regina.

ANTONIO: E la più eccelsa che mai vi fosse colà.

SEBASTIANO: Fatta eccezione della vedova Didoneper carità!

ANTONIO: Ohla vedova Didone! Giàla vedova Didone.

GONZALO: Il mio farsetto non è forse nuovo come il primo giorno che l’indossai? In un certo sensos’intende.

ANTONIO: Questo senso fu ben pescato.

GONZALO: Quando l’indossai per il matrimonio di vostra figlia?

ALONSO: Voi m’impinzate gli orecchi di questi discorsi contro ogni appetito della mia volontà. Non avessi mai maritata la mia figliuola laggiù! Chétornando di làho perduto mio figlioepurtroppoa quel che credoanche leitanto lontana dall’Italia che forse non la potrò più rivedere. O erede dei miei Stati di Napoli e di Milanodi quale sconosciuto pesce sei stato tu pasto?

FRANCESCA: Signoreegli può esser vivo. Lo vidi con un colpo sollevarsi sui marosi e cavalcare sul loro dorso. Si avanzava sull’acquane respingeva l’ostilità e rompeva col petto il più turgido cavallone che lo investiva. Manteneva fiera la testa al di sopra delle onde in tumulto e remava coi vigorosi colpi delle sue braccia verso la riva checurva sulla base rósa dai fluttisi chinava come per soccorrerlo. Son sicuro che egli è arrivato sano e salvo a terra.

ALONSO: Nonoegli non è più.

SEBASTIANO: Potete ringraziar voi stesso di questa grande perditasignorevoi che non avete voluto render felice l’Europa con la vostra figliuolama avete preferito di farle far razza con un africano. In quella terra essa èper lo menobandita dai vostri occhi e voi avete un giusto motivo di bagnar di lacrime il dolore di quest’esilio.

ALONSO: Taciti prego.

SEBASTIANO: Tutti noi c’inginocchiammo ai vostri piediimportunandovi in mille modie la cara creaturatra la riluttanza e l’obbedienzaera incerta essa stessa da qual parte avrebbe voluto che la bilancia inclinasse. Noi abbiamo perduto vostro figlioe io temo per sempre.

Ci sono a Milano e a Napoli più vedove per effetto di questo matrimonioche noi non portiamo di uomini per consolarle. La colpa è tutta vostra.

ALONSO: Ed è anche mia la più grave parte della perdita.

GONZALO: Mio nobile Sebastianoc’ènella verità che diteuna certa mancanza di gentilezza e di opportunità. Voi irritate la piagaquando dovreste mettervi sopra un impiastro.

SEBASTIANO: Già!

ANTONIO: E al modo di un vero chirurgo.

GONZALO: Dentro di noi fa cattivo tempomio buon sovranoquando voi siete rannuvolato.

SEBASTIANO: Cattivo tempo?

ANTONIO: Cattivissimo.

GONZALO: Se io dovessio buon refare una piantagione in quest’isola…

ANTONIO: La pianterebbe a ortiche.

.SEBASTIANO: O a lapazi e malvaccioni.

GONZALO: E se ne fossi il re sapete che cosa vorrei fare?

SEBASTIANO: Evitereste d’ubriacarvi per mancanza di vino.

GONZALO: Nella comunità vorrei che ogni cosa fosse fatta al contrario di ciò che si fa ordinariamente. Non ammetterei alcuna specie di trafficoalcuna autorità di magistrato. L’istruzione vi dovrebbe essere sconosciuta: non ci dovrebbero essere né ricchezzané povertàné impieghi servilinon contrattinon successioninon divisioninon confini di terrenon coltivazioninon vigne; nessun uso di metallidi granodi vinodi olionessuna occupazione: tutti gli uomini in oziotutti; ed anche le donnema innocenti e pure; nessuna sovranità…

SEBASTIANO: Però egli vorrebbe essere il re.

ANTONIO: Il risultato della sua comunità non tien più conto della premessa.

GONZALO: La natura dovrebbe produrre tutte le cose in comune senza sudore e senza pena: non ci avrebbero a essere tradimentinon fellonianon spadenon picchenon pugnalinon cannoni e nessun bisogno di alcun altro arnese di guerra. La natura dovrebbe generare da se stessa ogni grasciaogni abbondanza per nutrire il mio innocente popolo.

SEBASTIANO: E non ci sarebbero matrimoni fra i suoi sudditi?

ANTONIO: Nessun matrimoniogiovanottotutti in ozio: bagasce e birbaccioni.

GONZALO: E regnereisignorecosì perfettamente da lasciarmi addietro l’età dell’oro.

SEBASTIANO: Dio protegga Sua Maestà!

ANTONIO: Evviva Gonzalo!

GONZALO: E… m’ascoltatesignore?

ALONSO: Bastaper carità; tu mi dici cose che non san di nulla.

GONZALO: Sono perfettamente dell’opinione di Vostra Altezzae ho parlato così per dar materia di riso a questi signoriche sono di polmoni tanto sensibili e vivaciche son usi a ridere di un nulla.

ANTONIO: Ma era di voi che ridevamo.

GONZALO: Io sonoin questo genere di allegre buffonerieun nulla a paragone di voicosicché voi potete ancora continuare a ridere per un nulla.

ANTONIO: Che sciabolata ha tirato!

SEBASTIANO: Se non fosse calata di piatto.

GONZALO: Voi siete di una vigorosa tempramiei signori: sareste capaci di rimuovere la luna dalla sua orbitase essa vi si aggirasse cinque settimane senza mutazioni.

 

(Entra Arieleinvisibileintonando una musica solenne)

SEBASTIANO: Certo che faremmo così e poi andremmo a caccia col frugnòlo.

ANTONIO: Viabuon signorenon andate in collera.

GONZALO: Nonon dubitate. Non voglio arrischiare la mia reputazione di uomo assennato mostrando tal debolezza. Volete farmi addormentare con le vostre risavisto che mi sento una gran pesantezza?

ANTONIO: Allora dormitee stateci a sentire.

 

(Tutti s’addormentano ad eccezione di AlonsoSebastiano e Antonio)

ALONSO: Come! Tutti così presto addormentati! Vorrei che si stendesse un velo sui miei occhi e nello stesso tempo anche sui miei pensieri.

Mi pare che essi sian disposti a chiudersi.

SEBASTIANO: Non rifiutatedi graziasignorel’offerta di una tal pesantezza: raramente essa visita il dolore equando lo visitaè una consolatrice.

ANTONIO: Noi duemio signorefaremodurante il vostro riposobuona guardia alla vostra persona e veglieremo su voi.

ALONSO: Grazie. Che straordinaria pesantezza!…

 

(Alonso s’addormenta. Esce Ariele)

SEBASTIANO: Che strana sonnolenza li ha tutti presi!

ANTONIO: E’ la natura del clima.

SEBASTIANO: E allora perché non fa abbassare anche le nostre palpebre?

Io non mi sento disposto a dormire.

ANTONIO: E neppure io. I miei spiriti sono alacri. Costoro han curvata la testa tutt’insieme come per comune accordo e son cascati giù come colpiti dal fulmine. Che cosa non sarebbe possibilemio degno Sebastianoche cosa non sarebbe possibile… Ma basta. E tuttavia mi par di scoprir sul tuo viso quel che dovresti essere. L’occasione ti parlae nel mio forte immaginare vedo una corona cadere sul tuo capo.

SEBASTIANO: Ma sei tu ben desto?

ANTONIO: Non senti che parlo?

SEBASTIANO: Ti sentoma è un linguaggio da uomo assonnato il tuocertamente; e tu parli mentre dormi. Che cosa hai detto? E’ uno strano modo di riposare quello di dormire con gli occhi spalancatistare in piediparlaremuoverti ed essere tuttavia tanto profondamente addormentato.

ANTONIO: Sei tunobile Sebastianoche lasci dormire omegliomorire la tua fortunasei tu che hai gli occhi chiusi mentre sei desto.

SEBASTIANO: Tu russi articolatamente; nel tuo russare c’è un senso.

ANTONIO: Sono più serio che non sia mio costume e anche tuse mi darai rettasarai necessariamente come me; così facendodiventerai tre volte più grande.

SEBASTIANO: Ohio sono un’acqua stagnante.

ANTONIO: T’insegnerò in che modo si diventa acqua corrente.

SEBASTIANO: Insegnameloperché la mia istintiva indolenza mi porta sempre a star basso.

ANTONIO: Ahse sapessi come dài consistenza al mio disegno mentre lo schernisci a codesto modo! Comespogliandolo di ogni valorelo rendi invece più ricco! E’ proprio vero che gli uomini che si tengono bassimolto spesso precipitano giù sino quasi al fondoo per la loro paurao per la loro indolenza.

SEBASTIANO: Continuati prego. Il tuo viso e gli occhi intenti annunziano che hai qualche cosa d’importanteil cui parto ti costa assai pena a venire alla luce.

ANTONIO: Proprio cosìmessere. Quantunque questo signore dalla memoria deboleche lascerà di sé altrettanto piccolo ricordo quando sarà sotterraabbia quasi persuaso il re che suo figlio è vivo (poiché egli è uno spirito di persuasione e sua sola professione è di persuadere)tuttavia è tanto impossibile che il principe non sia annegatoquanto è impossibile che nuoti lui che sta qui dormendo.

SEBASTIANO: Per me non c’è nessuna speranza che egli sia scampato al naufragio.

ANTONIO: Ohquesta “nessuna speranza” di quale grande speranza è sorgente per te! Nessuna speranza in questo caso eper un altro rispettouna speranza così altache neppure l’ambizione può spinger lo sguardo di un pollice più oltre senza dubitare di scoprire alcunché. Vuoi convenire con me che Ferdinando è annegato?

SEBASTIANO: E’ morto.

ANTONIO: Allora di’: chi è l’erede più prossimo del regno di Napoli?

SEBASTIANO: Claribella.

ANTONIO: Quella che è regina di Tunisiche abita dieci leghe al di là di quanto basti la vita dell’uomoquella chea meno che non faccia da corriere il soleperché l’uomo della luna è troppo lentonon può ricevere nessuna notizia da Napoli se non dopo che la guancia di un neonato ha avuto il tempo di diventar irta di peli e ha bisogno del rasoioquella a cagione della quale tutti noi fummo gettati in mare e solo alcuni risospinti alla rivae per tale destino stiamo per compiere un drammadi cui ciò che è passato è il prologo e lo svolgimento dipende da ciò che eseguiremo tu ed io.

SEBASTIANO: Che propositi son codesti? Che intendi dire? E vero: la figlia di mio fratello è regina di Tunisied è erede della corona di Napolie fra queste due regioni c’è una certa distanza.

ANTONIO: Una distanza della quale ogni cubito sembra che gridi: “Come può Claribella tornare a misurarci fino a Napoli? Rimanga essa a Tunisi e Sebastiano sia ben desto”. Supponete che ciò che ha colpito costoro sia la morte; ebbeneessi non starebbero peggio di come stanno ora. Qualcuno c’è pure che può governar Napoli non meno bene di costui che dorme; ci son pure dei signori che possono cianciare prolissamente e senza necessità come questo Gonzalo. Io stesso potrei passare per una gracchia d’altrettanto profonda chiacchiera. Ohse voi aveste il mio medesimo sentimentoche sonno sarebbe questo per la vostra ascesa! Mi comprendete?

SEBASTIANO: Mi par di sì.

ANTONIO: E la vostra volontàin che modo considera la vostra buona fortuna?

SEBASTIANO: Mi sovviene che voi levaste di seggio vostro fratello Prospero.

ANTONIO: Sicuro. E guardate come gli abiti mi stanno bene indosso; molto più acconci di prima. I sudditi di mio fratello erano miei eguali; ora mi sono soggetti.

SEBASTIANO: Mae la vostra coscienza?

ANTONIO: E dove sta di casa costeimio caro? Se fosse un gelone mi costringerebbe a mettermi le pantofole; ma io non sento tal divinità nel mio petto. Se fra me e la corona di Milano ci fossero venti coscienzeesse avrebbero tempo di indurirsi come il ghiaccio e poi liquefarsi prima di darmi noia. Qui giace vostro fratello che non varrebbe di più della terra su cui è distesose fosse ciò che ha ora l’apparenza di essereun morto Con tre pollici di questa obbediente lamaio potrei metterlo a letto per semprementre voifacendo come mepotreste costringere a chiudere fermamente per sempre gli occhi a questo vecchio ruderea questo messer Sputasennoche non avrebbe la possibilità di biasimare la nostra condotta. In quanto agli altrisaranno docili al nostro cenno come gatti a leccare il latte; conteranno tanti rintocchi d’orologio quanti noi diremo che vengono all’ora di ogni nostra faccenda.

SEBASTIANO: Il tuo casocaro amicomi sarà d’esempio. Come tu t’impadronisti di Milanocosì io mi acquisterò Napoli. Cava la spada.

Un colpo solo ti libererà dal tributo che paghied iodiventato reti darò tutto il mio affetto.

ANTONIO: Caviamo insieme le armie quando io alzo la manofate come me per lasciar cader la vostra su Gonzalo.

SEBASTIANO: Oh! ancora una parola. (Parlano insieme sottovoce)

 

(Entra ARIELE. Musica e canto)

ARIELE: Il mio padroneper virtù della sua arteha preveduto il pericolo nel quale voisuo amicovi trovatee mi ha mandato qui (altrimenti il suo disegno non può avverarsi) per serbar tutti in vita.

(Canta nell’orecchio di Gonzalo) Mentre qui russando giaci la congiura dagli occhi audaci coglie il suo momento.

Se la vita ti sta a cuore scuoti dunque via il torpore.

Attentoattento!

ANTONIO: Spicciamoci dunque tutti e due.

GONZALO: Ohangeli buonisalvate il re!

ALONSO (svegliandosi): Ebbeneche c’è? Olàsvegliatevi. Perché impugnate codeste armi? Perché codesto truce aspetto?

GONZALO: Che è successo?

SEBASTIANO: Mentre stavamo qui a render sicuro dai pericoli il vostro riposoproprio un momento faabbiamo udito un cupo echeggiar di muggiti come di torio piuttosto di leoni. Non è esso che vi ha svegliato? Ha colpito terribilmente il mio orecchio.

ALONSO: Non ho sentito nulla.

ANTONIO: Ohera un tale strepito da spaventare l’orecchio di un mostroda produrre un terremoto. Era di certo il ruggito di un intiero branco di leoni.

ALONSO: L’avete voi uditoGonzalo?

GONZALO: Sull’onor miosignorenon ho udito che un ronzioma un ronzio assai strano che mi ha svegliato. Vi ho scossosignoreed ho gridato. Quando ho aperto gli occhiho visto le loro spade sguainate. Un rumore c’è statoinnegabilmente. Meglio è che noi stiamo in guardiao che abbandoniamo questo luogo. Intanto impugnamo le nostre armi.

ALONSO: Allontaniamoci di qui e continuiamo a far ricerca del mio povero figliuolo.

GONZALO: Il cielo lo guardi da queste bestiepoiché son sicuro che egli è nell’isola.

ALONSO: Andiamo via.

ARIELE: Il mio padrone Prospero saprà ciò che ho fatto. E possa tuo reandar senza pericoli alla ricerca di tuo figlio.

 

(Escono)

 

 

SCENA SECONDA – Un’altra parte dell’isola

(Entra CALIBANOcon un carico di legna. S’ode lo strepito di un tuono)

CALIBANO: Possano tutte le infezioni che il sole assorbe dalle paludidagli stagnidai pantanirovesciarsi su Prospero e farlo diventar tutto a poco a poco un morbo! I suoi spiriti mi odonotuttavia non posso astenermi dal maledirlo. Essi però non mi punzecchierannonon mi spaventeranno con parvenze di follettinon mi attufferanno nella melmané mi condurrannonell’oscuritàfuor della mia stradasotto forma di tizzi accesise non quando egli ne darà loro l’ordine. Ma per ogni nonnulla mi sono incitati controqualche volta come scimmie che mi fanno smorfie e bèrci e poi mi mordonoqualche volta come ricci spinosi che si rotolano sul mio cammino mentre vado scalzo e rizzano i loro aculei al suono dei miei passi. Altre volte sono tutto avvinghiato da serpi che con le loro lingue forcute fischiano sino a farmi impazzire(Entra TRINCULO)

Eccoeccoviene verso di me uno dei suoi spiriti per tormentarmiperché tardo a portar dentro la legna. Mi metterò giù disteso; forse non s’accorgerà di me.

TRINCULO: Qui non c’è né un cespuglioné un arbusto per difendersi da qualsivoglia tempo che facciae intanto si prepara un altro uragano:

l’odo già nel vento che fischia. Quella nuvola nera laggiùquella grossa nuvolasembra uno sporco otre che voglia versar giù il suo liquido. Se tuonasse come poc’anzinon so dove riparare il mio capo.

Quella nuvola laggiù non può se non lasciar cadere acqua a catinelle.

Ma che c’è qui? Un uomo o un pesce? Morto o vivo? Un pesce ha puzzo di pesceun puzzo stantìo e simile a quello di un pesce: una specie di baccalàma punto fresco. Curioso pesce! Se fossi in Inghilterracome c’ero tempo fae non avessi altro che un’insegna su cui questo pesce fosse dipintonon troverei imbecille che nei giorni festivi non fosse disposto a pagare una moneta d’argento. Laggiù questo mostro farebbe la fortuna di un uomo; già ogni strana bestia fa la fortuna di un uomolaggiù. Mentre non si darebbe un centesimo per soccorrere un mendicante zoppose ne spenderebbero dieci per vedere un Indiano morto. Ha le gambe come un uomo e le pinne fatte a mo’ di braccia! Main fede miaè caldo! E allora devo abbandonare la mia supposizione e non sostenerla più oltre. Non è un pesce: è un isolano che è stato or ora colpito a morte da un fulmine. (Tuona) Ahimèricomincia la tempesta! Il meglio che possa fare è ficcarmi sotto il suo gabbano:

non c’è qui intorno altro riparo. La disgrazia fa fare ad un uomo la conoscenza di strani compagni di letto. Mi riparerò qua finché non sia passata la tempesta.

 

(Entra STEFANOcon una bottiglia in manocantando)

STEFANO: Non andrò più al mareal marea terra io vuo’ morir…

E’ un’aria un po’ volgaruccia per cantarla a un funerale. Ma ho qui di che confortarmi. (Beve)

(Canta) Il padroneil mozzoio ed il nostromoil cannoniere e il serventes’amava la Rosala Ritala Rina e la Romolama di Càtera non ci curavam niente; perché aveva una lingua che picca; a un marinaio urlava: “T’impicca!”.

Di catrame e di pece l’era il gusto sgradito; ma un sarto poteva grattarla dove aveva prurito.

Suin mareragazzie costei a chi l’impicca!

Anche questa è un’aria un po’ volgaruccia. Ma ho qui di che confortarmi.

 

(Beve)

CALIBANO: Non mi tormentare! Ahi!

STEFANO: Che succede? Ci sono dei diavoli qui? Volete minchionarci con selvaggi e indianieh? Non sono scampato al naufragio per lasciarmi spaventare adesso dalle vostre quattro gambeperché fu detto anticamente: “Non c’è valentuomo che vada su quattro gambe che possa farlo arretrare d’un passo”e così sarà detto anche in avvenire finché Stefano respirerà dalle narici.

CALIBANO: Lo spirito mi tormenta. Ahi!

STEFANO: Questo è un qualche mostro dell’isola con quattro gambeal qualea mio parereha preso un accesso di febbre. Dove diavolo mai può avere imparata la nostra lingua? Non fosse che per questogli darò un po’ di soccorso. Se riesco a guarirloa tenermelo allo stato domestico e ad arrivare a Napoli con luiegli sarà un bel regalo per qualsivoglia imperatore che abbia mai poggiato il piede su cuoio di vitello.

CALIBANO: Per caritànon mi tormentare. Porterò più svelto la legna in casa.

STEFANO: Ora è in preda al suo accesso e non parla troppo assennatamente. Gli darò un assaggio della mia bottiglia. Se non ha mai bevuto vino per l’addietrocon ogni probabilità l’accesso non tarderà a passargli. Se posso guarirlo e tenermelo allo stato domesticonon prenderò per lui troppo alto prezzo; egli rifarà largamente le spese a chiunque lo abbia comprato.

CALIBANO: Tu mi fai poco male per ora; ma me ne farai di più fra poco.

Lo capisco dal tuo tremito. Ora Prospero agisce su di te.

STEFANO: Orsùvòltati e apri la bocca. Qui c’è di che farti parlaregatto. Apri la bocca: questo ti scuoterà di dosso lo scotimentote lo garantisco e completamente. Tu non sai distinguere chi ti è amico.

Apri ancora le mascelle.

TRINCULO: Dovrei conoscere questa voce. Dovrebbe essere… Ma noegli è annegatoe questi sono diavoli. O Dioaiutami.

STEFANO: Quattro gambe e due voci: un leggiadrissimo mostro! La sua voce davanti tiene a parlar bene del suo amico; quella di dietro tiene a dir brutte parole e a diffamare. Se tutto il vino della mia bottiglia potrà giovargliio lo guarirò del suo accesso. Viaora basta: ne voglio versare un po’ nell’altra tua bocca.

TRINCULO: Stefano!

STEFANO: L’altra tua bocca mi chiama per nome? Misericordia! Questo è il diavoloe non un mostro. Lo lascerò qui: non possiedo un cucchiaio dal manico lungo.

TRINCULO: Stefano! Se sei Stefanotoccami e parlamiperché io sono Trinculonon aver paurail tuo buon amico Trinculo.

STEFANO: Se sei Trinculovieni fuori. Ti tirerò per le gambe più corte… Se ci sono le gambe di Trinculonon possono essere che queste. Sei proprio Trinculo veramente! Come hai potuto diventare la seggetta di questo vitello lunare? Può egli mandar fuori dei Trinculi?

TRINCULO: Credevo che fosse stato colpito a morte dal fulmine. Ma non sei dunque annegatoStefano? Spero adesso che tu non sia annegato. E’ passata la tempesta? Per paura di essa mi son nascosto sotto il gabbano di questo vitello lunare morto. Ma tuStefanosei proprio vivo? O Stefanodue napoletani scampati!

STEFANO: Per carità non mi rigirare da tutte le parti. Ho lo stomaco sottosopra.

CALIBANO (a parte): Sono esseri assai bellise non sono spiriti.

Quello è un meraviglioso dio e ha con sé un liquore celestiale. Mi inginocchierò a lui.

STEFANO: Come ti sei salvato? Come sei arrivato qua? Giura su questa bottiglia di dirmi come sei arrivato qua (io mi son salvato su un fusto di vino di Spagna che i marinai avevano buttato a mare)giuralo su questa bottiglia che io ho fatta con le mie mani con la scorza di un albero dopo che fui gettato sulla spiaggia.

CALIBANO: Io voglio giurare su codesta bottiglia che sarò il tuo fedele sudditoperché il liquore non è di questa terra.

STEFANO: Orsùdi’ con un giuramento come ti sei salvato.

TRINCULO: Nuotaiamico miosino alla spiaggia come un’anatra. Posso giurare di saper nuotare come un’anatra.

STEFANO: Allora bacia il sacro libro. Quantunque tu sappia nuotare come un’anatrasei fatto come un’oca.

TRINCULO: Ne hai ancora dell’altroStefano?

STEFANO: Tutto il fustogiovanotto. La mia cantina è in una roccia preso la riva: ivi è nascosto il vino. Ebbenevitello lunarecome va il tuo accesso?

CALIBANO: Non sei tu caduto dal cielo?

STEFANO: Sìdalla luna; abbilo per certo. Nei tempi andati ero l’uomo della luna.

CALIBANO: E io ti ho visto in essae ti adoro. La mia padrona mi ti mostrò col tuo cane e col tuo fastello.

STEFANO: Orsùgiura su questo. Bacia il sacro libro. Io la riempirò di nuovo con altro liquido. Giura.

TRINCULO: Per questa vera luceè un assai sciocco mostro costui! E io avevo paura di lui! Un mostro fiacchissimo! L’uomo della luna! Un povero mostro credenzone! Una bella sorsatamostrosul mio onore!

CALIBANO: Ti mostrerò ogni angolo fertile dell’isola e ti bacerò il piede. Siite ne pregoil mio dio.

TRINCULO: Per la luce del giornoè un mostro assai perfido e ubriaco.

Quando il suo dio dormiràgli ruberà la bottiglia.

CALIBANO: Voglio baciare il tuo piedevoglio giurare di essere il tuo suddito.

STEFANO: Andiamodunque; mettiti giù e giura.

TRINCULO: Mi farà crepar dalle risa questo cucciolo di mostro: un vilissimo mostro. Sarei quasi tentato di picchiarlo…

STEFANO: Orsùbacia.

TRINCULO: Se non fosse che il povero mostro è ubriaco. Abominevole mostro!

CALIBANO: Ti mostrerò le più belle sorgentiti coglierò ogni sorta di bacchepescherò per te e ti procurerò quanta legna ti possa bastare.

E venga la peste al tiranno che io servo. Non gli porterò più fascinema seguirò teuomo meraviglioso.

TRINCULO (a parte): E’ un mostro assai ridicolose prende per un essere meraviglioso un semplice ubriacone.

CALIBANO: Lasciamiti condurreti pregodove crescono le mele selvatiche: ti scaverò con le mie lunghe unghie le castagne di terra; ti mostrerò il nido della ghiandaiati insegnerò come prendere al laccio l’agile bertuccia. Ti condurrò dove sono le nocciuole a mazzi e ti porterò qualche volta dalle rocce i giovani gabbiani. Vuoi venire con me?

STEFANO: Oraper piacerefacci strada senz’altre chiacchiere.

Trinculopoiché il re e tutti gli altri della nostra compagnia sono annegatinoi prenderemo possesso di questi luoghi. Orsùporta la mia bottiglia. Amico Trinculofra poco la riempiremo.

CALIBANO (cantando come un ubriaco):

Addiopadrone; addioaddio!

TRINCULO: Un urlone di mostro! Un mostro ubriaco!

CALIBANO: Non ho più da metter mano a peschierené andrò a far legna com’altri assegna; non lavar piattiraschiar tagliere:

banbanCalibanservo e padrone si muteran.

Allegriaallegria! La libertàla libertà! Allegria! La libertà!

STEFANO: Facci stradavaloroso mostro.

 

(Escono)

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA – Davanti alla grotta di Prospero

(Entra FERDINANDO portando un ceppo)

FERDINANDO: Vi sono dei divertimenti travagliosi ma il piacere che in essi si trovacompensa quella fatica. Alcune specie di bassi servigi possono essere eseguiti nobilmente e le più meschine occupazioni possono mirare ad alti scopi. Quest’umile compito che mi è impostosarebbe per me pesante non meno che odiosoma la signora che io servo vivifica ciò che è morto e fa della mia fatica un piacere. Oh! essa è dieci volte più gentile di quanto suo padre è bisbetico: egli è fatto di asprezza. Io devoper un severo ordinetrasportare alcune migliaia di questi ceppi e accatastarli. La mia gentile signora piange quando mi vede lavoraree dice che un così umile ufficio non fu mai eseguito da una persona mia pari. Ora io dimentico il mio compito; ma questi dolci pensieri son pure un sollievo al mio lavoro e quando in essi mi immergoquantunque sembri meno attivosono invece operosissimo.

 

(Entrano MIRANDAe PROSPERO a una certa distanzanon visto)

MIRANDA: Ahimèvi pregonon v’affaticate così duramente. Vorrei che il fulmine avesse incendiato codesti ceppi che vi è stato ordinato di accatastare! Ponete quidi graziaquello che portate e riposatevi:

quando esso bruceràpiangerà per avervi stancato. Mio padre è tutto immerso nello studio: riposatevi dunquevi prego; per tre ore ancora non c’è da aver paura di lui.

FERDINANDO: O mia diletta signorail sole sarà tramontato prima che io abbia compiuto ciò che mi sforzo di fare.

MIRANDA: Se vi mettete a sederemi caricherò io nel frattempo dei vostri ceppi. Datemiper piacerecodestoe lo porterò alla catasta.

FERDINANDO: Nopreziosa creaturavorrei che mi si spezzassero i tendiniche mi si rompesse la schienaprima che vi sottoponeste ad un così disonorevole lavoroe io me ne stessi a sedere senza far nulla.

MIRANDA: E’ un lavoro che s’addirebbe tanto a me quanto a voi; e io lo farei con maggior facilitàperché ci metterei tutto il mio buon volerementre voi lo fate a malincuore.

PROSPERO: Povera creaturasei presa dal contagio! L’essere venuta qua lo dice chiaro.

MIRANDA: Avete l’aria di essere stanco.

FERDINANDO: Nonobile signora. Se mi siete accantola sera per me è una fresca mattina. Ditemivi supplico qual è il vostro nomeperché io lo possa inserire nelle mie orazioni .

MIRANDA: Miranda. Ohpadre mioho trasgredito ai tuoi ordini per averlo detto!

FERDINANDO: Ammirabile Mirandail culmine dell’ammirazione pari a ciò che il mondo ha di più caro! Su parecchie gentildonne si è posato il mio occhio col più grande interessee più d’una volta l’armonia della loro voce ha soggiogato il mio troppo attento orecchio. Diverse donne mi son piaciute per differenti pregima non mai alcuna con sì pieno consenso dell’animache qualche difetto in lei non contrastasse con la più nobile grazia ch’essa possedeva e l’offuscasse. Ma voi… ohvoicosì perfetta e così impareggiabilesiete stata formata col meglio di ogni creatura!

MIRANDA: Non conosco alcun’altra del mio sessonon ricordo alcun viso di donnasalvo il mioche mi rimanda lo specchioe di quelli che posso chiamar uomininon ho visto che voimio buon amicoe il mio caro padre. Ignoro quali siano altrove le fattezze umane; ma per quella modestiache è il gioiello della mia dotenon vorrei al mondo altro compagno che voiperché la mia immaginazione non può creareall’infuori di voialtra forma che mi possa piacere. Ma io chiacchiero un po’ troppo da storditae dimenticoa questo propositogli avvertimenti di mio padre.

FERDINANDO: Di condizione io sono principeMirandacredoanzire – vorrei che così non fosse! – e non sopporterei questa servile onta di portar legnaquanto non tollererei che un moscone mi contaminasse le labbra. Ascoltate ciò che vi dico con tutta l’anima. Nel primo istante che vi ho vista il mio cuore è volato al vostro servizio e ivi è rimasto e ha fatto di me uno schiavo. Solo per amor vostro io sono questo paziente portatore di legna.

MIRANDA: Mi amate?

FERDINANDO: O cieloo terrasiate testimoni delle mie parole e coronate di un lieto esito ciò che io dichiarose io dico il vero; se parlo falsamentecambiate in male ciò che di meglio mi prepara l’avvenire. Vi amovi stimovi onoro oltre i limiti di qualsivoglia altra cosa che esista al mondo.

MIRANDA: Come sono sciocca a piangere di ciò di cui sono felice!

PROSPERO: Felice incontro di due rarissimi affetti! O cielopiovi la tua grazia su ciò che sta per sorgere fra loro!

FERDINANDO: Di che piangete?

MIRANDA: Della mia pochezza che non osa offrire ciò che io desidero di daree tanto meno accettare ciò per la cui mancanza morrei certamente. Ma che vale? Quanto più quel che sento cerca di nascondersitanto più esso mostra la sua immane grandezza. Bando dunque alla timida dissimulazionee ispirami tusemplice e santa innocenza! Son vostra moglie se mi volete sposarese nomorrò vostra ancella. Potete rifiutarmi come vostra compagna; mavogliate o nosarò la vostra serva.

FERDINANDO: La mia signoramia dilettaed io sempre a voi così sottomesso.

MIRANDA: Mio sposo dunque?

FERDINANDO: Sìe con un cuore così pieno di desiderioquanto non ne ebbe mai la schiavitù per la libertà. Eccovi la mia mano.

MIRANDA: Ed eccovi la mia con dentro il mio cuore. E ora a rivederci fra mezz’ora.

FERDINANDO: Mille e mille volte a rivederci!

 

(Escono Ferdinando e Miranda da parti diverse)

PROSPERO: Di questo io non posso esser così lieto come loroche ne son colti di sorpresa; tuttavia per niun’altra cosa la mia gioia potrebbe essere maggiore. Ma ora voglio tornare al mio libroperché prima di cena devo compiere alcune necessarie operazioni.

 

(Esce)

 

 

SCENA SECONDA – Un’altra parte dell’isola

(Entrano CALIBANOSTEFANO e TRINCULO)

STEFANO: Non mi dir più nulla. Quando il fusto sarà finito berremo acqua; ma primaneppure una goccia; perciò voltiamo il timone e abbordiamo il nemico. O servo-mostrobevi alla mia salute.

TRINCULO: Servo-mostro! bevi alla pazzia di quest’isola! Si dice che su quest’isola non siamo che in cinque. Tre siamo noi; se gli altri due hanno il cervello come il nostrolo Stato non sta saldo.

STEFANO: Beviservo-mostroquando io te l’ordino. I tuoi occhi sono mezzi chiusi nella tua testa.

TRINCULO: In quale altro luogo dovrebbero chiudersi? Sarebbe davvero un bel mostro se essi fossero mezzi chiusi sulla sua coda!

STEFANO: La lingua del mio uomo-mostro si è annegata nel vin di Spagna. Per mio conto non può farmi annegare il mare. Ho nuotatoprima di poter raggiungere la spiaggiatrentacinque leghe al largo e verso terra. Come è vera questa lucetu sarai il mio luogotenentemostrooppure reggerai la mia insegna.

TRINCULO: Tuo luogotenentefinché vuoima egli non è in grado di regger neppure se stesso.

STEFANO: Non dovrem mica darci alla fugasignor Mostro.

TRINCULO: E neppure marciare: vi dilungherete in terra come cani e non direte tuttavia una parola.

STEFANO: O vitello lunareparla una buona voltase sei un buon vitello lunare.

CALIBANO: Come sta Tua Signoria? Lasciami leccar la tua scarpa. Lui non lo voglio servirenon è valoroso.

TRINCULO: Tu mentisciignorantissimo mostro; io sono in grado di tener testa a un caporale. Orsùpesce crapuloneè stato mai vile un uomo che abbia bevuto vino di Spagna quanto ne ho bevuto oggi io? Puoi tu dire una bugia così mostruosaquando non sei che per metà pesce e per metà mostro?

CALIBANO: Senti come si burla di me! E tu lo lasci diremio sovrano?

TRINCULO: Ha detto “sovrano”. E’ possibile che un mostro sia così idiota?

CALIBANO: Sentilosentilo ancora. Mordilo a sanguete ne prego.

STEFANO: Trinculonon ti lasciar sfuggir di bocca brutte parole. Se vuoi fare il ribellebada che al prossimo albero… Il povero mostro è mio suddito e non deve patire insulti.

CALIBANO: Ti ringraziomio nobile sovrano. Vuoi degnarti di ascoltare ancora una volta la supplica che ti ho rivolto?

STEFANO: Sìcertamente: inginocchiati e ripetila. Io starò in piedi e così anche Trinculo.

 

(Entra ARIELEinvisibile)

CALIBANO: Come già ti ho dettoio sono soggetto a un tirannoa uno stregone che con la sua astuzia mi ha defraudato dell’isola.

ARIELE: Mentisci.

CALIBANO: Mentisci tuscimmia buffona. Vorrei che il mio valoroso padrone ti ammazzasse. Io non mentisco.

STEFANO: Trinculose tu lo interrompi ancora nel suo raccontoper questa manoti faccio saltar via qualche dente.

TRINCULO: Ma se non ho detto nulla!

STEFANO: Zitto dunquee basta! Va’ avanti.

CALIBANO: Dunque con la sua stregoneria s’è presa questa isolae l’ha presa a me. Se l’Eccellenza Tua volesse punirlo per questo fatto… io so che tu hai coraggiomentre questo coso non ne ha…

STEFANO: Questo è fuor di dubbio.

CALIBANO: …diventeresti il signore dell’isola ed io ti servirei.

STEFANO: E come si potrà ciò mandare ad effetto? Puoi tu condurmi da questo tale?

CALIBANO: Certocertomio sovrano. Te lo consegnerò addormentatoe allora potrai conficcargli un chiodo in testa.

ARIELE: Mentisci: non puoi.

CALIBANO: Che razza d’arlecchino è costui! Volgarissimo buffone! Prego l’Eccellenza Tua di assestargli un buon colpo e di togliergli la bottiglia. Quando essa non ci sarà piùegli non berrà altro che acqua salataperché io non gli mostrerò dove sono le vive sorgenti di acqua dolce.

STEFANO: Trinculoevita guai maggiori. Interrompi anche una sola parola del mostro oper questa manometto alla porta la clemenza e faccio di te uno stoccafisso.

TRINCULO: Ma che cosa ho fatto? Non ho fatto nulla. Me ne andrò più lontano.

STEFANO: Non hai detto che egli mentiva?

ARIELE: Sei tu che mentisci.

STEFANO: Io mentisco? Piglia questo. (Picchia Trinculo) E se ci hai gusto smentiscimi un’altra volta.

TRINCULO: Io non ho smentito nessuno. Hai perduto il cervello e anche l’udito? Accidenti alla tua bottiglia! Ecco che cosa può produrre il vin di Spagna e il bere. Venga un canchero al tuo mostro e il diavolo ti porti via le dita.

CALIBANO: Ahahah!

STEFANO: Ora va’ avanti col tuo racconto. Fammi il piacere di star più discosto.

CALIBANO: Picchialo ben bene. Fra poco lo picchierò anch’io.

STEFANO: Sta’ più discosto. Suva’ avanti.

CALIBANO: Ebbenecome ti dicevoegli ha l’abitudine di dormire nel pomeriggio. Allora tu puoi fargli schizzar le cervellaessendoti prima impossessato dei suoi librio schiacciargli il cranio con un ceppo o squarciargli il ventre con un palo o recidergli il gargarozzo col tuo coltello. Ma ricordati di impadronirti prima dei suoi libriperché senza di essi egli è un pover’uomo come son io e non ha più alcuno spirito al suo comando. Essi tutti lo odiano non meno profondamente di me. Non bruciar però che i suoi libri. Egli ha belle masserizie – così le chiama – con le quali può arredare la casa quando ne abbia una. Ma ciò che bisogna soprattutto tener presente è la bellezza della sua figliuola. Egli stesso la dice senza eguale. Io non ho mai visto donne all’infuori di Sicorace che m’ha messo al mondo e di lei; ma essa supera tanto Sicorace quanto il massimo supera il minimo.

STEFANO: E’ dunque una così bella ragazza?

CALIBANO: Sìmio sovrano; essa è ben degna del tuo lettote lo garantiscoe ti darà una bella figliolanza.

STEFANO: Ammazzerò codest’uomoo mostro. Sua figlia ed io saremo il re e la regina. Dio protegga le Nostre Maestà! – e tu e Trinculo sarete i viceré. Ti piace il progettoTrinculo?

TRINCULO: Eccellente.

STEFANO: Dammi la mano. Mi dispiace d’averti picchiatoma finché vivi non ti lasciar uscir di bocca brutte parole.

CALIBANO: Da qui a mezz’ora sarà addormentato. Vuoi spacciarloallora?

STEFANO: Sìsull’onor mio.

ARIELE: Riferirò tutto al mio padrone.

CALIBANO: Tu mi riempi di gioia. Sono veramente contento. Ora stiamo allegri. Volete cantare a turno quello strambotto che m’avete insegnato or non è molto?

STEFANO: A tua richiestamostrofarò qualunque cosa che sia ragionevolequalunque cosa. SuTrinculocantiamo:

(Canta) Fa’ lor beffe e sberleffefa’ lor beffe e sberleffe; il pensiero è libero.

CALIBANO: Codesta non è l’aria.

 

(Ariele suona l’aria su un tamburino e uno zufolo)

STEFANO: Che cosa è questo?

TRINCULO: E’ l’aria del nostro strambotto suonata dal ritratto di Nessuno.

STEFANO: Se sei un uomomostrati sotto la tua forma. Se sei il diavolopigliala come ti pare.

TRINCULO: Ohperdonami tutti i miei peccati!

STEFANO: Chi muore paga tutti i suoi debiti. Io ti sfido! Pietà di noi!

CALIBANO: Hai paura?

STEFANO: Io nomostro.

CALIBANO: Non aver paura. L’isola è piena di cantidi suoni e di dolci melodie che dilettano e non fanno male. Qualche volta mi ronzano nelle orecchie migliaia di strumenti pizzicati e qualche volta delle vocichese anche mi sono allora allora svegliato da un lungo sonnomi fanno addormentar di nuovo. Allora nel sogno mi pare che le nubi si aprano e mi mostrino dei tesori pronti a rovesciarsi su di mein maniera che quando mi svegliopiango per voler sognare di nuovo.

STEFANO: Sarà questo per me un bel regnonel quale potrò avere la mia musica per niente.

CALIBANO: Quando sarà tolto di mezzo Prospero.

STEFANO: Questo avverrà fra poco. Non ho scordato il tuo racconto.

TRINCULO: Il suono s’allontana. Seguiamoloe poi ci metteremo all’opera.

STEFANO: Va’ avantimostro: noi ti seguiremo. Vorrei pur vedere questo suonatore di tamburino: egli lo batte vigorosamente.

TRINCULO (a Calibano): Vuoi venire? Io seguo Stefano.

 

(Escono)

 

 

SCENA TERZA – Un’altra parte dell’isola

(Entrano ALONSOSEBASTIANOANTONIO GONZALOADRIANOFRANCESCO ed altri)

GONZALO: Vergine santanon posso più andare avantisignore! Le mie vecchie ossa mi dolgono. Questo è un labirinto percorso da sentieri diritti e da meandri. Col vostro permesso ho bisogno di riposarmi.

ALONSO: Vecchio gentiluomonon ti posso rimproverareperché io stesso mi sento preso da tale stanchezza che i miei spiriti ne sono illanguiditi. Sediamoci e riposiamo. Qui abbandonerò la mia speranza e non la terrò più per mia adulatrice. Colui del quale andiamo in tracciaerrando a questo modoè annegatoe il mare irride alle nostre vane ricerche sulla terraferma. Ebbenenon ne parliamo più!

ANTONIO (a parte a Sebastiano): Sono assai contento che non abbia più alcuna speranza. Non vogliate per un contrattempo rinunziare al proposito che avete deciso di mandare ad effetto.

SEBASTIANO (a parte ad Antonio): Coglieremo pienamente la prossima occasione.

ANTONIO (a parte a Sebastiano): Allora sia per questa notte; perchéspossati come sono ora dal camminonon saranno e non potranno essere così vigilicome quando son riposati.

SEBASTIANO (a parte ad Antonio): Stanotte dunque. E ora basta.

 

(Musica strana e solenne. Entra PROSPERO in altoinvisibile)

ALONSO: Che armonia è questa? Ascoltatemiei buoni amici!

GONZALO: Meravigliosa e soave musica!

 

(Entrano parecchie strane Apparizioni che portano una tavola con un rinfresco e danzano intorno ad essa con gentili atti di saluto. Dopo aver invitato il re e gli altri a mangiarespariscono)

ALONSO: Metticio cielosotto una benevola custodia! Chi erano coloro?

SEBASTIANO: Fantocci animati. Ora son disposto a credere che vi siano gli unicorni; che in Arabia vi sia un solo alberoil trono della Fenicee che una sola Fenice regni ora colà.

ANTONIO: Son disposto a credere all’una cosa e all’altrae se un’altra ce n’è che non trovi creditovenga pure da me e giurerò che essa è vera. I viaggiatori non hanno mai mentitoquantunque in patria gli stupidi li screditino.

GONZALO: Se riferissi a Napoli ciò che ho veduto orami si presterebbe fede? Mi si presterebbe fede se dicessi che ho veduto degli isolani – perché certo costoro sono abitanti dell’isola – tali chepur avendo un’apparenza mostruosasonosi noti benedi maniere così cortesiquali non si possono trovare che in pochianzi in nessuno della nostra specie?

PROSPERO (a parte): Onesto gentiluomohai ben parlato; perché alcuni di voi qui presenti son peggio che diavoli.

ALONSO: Non finisco di meravigliarmi di simili apparizionidi simili gesti e di simili suoni che esprimonononostante che quelli non abbiano l’uso della parolauna specie di eccellente discorso muto.

PROSPERO (a parte): Serba le lodi alla fine.

FRANCESCA: Esse sono svanite stranamente.

SEBASTIANO: Non importadal momento che si son lasciate dietro le vivande; e noi abbiamo appetito. Volete assaggiare quello che c’è?

ALONSO: Io no.

GONZALO: In fede miasignorenon dovete aver paura. Quando eravamo fanciullichi avrebbe creduto che ci fossero dei montanari con giogaie come i toridalle cui gole pendevano delle bisacce di carne?

o che ci fossero degli uomini con la testa situata nel petto? Di tutte queste cose noi troviamo buone testimonianze in qualunque viaggiatore assicurato al cinque per uno.

ALONSO: Mi decido a mangiare anche se fosse questa l’ultima volta. Non m’importa più di nulla dal momento che il meglio della mia vita è passato. Fratelloduca mio signoredecidetevi e fate come noi.

 

(Tuoni e lampi. Entra ARIELEsotto forma di arpiasbatte le ali sulla tavolae con un ingegnoso artificio tutto il rinfresco sparisce)

ARIELE: Voi siete tre peccatori che il Destinoche ha per suo strumento questo basso mondo e tutto ciò che è in essoha fatto vomitare dal sempre insaziato mare su quest’isola dove non abita un uomopoiché siete indegni di vivere tra uomini. Io ho sconvolto le vostre mentied anche con un valore pari al vostro gli uomini s’impiccano e s’annegano da loro stessi. (AlonsoSebastiano eccetera cavano le spade) Stolti che siete! Io ed i miei seguaci siamo ministri del Fato. Gli elementi di cui son temprate le vostre spade posson tanto ferire gli impetuosi venti e uccidere con risibili colpi le onde che sempre si richiudonoquanto togliere anche un po’ di lanugine che sia sotto le mie penne. I ministri miei seguaci sono invulnerabili al pari di me. Anche se poteste far del malele vostre spade sono ora troppo pesanti per le vostre forze e non potranno volgersi in alto.

Ricordatevi però – poiché questo è il mio compito presso di voiche voi tre cacciaste da Milano il buon Prosperolasciaste in balla del mareche vi ha poi ripagatolui e la sua innocente bambina. Per quella malvagia azionele soprannaturali potenzeche differiscono ma non dimenticanohanno suscitato contro la vostra pace i marile spiaggetutti gli esseri viventi. TeAlonsohanno orbato del figlioe annunziano a voi per mio mezzo che una lenta rovinapeggiore di quanto può essere una morte improvvisaattende ad ogni passo e voi e il vostro andare. Per guardarvi dalla loro irache diversamente piomberàin questa tristissima isolasulle vostre testenon c’è altro rimedio che un sincero pentimento e una conseguente purezza di vita.

 

(Un tuono ed Ariele scompare; poial suono di una musicaritornano le Apparizioni e ballanofacendo lazzi e smorfie e portando via la tavola)

PROSPERO: Hai veramente bene rappresentata la parte di questa arpia o mio Ariele: essa aveva una certa grazia anche quando divorava il rinfresco. Non hai trascurato nulla delle mie istruzioni intorno a ciò che dovevi dire: così anche i miei minori ministri hanno rappresentato con grande naturalezza e con raro impegno le loro differenti parti. I miei alti incantesimi producono il loro effettoe questi miei nemici son tutti impigliati nella loro demenza. Essi son ora in mio potere e io li lascio a questi attacchi di pazzia mentre vo a trovare il giovane Ferdinandoche essi credono annegatoe la sua e mia diletta.

 

(Esce dall’alto)

GONZALO: In nome di tutto ciò che è sacroo mio signoreperché son così stralunati i vostri occhi?

ALONSO: Ohè orribileè orribile! Mi è parso che le onde abbian parlato e mi abbian ripetuto il fatto; che me lo abbia fischiato il ventoe che il tuonoquesta profonda e spaventosa voce di organoabbia pronunciato il nome di Prospero: a mo’ di ritornello proclamava il mio delitto. Mio figlio giace dunque su un letto di melma: io lo cercherò più giù di quanto mai giunse lo scandaglio e giacerò in quel fango insieme con lui.

 

(Esce)

SEBASTIANO: Vengano pure i diavolipurché uno alla voltaed io sconfiggerò tutte le loro legioni.

ANTONIO: Ed io sarò il tuo secondo.

 

(Escono Sebastiano ed Antonio)

GONZALO: Son fuor di senno tutti e tre: il senso della loro grande colpevolezzacome un veleno somministrato per agire molto tempo dopocomincia ora a mordere le loro coscienze. Andate lor dietro prontamenteve ne scongiurovoi che siete di membra più agilie tratteneteli dal mettere in opera ciò a cui li spinge questa esaltazione.

ADRIANO: Seguitemivi prego.

 

(Escono)

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA – Davanti alla grotta di Prospero

(Entrano PROSPEROFERDINANDO e MIRANDA)

PROSPERO: Se vi ho troppo duramente punitone fa ammenda il premio che avete avutoperché io vi ho dato la terza parte della mia vitaossia tutto ciò per cui io vivo. Ancora una volta l’affido alle tue mani. Tutto ciò che hai sofferto non erano che cimenti a cui sottoponevo il tuo amoree tu hai magnificamente sostenuta la prova.

Ora qui dinanzi al cielo ratifico il mio ricco dono. O Ferdinandonon sorridere di me che così di lei mi vantoperché troverai che essa sorpassa tutte le lodi e le fa zoppicare dietro a lei.

FERDINANDO: Lo credoanche se un oracolo mi dicesse il contrario.

PROSPERO: Prenditi dunque mia figlia come un mio dono e un acquisto che ti sei degnamente da te procurato. Ma se spezzi il nodo verginale prima che siano compiute le sacre cerimonie in piena conformità coi santi ritinessuna dolce aspersione verrà giù dai cieli per far diventar rigogliosi questi sponsalima lo sterile Odiol’Avversione dagli occhi torvi e la Discordia cospargeranno il letto della vostra unione di erbacce così nauseantiche entrambi lo odierete. Perciò badate che vi rischiarino le faci d’Imene.

FERDINANDO: Com’è certo ch’io spero giorni tranquillibella prole e lunga vita accompagnata dallo stesso amore di oral’antro più oscuroil luogo più opportunola tentazione più forte di cui sia capace il nostro più malefico genionon potranno mai sciogliere il mio onorevole affetto in lussuriasì da togliere il filo alla celebrazione di quel giornonel quale io penserò che i cavalli di Febo siano azzoppati e che la notte sia trattenuta quaggiù incatenata.

PROSPERO: Ben detto. Siediti e conversa con lei: essa è oramai tua.

OlàAriele! mio solerte servoAriele!

 

(Entra ARIELE)

ARIELE: Che vuole il mio potente padrone? Son qua.

PROSPERO: Tu e i tuoi minori compagni avete degnamente eseguito il vostro ultimo incaricoma vi devo adoperare in un altro simile stratagemma. Va’ e conduci qui tutta la masnada che ho messo sotto la tua potestàe incitala a muoversi prestamente. Devo offrire agli sguardi di questi due giovani una qualche illusione della mia arteed essi l’aspettano da me.

ARIELE: Subito?

PROSPERO: Sìin un batter d’occhio.

ARIELE: Pria che dir possiate “Ve'”o trar fiato due volte o treognun danzando in punta di piècon smorfie e lezi qui già è.

Mi volete benepadroneeh?

PROSPERO: Di tutto cuoremio grazioso Ariele. Ma non ritornarefinché non ti sentirai chiamare.

ARIELE: Va beneho capito.

 

(Esce)

PROSPERO: Bada di esser leale. Non allentar troppo la briglia alle affettuose manifestazioni. I più forti giuramenti sono un po’ di paglia per il fuoco che è nel sangue. Siate più astinente; se nobuona notte al vostro voto!

FERDINANDO: State sicuro: la biancafreddaintatta neve che è sul mio cuorespegne ogni ardore del mio fegato.

PROSPERO: Bene. E ora vienimio Ariele. Conduci qualche spirito in soprannumeropiuttosto che ne debba mancare qualcuno. Apparite e subito! Siate senza voce e tutt’occhi! Silenzio. (Una dolce musica)

 

(Entra IRIDE)

IRIDE: Cererebuona deagli opimi campi di gransegala. vecciaorzo ed avenagli erbosi monti ove brucano i greggie i prati onusti delle altrici biade; gli argini ai bordi resecati in solchi che infiora al cenno tuo l’umido Aprileper far caste corone a fredde ninfee gli scopetila cui ombra è cara al respinto garzon; la vigna a’ pali avvoltae l’aspra e sterile marinaove all’aria ti bèil’alta regina di cui son l’umido arco e messaggeraa lasciarli t’invitae con sua grazia a prendere diporto in questo prato.

Volano i suoi pavoni a questa voltaCererevieni che da te sia accolta.

 

(Entra CERERE)

CERERE: Salveo multicolore messaggerache alla sposa di Giove ognor sei ligia; tu che dall’ali crocee su’ miei fiori mellee rugiade e fresche piogge versie co’ capi dell’arco azzurro cingi i miei boschivi prati e i colli ignudiricco serto alla mia superba terra; perché la tua regina m’ha chiamata alla corta erba di codesto prato?

IRIDE: Per celebrare un patto d’amor veroe dispensar liberamente un dono ai fortunati amanti.

CERERE: Arco celestedimmiché saise Venere o suo figlio seguitin la regina? dal giorno che ordiron come il tenebroso Dite mi rapisse la figliaho rinnegato la scandalosa compagnia del cieco suo pargolo e di lei.

IRIDE: Non aver tema di trovarla: incontrato ho quella dea che col figlio fendea le nubia Pafo tratta dalle colombe. Essi credevano d’aver oprato una malia lasciva sul garzone e la verginche han promessodi non compier del talamo alcun rito prima che Imen la face accenda: invano!

Di Marte ita se n’è la calda druda e il vespigno suo figlio ha rotto i dardie giura di non trarne più; co’ passeri giocheràcome un semplice ragazzo.

CERERE: L’eccelsa maestàla gran Giunone vienel’incender suo ben riconosco.

 

(Entra GIUNONE)

GIUNONE: Come sta l’alma mia sorella? Vieni a benedir la coppiasicché prosperi ed onorata sia nella sua prole.

(Canta) Nozze lieteonordoviziaprocrear che nulla viziagioia i dì rechin ciascunotale augurio canta Giuno.

CERERE: Ricche messicampi amenigranai e madie sempre pieni; vigne ov’è ‘l grappolo obesorami curvi di buon pesoprimavera mostri il volto alla fine del raccolto!

Lungi inopia e carestia:

Cerer quest’augurio invia.

FERDINANDO: Una grandiosa visione è questa e magicamente armoniosa.

Posso avventurarmi a credere che costoro siano spiriti?

PROSPERO: Spiriti che io con la mia arte ho evocato dalle loro dimore per rappresentare queste mie fantasie.

FERDINANDO: Possa io vivere sempre qua! Un padre così raro prodigioso e saggiofa di questo luogo un paradiso.

 

(Giunone e Cerere parlano sommessamente e mandano Iride a eseguire un ordine)

PROSPERO: Silenzio oramio caro. Giunone e Cerere parlottano con grande serietà. C’è ancora dell’altro da fare. Zitti e chetialtrimenti l’incanto è rotto.

IRIDE: Ninfe de’ tortuosi riviNaiadi nomatevoi che avete occhi innocenti ed il crine di giunchi redimitolasciate gl’increspati alveied a questo verde suolo recatevi all’appello.

Giuno lo vuolvenitecaste ninfea celebrare d’amor vero un patto date aita: il venir vostro sia ratto.

 

(Compariscono alcune Ninfe)

Voi bruni falciatori dall’agosto spossativia dai solchie siate allegri!

fate festa; il cappel di paglia in capociascuno con le fresche ninfe intrecci i balli villerecci.

 

(Compariscono alcuni Mietitori vestiti come si richiede. Fan coppia con le Ninfe in una graziosa danzaverso la fine della quale Prospero ha un improvviso sussulto e parla. Dopo di chetra uno stranoconfuso e cupo rumoregli Spiriti si dileguano melanconicamente)

PROSPERO (a parte): Avevo dimenticato il turpe complotto del bestiale Calibano e dei suoi complici contro la mia vita. E’ quasi giunto il momento dell’esecuzione del loro disegno. (Agli Spiriti) Bravi!

Andatevene. Basta.

FERDINANDO: E’ strano. Tuo padre è in preda a un’agitazione che lo scuote fortemente.

MIRANDA: Non l’ho mai visto fino ad ora invaso da una collera così violenta.

PROSPERO: Mi parefiglio mioche voi siate in un tale stato di emozione come se foste sbigottito. State di buon animomessere. I nostri svaghi sono finiti. Questi nostri attoricome già vi ho dettoerano tutti degli spiritie si sono dissolti in ariain aria sottile. Cosìcome il non fondato edifizio di questa visionesi dissolveranno le torrile cui cime toccano le nubii sontuosi palazzii solenni templilo stesso immenso globo e tutto ciò che esso contieneeal pari di questo incorporeo spettacolo svanitonon lasceranno dietro di sé la più piccola traccia. Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sognie la nostra breve vita è circondata da un sonno. Io sono agitatosignore – tollerate questa mia debolezza – il mio vecchio cervello è turbato. Non vi prendete pena di questa mia infermità. Se voleteritiratevi nella mia grotta e quivi riposate. Io farò uno o due giri per acquetare il mio spirito commosso.

FERDINANDO e MIRANDA: Vi auguriamo di riacquistar la calma.

PROSPERO: Vieni presto come il pensiero. Ti ringrazioAriele vieni.

 

(Rientra ARIELE)

ARIELE: Son sempre attaccato ai tuoi pensieri. Che desideri?

PROSPERO: Ci dobbiamoo spiritopreparare ad affrontare Calibano.

ARIELE: Simio padrone. Quando rappresentavo la parte di Cererepensavo di doverti parlar di ciòma temevo di farti andare in collera.

PROSPERO: Ripetimi dove hai lasciato quei ribaldi.

ARIELE: Vi ho dettosignoreche erano rosso-accesi dal bere e così pieni di baldanza che percuotevano l’ariaperché spirava loro sul visoe picchiavano il suoloperché baciava i loro piedi; tuttavia avevano sempre il pensiero rivolto al loro disegno. Allora battei il mio tamburelloe a quel suonocome non domati puledriessi rizzarono le orecchielevarono in su gli occhi e alzarono i nasi come se fiutassero la musica. Affascinai talmente le loro orecchieche seguironocome vitelliil mio mugghioattraverso irti rovipuntute ginestrepungenti scope e pruni che entravano nei loro deboli stinchi. Alla fine li lasciai in quello stagno coperto di fangosa schiuma che è al di là della tua grottaed essi ballavano immersi sino al mentoin maniera che il lercio lago puzzava più dei loro piedi.

PROSPERO: Hai fatto beneuccellino mio. Conserva ancora la tua forma invisibile. Va’ a prendere a casa ogni vistosa cianfrusaglia e portala qua come richiamo per acchiappar questi ladri.

ARIELE: Vado subito.

 

(Esce)

PROSPERO: Un diavoloun diavolo natosulla cui natura l’educazione non può mai aver presaper il quale le pene che mi sono umanamente dato sono tutte perdutecompletamente perdute. A misura che il suo corpo diventa più brutto con l’etàil suo animo si corrompe sempre di più. Li tormenterò tutti sino a farli ruggire.

 

(Rientra ARIELE carico di abiti luccicantieccetera)

Vieniappendili a questo tiglio.

 

(Prospero e Ariele rimangono invisibili. Entrano CALIBANOSTEFANO e TRINCULOtutti bagnati)

CALIBANO: Camminate pianoper caritàin maniera che la cieca talpa non possa udire un passo Siamo vicini alla sua grotta.

STEFANO: Mostrola tua fata che tu dici essere una fata innocuasi è comportata con noi come un furfante.

TRINCULO: Io puzzo tutto di piscio di cavallomostroe di ciò il mio naso è grandemente indignato.

STEFANO: E così pure il mio. Hai intesomostro? Bada bene che se mi adirassi contro di te…

TRINCULO: Saresti un mostro perduto.

CALIBANO: Mio buon sovranoconcedimi ancora la tua fiducia. Abbi un po’ di pazienzapoiché il premio che son vicino a farti ottenereeclisserà questa disavventura. Perciò parla piano. Tutto è qui silenzio come se fosse già la mezzanotte.

TRINCULO: Giàma aver perduto le nostre bottiglie nello stagno…

STEFANO: Non è soltanto una disgrazia e un’ignominiamostroma una perdita inestimabile.

TRINCULO: Per me conta assai più dell’esserrni bagnato. E questa è la tua innocua fatamostro.

STEFANO: Voglio andare a ripescar la mia bottigliaanche se per la fatica dovessi averne fin sopra le orecchie.

CALIBANO: Calmatio mio rete ne prego. Guardaquesta è l’entrata della grotta. Entra senza far rumore. Compi il bel delitto che può render tua per sempre quest’isola e far per sempre di medel tuo Calibanoil tuo leccapiedi.

STEFANO: Dammi la mano. Comincio ad avere pensieri sanguinari.

TRINCULO: O re Stefanoo pario degno Stefanomira che guardaroba c’è qui per te.

CALIBANO: Lascialo starestupido: è tutto ciarpame.

TRINCULO: Va’ viamostro. Noi sappiamo ben distinguere ciò che si può trovare da un rigattiere. O re Stefano!

STEFANO: Metti giù quella cappaTrinculo. Per questa manoquella cappa la voglio io.

TRINCULO: Tua Maestà l’avrà.

CALIBANO: Che quest’imbecille possa annegare nella sua idropisia! Che razza d’idea è quella di smaniar tanto per questo bagagliume? Andiamo avantie compiamo prima il delitto. Se egli si svegliacoprirà la nostra pelledal tallone alla testadi pizzichici concerà per le feste.

STEFANO: Non agitarti tantomostro. Signor tiglionon è mia questa giacca? Ora la giacca è sotto il tiglio. Sicchéo giaccase t’indosso mi renderai la carne tigliosa.

TRINCULO: Giàgiàgià; noi rubiamocolla licenza di Vostra Maestàtigli e stigli.

STEFANO: Grazie per questo motto spiritoso. Eccoti in ricompensa un vestito. Finché io son re di quest’isolalo spirito non sarà mai senza premio. Rubare tigli e stigli è una facezia bene imbroccata.

Eccoti in ricompensa ancora un altro vestito.

TRINCULO: Viamostromettiti un po’ di vischio sulle dita e va via col resto.

CALIBANO: Non me lo metterò. Stiamo perdendo tempo e saremo cambiati in bernade o in scimmie dalla fronte turpemente bassa.

STEFANO: Allunga la manomostro. Aiutami a portar tutto ciò dove è il mio fusto di vino: altrimenti ti scaccio dal mio regno. Animoporta via questo.

TRINCULO: E questo.

STEFANO: Sìanche questo.

 

(Rumore di cacciatori. Entrano diversi Spiriti in forma di bracchi e si avventano contro di essimentre Prospero e Ariele li aizzano)

PROSPERO: DàgliMontagnadàgli!

ARIELE: BravoArgentobravo!

PROSPERO: LàFuria! LàTiranno! Attenti! Attenti! (CalibanoStefano e Trinculo son spinti fuori) Suordina ai folletti che torcano loro le giunture con secche convulsioniche facciano contrarre i loro muscoli coi crampi della vecchiaiachea furia di pizzichili rendan più maculati del leopardo o della pantera.

ARIELE: Senti come urlano.

PROSPERO: Falli tartassare a buono. Ora i miei nemici sono tutti in mio potere. Fra breve avran fine tutte le mie fatichee tu sarai libero signore dell’aria. Obbediscimi e servimi ancora per un altro poco.

 

(Escono)

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA – Davanti alla grotta di Prospero

(Entrano PROSPERO nel suo abito di mago e ARIELE)

PROSPERO: Ora sto per venire a capo del mio disegno. Non è possibile rompere i miei incantesimi. Gli spiriti mi obbediscono e il Tempo cammina a testa alta pur sotto il suo carico. A che punto è il giorno?

ARIELE: Son circa le seil’ora in cuimio signorediceste che l’opera nostra sarebbe compiuta.

PROSPERO: Così dissi infatti appena suscitai la tempesta. Dimmio mio spiritocome si trovano il re e il suo seguito?

ARIELE: Isolati in un gruppo a quel modo che mi avete ordinatoprecisamente come li avete lasciati: tutti prigionierisignorenel boschetto di tigli che protegge dalle intemperie la vostra grotta. Non possono muoversi finché voi non li liberiate. Il resuo fratello ed il vostrocontinuano tutti e tre nel loro smarrimento mentre gli altri li compiangono pieni di dolore e di timorespecialmente colui che voi avete chiamato “il buon vecchio gentiluomo Gonzalo”. Le lacrime gli scendono lungo la barbacome le gocce dell’inverno da un tetto di stoppia. I vostri incantesimi han così fortemente operato su lorochese ora li vedestesentireste intenerirsi il vostro cuore.

PROSPERO: Così tu credio spirito?

ARIELE: Il mio cuore s’intenerirebbese io fossi un uomo.

PROSPERO: E s’intenerirà anche il mio. Dovrai tuche non sei che ariaesser sensibile e commuoverti alle loro peneed ioche sono della loro stessa specieche sento ogni emozione così intensamente come loronon mi commoverò più naturalmente di te? Benché colpito al vivo dalle loro gravi offesemi metterò tuttavia dalla parte della ragioneche è più nobilecontro il mio sdegno. Nel perdonoanziché nella vendettaè l’atto più bello. Poiché essi sono pentitii termini del mio disegno non devono spostarsi più in là d’un aggrottar di ciglia. Va’ a liberarliAriele. Spezzerò i miei incantesimirenderò loro il senno e ritorneranno a essere se stessi.

ARIELE: Vo’ a cercarlisignore.

 

(Esce)

PROSPERO: Voio folletti delle collinedei ruscellidegli immobili laghi e dei boschi; e voiche sulle sabbiecoi piedi che non lasciano ormainseguite Nettuno che si ritira e gli sfuggite allorché rifluisce; voignomiche al lume di luna formate quei circoletti di erba agra che la pecora non bruca; e voiil cui divertimento è di far crescere i funghi di mezzanotte; e voiche vi rallegrate a sentire il solenne rintocco del coprifuoco; col vostro aiuto – per quanto siate debolise abbandonati a voi stessi – io ho offuscato il sole meridianoeccitato i venti ribellisuscitato tra il verde mare e l’azzurra volta una ruggente guerradato fuoco al terribile strepitoso tuonospaccato la robusta quercia di Giove con lo stesso fulmine di luiscosso il promontorio dalla sua solida basedivelto il pino ed il cedro dalle radici. Ad un mio ordinele tombe hanno svegliato coloro che vi dormivanosi sono aperte e li hanno lasciati uscire per virtù della mia arte tanto possente. Ma ora io la rinnegoquesta rozza arte magicae quando le avrò domandatocome appunto fo orauna musica celestiale per raggiungere il mio scopo agendo sui sensi di costoro ai quali è destinato questo aereo incantoio spezzerò la mia vergala seppellirò parecchie tese sotterra e affonderò nel mare il mio libro molto più giù di quanto sia sceso mai lo scandaglio. (Una musica solenne)

 

(Rientra ARIELEpoi ALONSO che gesticola come un freneticoseguito da GONZALO: poi nelle stesse condizioni SEBASTIANO e ANTONIO seguiti da ADRIANO e FRANCESCO. Tutti entrano nel circolo magico che Prospero ha tracciato e quivi restano immoti per l’incanto. Prosperoosservandoliseguita a parlare)

Una musica solennela migliore confortatrice di una sconvolta immaginazionepossa guarire il tuo cervelloora inutile tumore entro il tuo cranio. Restate fermi costàperché vi trattiene un incantesimo. O giusto Gonzalouomo onorandoi miei occhipronti a rispondere a ogni manifestazione dei tuoilasciano cader giù lacrime di simpatia. L’incantesimo si dissolve rapidamente e come il mattinooccupando insensibilmente il posto della nottedilegua l’oscuritàcosì i loro sensiche si sveglianocominciano a scacciar le nebbie della disconoscenza che adombrano la loro limpida ragione. O buon Gonzalomio vero salvatore e fedele gentiluomo di colui che tu seguiti ripagherò appienoa parole ed a fattidei tuoi favori. Assai crudelmente ti comportastiAlonsocon me e con mia figlia. Fu tuo fratello che ti istigò alla mala azionedella quale ora tuo Sebastianosenti la puntura. Tumio fratellomia carne e mio sangueche ti lasciasti prendere dall’ambizione e desti il bando alla pietà e alla naturatu cheinsieme con Sebastianole cui intime sofferenze sono perciò più fortiavresti voluto uccidere il tuo reabbiti il mio perdonoper quanto tu sia snaturato. La loro intelligenza comincia a rialzarsi e la marea che s’avvicina ricoprirà la spiaggia della ragione che ora è sudicia e fangosa. Non c’è fra essi nessuno che ancora mi abbia guardatoo mi riconoscerebbe!

Arieleva’ a prendermi nella grotta e il cappello e la spada. (Esce Ariele) Voglio togliermi queste spoglie e presentarmi come duca di Milano quale ero una volta. Prestoo spiritoe fra poco sarai libero.

 

(Rientra ARIELEcantandoe aiuta PROSPERO a vestirsi)

ARIELE: Suggoove l’ape suggepur ioin un’auricola è il letto mio quando i gufi fan stridio.

Sul dorso a una nottola volo giulìo dietro l’estate che dice addio.

Giulìagiulìa la mia vita si chiami sotto i fiori che pendon dai rami.

PROSPERO: Ahquesto è il mio vezzoso Ariele! Sentirò la tua mancanzama tu avrai la libertà. Bravobravo! Va’ orainvisibile come seialla nave del re. Là troverai i marinai addormentati sotto i boccaporti. Destàti che saranno il capitano e il nostromofa’ sì che essi vengano qua in ogni modo; ma subitoti prego.

ARIELE: Divoro l’aria che mi sta dinanzie sarò di ritorno prima che il tuo polso abbia battuto due volte.

 

(Esce)

GONZALO: Questa è la sede di ogni tormentodi ogni agitazionedi ogni meraviglia e di ogni sbigottimento. Che una celeste potenza ci guidi fuori di questo luogo terribile.

PROSPERO: Guardao rel’oltraggiato duca di MilanoProspero. Per farti più sicuro che è un principe vivo che ti parlaio stringo in un abbraccio il tuo corpoe do un cordiale benvenuto a te e alla tua compagnia.

ALONSO: Se tu sia o no il ducao sia piuttosto un qualche incantato fantasma che mi tragga in ingannocome lo sono stato poco faio non so. Il tuo polso batte come se fosse di carne e di sanguee dal momento che ti ho visto sento calmarsi il turbamento del mio spiritoche eratemoeffetto di pazzia. Se tutto questo è proprio realtàdeve richiedere un ben strano racconto. Io rinunzio al tuo ducato e ti supplico di perdonarmi i torti che ti ho fatto. Ma come può essere che Prospero sia vivo e che sia qua?

PROSPERO: Lasciao nobile amicoche prima di tutto io abbracci la tua etàdi cui nessuno può misurare l’onore né limitarlo.

GONZALO: Io non posso giurare se ciò è realtà o no.

PROSPERO: Voi avete ancora in bocca il gusto di certi manicaretti dell’isola che non vi permettono di prestar fede alla realtà delle cose. Siate i benvenutio amici tutti! (A parte a Sebastiano e a Antonio) In quanto a voibella coppia di gentiluominiio potreise ne avessi l’intenzionechiamar sul vostro capo il corruccio di Sua Maestàrivelandovi come traditori. Ma a questo punto non ho voglia di raccontar tali storie.

SEBASTIANO (a parte): E’ il diavolo che parla in lui.

PROSPERO: Nonon racconterò nulla. A teo tristissimo uomoche il solo chiamar fratello contaminerebbe la mia bocca. perdono la tua più orribile colpa e tutte le altreed esigo da te il mio ducatoche io so non puoi fare a meno di restituirmi.

ALONSO: Se sei Prosperonarraci i particolari del tuo salvamentocome ci hai incontrati quanoi che tre ore fa abbiam fatto naufragio su questa spiaggia ove io ho perduto – oh come è acuta la punta di questo ricordo! – il mio caro figlio Ferdinando.

PROSPERO: Ciò mi addolora.

ALONSO: La perdita è irreparabile e la pazienza dice che è al di là di ogni suo rimedio.

PROSPERO: Credo piuttosto che non le abbiate domandato aiutoperché ioper una perdita simileho avuto il sovrano soccorso della sua dolce grazia e ne sono contento.

ALONSO: Una perdita simile anche voi!

PROSPERO: Del pari grave e recente. E per render sopportabile tale funesta perditaho mezzi molto più deboli di quelli a cui voi potete ricorrere per consolarviperché io ho perduto la mia unica figliuola.

ALONSO: Una figlia. O Dio! Fossero tutti e due vivi a Napolied ivi re e regina! Purché lo fossero mi contenterei esser sepolto nel melmoso letto dove giace il mio figliuolo. Quando avete perduta vostra figlia?

PROSPERO: In quest’ultima tempesta. Ma io mi accorgo che codesti signori sono così stupiti di questo incontroche per la diffidenza non san valersi della loro ragionee a malapena credono che i loro occhi siano testimoni del veroe che le loro parole siano alito naturale. Del resto in qualunque modo siate stati sbalzati dai vostri sensiabbiate per certo che io sono Prosperoproprio il duca che fu cacciato da Milanoe che in modo assai strano approdò a questa spiaggiadove voi avete fatto naufragioper diventarne signore. Ma basta per ora di ciòpoiché questa è una storia da narrarsi un po’ per giorno e non un racconto da ripetersi a colazionené adatto a questo primo incontro. Siate il benvenutomio signore. Questa grotta è la mia corte. Vi ho pochi servi e fuori di essa non ho alcun suddito. Vi pregoentrate. Poiché mi avete restituito il mio ducatovoglio ricompensarvi con una cosa altrettanto grata; per lo meno produrre tal miracoloda rendervi contento quanto il mio ducato ha reso me.

 

(Prospero fa vedere FERDINANDO e MIRANDA che giuocano agli scacchi)

MIRANDA: Mio dolce signorevoi barate.

FERDINANDO: Noamor mionon barerei per il mondo intiero.

MIRANDA: Ma anche se voi doveste arrabattarvi per la posta di venti regniio lo chiamerei giuoco onesto.

ALONSO: Se questa non è che una visione dell’isolaio avrò perduto due volte un diletto figliuolo.

SEBASTIANO: E’ un miracolo straordinario!

FERDINANDO: Quantunque le onde sian gravi di minacciaesse sono poi pietose. Io le ho maledette senza ragione.

 

(S’inginocchia)

ALONSO: Ti circondino tutte le benedizioni di un padre felice. Alzati e dimmi come sei giunto qua.

MIRANDA: O meraviglia! Quante perfette creature son qui! Come è bello il genere umano! O magnifico nuovo mondo che contiene simili abitatori!

PROSPERO: E’ nuovo per te.

ALONSO: Chi è questa fanciulla con la quale giocavi? La vostra conoscenza non può essere più vecchia di tre ore. E’ forse la dea che ci ha prima separatie poi così riuniti?

FERDINANDO: Signoreessa è mortalema per la immortale Provvidenzaè mia. L’ho scelta quando ero nell’impossibilità di chieder consiglio a mio padre e non credevo più di averne uno. E’ la figlia di questo famoso duca di Milanodi cui tante volte avevo sentito parlarema che non avevo mai visto prima: da lui ho ricevuto una seconda vitae questa donzella me lo rende un secondo padre.

ALONSO: E un secondo padre sono io per lei. Ma come suonerà strano a udirsi che io debba chiedere perdono a questa mia figlia.

PROSPERO: Ora basta di ciòsignore. Non carichiamo i nostri ricordi di una gravezza che non c’è più.

GONZALO: Se non avessi pianto dentro di me avrei parlato prima.

Rivolgete quaggiù i vostri sguardio dèie fate piovere su questa coppia una beata coronapoiché siete voi che avete segnata la via che ci ha qui condotti.

ALONSO: Io dico amenGonzalo.

GONZALO: Il duca di Milano fu dunque cacciato da Milano perché i suoi discendenti diventassero re di Napoli? Ohesultate oltre i limiti di una ordinaria gioia e incidete questo fatto con lettere d’oro su imperiture colonne. In un sol viaggio Claribella trovò a Tunisi un maritoFerdinandodi lei fratellouna sposalà dove egli s’era perduto; Prosperoin una povera isolail suo ducatoe noi tutti abbiam ritrovati noi stessiquando nessuno era più se stesso.

ALONSO (a Ferdinando e a Miranda): Datemi le vostre mani. La tristezza e il dolore circondino sempre il cuore di colui che non vi augura gioia.

GONZALO: Così sia. Amen.

 

(Rientra ARIELE seguito dal Capitano e dal Nostromo tutti smarriti)

Ohguardateguardate! Ecco altri dei nostri. L’avevo predetto io che se c’erano forche sulla terraquesto galantuomo non poteva annegare.

E orao Bestemmia che gittavi in mare la misericordia a furia d’imprecazioninon hai punti moccoli sulla spiaggia? Non hai più lingua a terra? Che ci racconti?

NOSTROMO: Il meglio che ho da raccontare è che abbiam trovato il nostro re e il suo seguito sani e salvi; poiche la nostra naveche appena tre ore fa noi davamo per isfasciatanon ha la menoma fessuraè pronta e magnificamente allestita come quando la prima volta la mettemmo al largo.

ARIELE (a parte a Prospero): Padronetutte queste operazioni le ho fatte da che ti ho lasciato.

PROSPERO (a parte ad Ariele): Mio ingegnoso spirito!

ALONSO: Questi non sono avvenimenti naturali. La loro stranezza rinforza. E oraditemi: come siete arrivati qua?

NOSTROMO: Se fossi sicuro di essere ben sveglio cercherei di dirvelo.

Eravamo morti dal sonno enon sappiamo cometutti ammassati sotto i boccaporti. Quiviora è appena un momentofummo svegliati da strani e svariati rumori di ruggitidi gridadi urlidi fragorose catenee da altri diversi suoniorribili tutti. Immediatamente ci trovammo in libertà. Vedemmo allora la nostra buona e forte nave reale tutta in ordine e come nuovae il nostro capitano che nel guardarla saltava dalla gioia. In un istantevogliate pur credermifummocome ancora in un sognodivisi dagli altri e condotti qua tutti smarriti.

ARIELE (a parte a Prospero): E’ stato ben eseguito?

PROSPERO (a parte ad Ariele): Benissimomio diligente spirito. Sarai libero.

ALONSO: Questo è il più strano labirinto per il quale gli uomini si siano mai aggirati. V’è in tutti questi avvenimenti assai più di ciò che procede dalla natura. Qualche oracolo solo può illuminare la nostra mente.

PROSPERO: Mio sovranonon tormentate il vostro cervello meditando sulla stranezza di questi eventi. Appena potremo cogliere un’occasione opportunae sarà fra brevedarò a voi soltanto la spiegazione di tutto ciò che è accadutoe tutto allora vi parrà naturale. Fino a quel momento state di buon animo e non pensate male di nulla. (A parte ad Ariele) Vieni quaspirito. Metti in libertà Calibano e i suoi compagnirompi l’incantesimo. (Esce Ariele) Come sta il mio grazioso signore? Mancano della vostra compagnia pochi giovinotti di minor contodei quali non vi ricordate.

 

(Rientra ARIELEspingendo innanzi CALIBANOSTEFANO e TRINCULOvestiti dei loro abiti rubati)

STEFANO: Ognuno si adoperi per tutti gli altri e nessuno si prenda cura di sé solamente: poiché tutto è fortuna. Coraggiobravo mostrocoraggio!

TRINCULO: Se queste che porto in viso sono spie veritiereecco un bellissimo spettacolo.

CALIBANO: O Seteboquesti sono davvero splendidi spiriti! Come è bello il mio padrone! Ho paura che voglia castigarmi SEBASTIANO: Ahah! Che esseri sono questinobile Antonio? Si possono acquistar per denaro?

ANTONIO: Molto probabilmente. Uno di essi è semplicemente un pescee senza dubbio può trovare un compratore.

PROSPERO: Osservatemiei signorii distintivi di codesti uomini e dite se essi son genuini. Questo deforme furfante aveva per madre una stregacosì potente che era in grado di comandare alla lunaprodurre il flusso e riflussoesercitareinvece di leila stessa autoritàoltrepassandone anche i limiti. Questi tre mi han derubatoe questo mezzo demoniopoiché è un bastardoaveva complottato con loro per togliermi la vita. Due di codesti furfanti dovete conoscerli e dichiararli vostriquesta creatura delle tenebrela riconosco per mia.

CALIBANO: Sarò punzecchiato a morte.

ALONSO: Non è costui Stefanoquell’ubriacone del mio dispensiere?

SEBASTIANO: E’ ubriaco anche ora. Dove s’è procurato il vino?

ALONSO: E Trinculo è talmente cotto che non si regge in piedi. Dove poterono trovare il gran liquore che li ha indorati così? Come ti sei inzuppato di codesta salamoia?

TRINCULO: Sono così inzuppato di salamoia fin dall’ultima volta che vi vidi e a tal puntoche credo essa non se ne andrà più dalle ossa. Non avrò così da temere i cacchioni delle mosche.

SEBASTIANO: EbbeneStefanocome va?

STEFANO: Ohnon mi toccate! Io non sono Stefanoma son tutto un crampo.

PROSPERO: E volevate esser re di quest’isolagalantuomo?

STEFANO: Sarei stato allora un re doloroso.

ALONSO (indicando Calibano): Questo è il più strano essere che io abbia mai visto.

PROSPERO: E’ così difforme d’animo come d’aspetto. Andategalantuomonella mia grotta e conducete con voi i vostri compagni. Poiché v’attendete d’avere il mio perdonomettetela convenientemente in ordine.

CALIBANO: Sìassai volentierie sarò saggio d’ora innanzi e cercherò di guadagnarmi la benevolenza. Davvero che sono stato un asino tre volte doppio a prendere quest’ubriacone per un dio e ad adorare questo sciocco idiota!

PROSPERO: Orsùandate!

ALONSO: Viae riponete codesta roba l’avete trovata.

SEBASTIANO: Omeglio dove l’avete rubata.

 

(Escono CalibanoStefano e Trinculo)

PROSPERO: Sireinvito Vostra Maestà e il vostro seguito nella mia povera grottadove riposerete soltanto per questa notteuna parte della quale io consumerò nel raccontar tali eventiche la faranno trascorrerene sono sicuroassai presto: la storiacioèdella mia vita e i particolari casi occorsi dal giorno in cui arrivai in quest’isola. All’alba vi condurrò alla vostra nave e quindi a Napolidove spero di veder celebrare le nozze di questi nostri diletti. Di là mi ritrarrò alla mia Milanodovesu tre pensieriuno sarà per la mia tomba.

ALONSO: Mi struggo di udir la storia della vostra vitache deve straordinariamente affascinar l’orecchio.

PROSPERO: Ve la racconterò tutta; e vi prometto mare calmoventi favorevoli e un viaggio così rapido da raggiungere la vostra flotta realeper quanto lontana. (A parte) Mio Arielepulcinetto mioquesto è compito tuo. Poi sei libero nell’ariae addio! Vogliate avvicinarvi. (Escono)

 

EPILOGO

(detto da PROSPERO)
Ora i miei incanti son tutti spezzatie quella forza che ho è mia soltanto e assai debole. Ora senza dubbio potete confinarmi qua o farmi andare a Napoli. Non vogliategiacché ho riavuto il mio ducato e perdonato al traditoreche io resti ad abitarein grazia del vostro magico poterequesta isola; ma liberatemi da ogni inceppo con l’aiuto delle vostre valide mani. Un gentil vostro soffio deve gonfiar le mie velealtrimenti fallisce il mio scopo che era quello di divertire. Ora non ho spiriti a cui comandarené arte da far incantesimie la mia fine sarà disperata a meno che non sia soccorso da una preghiera che sia così commovente da vincere la stessa divina misericordia e liberare da ogni peccato. E come voi vorreste esser perdonati di ogni colpafate che io sia affrancato dalla vostra indulgenza.

 

Ingresso gratuito per spettatori in carrozzina + accompagnatori