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tpur compassione armonia monaci tibetani verona

Published 4 Set ’13 at 509 × 720 in Il Tibet per 5 giorni sarà a Verona
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Con l’occupazione del suolo tibetano da parte dei cinesi agli inizi degli anni cinquanta dello scorso secolo e la fuga in India del Dalai Lama nel 1959, seguito da circa centomila tibetani, iniziò per il popolo tibetano una lunga lotta per la preservazione della propria cultura. Una cultura di pace che affonda le sue radici nel buddismo, una filosofia profonda che da oltre un millennio permea ogni aspetto della vita dei tibetani. Come per il cristianesimo, anche nel buddismo tibetano i monasteri sono stati e sono tuttora i centri vitali della società, luoghi non solo di studio e contemplazione, ma dove anche le arti trovano spazio con manifestazioni particolarmente elaborate e dense di simbolismi. Nei monasteri ricostruiti in India, la vita monastica è stata preservata grazie a una determinazione incrollabile e una fiducia granitica nella loro guida, Sua Santità Tenzin Ghiatzo, XIV° Dalai Lama del Tibet. Pur vivendo in condizioni di rifugiati, i tibetani sono stati in grado in questi decenni di mantenere viva la loro lingua e la loro cultura, di ricostruire poco alla volta i riferimenti della loro identità, per primo i luoghi sacri: templi e monasteri. Proprio in questi monasteri i monaci, quelli provenienti direttamente dal Tibet e quelli ormai nati da seconda e terza generazione di rifugiati in India, si dedicano alla preservazione della filosofia buddista e dell’identità culturale tibetana, applicandosi con dedizione al lungo ciclo di studi che li porta a padroneggiare l’insegnamento del Buddha, non soltanto a livello intellettuale, ma anche a livello di realizzazione spirituale interiore. Rientrano nel percorso di studio non solo l’analisi dei grandi trattati filosofici come i cinque trattati della tradizione di Nalanda – Abhisamayalamkara, Madhyamika, Abhidharmakosha, Pramanavartika e Vinaya – ma anche lo studio della medicina e dell’astrologia, nonché lo studio delle meditazioni tantriche, in cui rientrano la pratica del mandala di sabbia e le danze sacre denominate “Cham” (pronuncia ‘Ciam’). Tra i monasteri di tradizione Ghelug (la tradizione del Dalai Lama) i tre più importanti per dimensione sono Sera, Gaden e Drepung, che accolgono migliaia di monaci. I monaci si sostengono soltanto tramite donazioni, così da qualche tempo sono stati invitati da più parti del mondo a esibirsi nelle danze sacre e nella creazione dei mandala di sabbia colorata per far conoscere la realtà buddista tibetana e per raccogliere fondi per il loro sostentamento. I monaci del Monastero di Séra Jé sono attualmente in tour in Europa proprio per questo scopo con una serie di eventi denominata Tour della Compassione e dell’Armonia (http://www.tourofcompassionandharmony.org). Il mandala di sabbia Il mandala rappresenta la dimora celestiale dei buddha. I mandala possono essere fatti di materiale diverso, ma qui in questo caso, il mandala viene costruito con sabbia colorata. Ogni buddha ha un mandala specifico e le complesse figure che vengono disegnate con la sabbia rappresentano aspetti specifici delle caratteristiche del buddha. Fra i mandala realizzati dai monaci sono quello di Cenresig (Buddha della compassione), di Hayagriva, di Tara e del Buddha della medicina. Il fatto che il mandala sia costruito con la sabbia e che venga poi distrutto sta a significare l’impermanenza e la transitorietà di tutte le cose. Inoltre, il mandala viene utilizzato come sostegno per la meditazione, guidando chi lo costruisce nello sviluppo delle qualità rappresentate dal mandala e incarnate dal Buddha che lo abita. È detto che il solo vedere il mandala deposita delle impronte molto positive nel continuum mentale. Una volta costruito il mandala viene consacrato e poi, dopo aver consentito ai visitatori di osservarlo, viene distrutto. Il tutto sempre accompagnato da canti e preghiere. La sabbia può poi essere consegnata alle persone oppure solitamente viene riversata nelle acque di un fiume, lago o mare. I mandala sono forti simboli di pace, perché condensano le qualità come compassione e saggezza e stimolano le persone che li osservano a riflettere su tali qualità e a impegnarsi per ottenerle. Le danze sacre “Cham” Le danze sacre esistono sin dai primi tempi del buddismo tibetano e sono state tramandate dai maestri ai loro discepoli sino a oggi. Rappresentano una meditazione in movimento e sono accompagnate dal suono di strumenti e/o canti. L’esibizione è suddivisa in due parti: nella prima i monaci presentano una breve meditazione sulla compassione e l’armonia, seguita cerimonie cantate a tono e ritmo unico e che si concludono con l’accompagnamento di implementi e strumenti rituali. Questa parte evoca l’aspetto più esotico presente nell’immaginario collettivo degli occidentali. Dopo una breve pausa i monaci si esibiranno nelle seguenti danze: La Danza del Cappello Nero (Shanag Ngacham)* I danzatori assumono il ruolo di yogi con il potere di creare e controllare la vita. Nella danza del Cappello Nero, i danzatori vestiti con ampi cappelli neri, stivali di feltro colorati e lunghi vestiti in broccato molto vivaci, danzeranno con movimenti circolari al suono dei tamburi, prendendo possesso della scena e scacciando gli spiriti maligni con i piedi. Il suono dei tamburi rappresenta la religione stessa. I monaci del monastero di Sera Jey, rappresentando questa danza di paura, si sono prefissi in questo modo di eliminare le forze negative come la violenza, le malattie, la distruzione, la sfiducia o l’odio. La Danza della Buona Fortuna (Tashi Sholpa)* Questa danza ha avuto origine nell’area Shel di Lhasa, capitale del Tibet. Gli artisti indossano maschere con una barba bianca e rappresentano il Maestro Thangthong Gyalpo, il fondatore di Lhamo, l’Opera Tibetana. Tashi Sowa viene eseguita con maschere, bastoni e molte pedate a terra e invoca il Bodhisattva Vajrapani per purificare la scena per gli spettacoli che seguono. La Danza del Leoni delle Nevi (Senghe Ghar Cham)* Il Leone delle Nevi risiede nelle regioni est del Tibet e rappresenta l’allegria incondizionata, una mente libera dal dubbio, chiara e precisa. Il Leone delle Nevi ha un aspetto giovanile, una vibrante energia di bontà e un naturale senso di gioia. La Danza dello Yak (Yak Cham)* Quando il mondo entra in una modalità di esistenza equilibrata e salubre, tutte le forme di vita gioiscono, inclusi gli esseri del regno animale. Ciò viene qui rappresentato dalla danza estatica dello yak, animale peculiare dell’Asia centrale e simbolo dello spirito tibetano di forza indomita e giocosità. Oltre allo yak, sul palco ci sarà anche il pastore-yak che porta a pascolare gli yak sui verdi pascoli delle colline. La Danza del Cervo (Shawa Ghar Cham)* Nel sublime reame superiore delle divinità tantriche, tutti gli esseri si trasformano dal loro aspetto ordinario in un essere risvegliato per realizzare l’attività illuminata per il beneficio degli altri. Il Cervo personifica una divinità protettrice maschile i cui movimenti richiamano le forze negative verso lo sviluppo spirituale. Questa danza consiste di quattro parti: invitare i Buddha e i Bodhisattva, fare loro delle offerte, visualizzare movimenti feroci per superare gli ostacoli e richiedere ai Buddha e Bodhisattva di tornare alle loro dimore. La danza del cervo era molto popolare in Tibet perchè la divinità con la testa di cervo era considerata come un grande protettore.

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