Il GALM ha organizzato una visita a Palazzo Scarpa, sede del Banco Popolare di Verona, fulgido esempio del totale disinteresse del famoso architetto Carlo Scarpa al tema delle barriere architettoniche (e della poca lungimiranza dei committenti). Un moderno che si rifà al classico, ma già sorpassato, spero che le nuove generazioni di architetti lo studino per non commettere gli stessi errori. Schede accessibilità

Carlo Scarpa e il trionfo delle barriere architettoniche


Il GALM ha organizzato un’interessante visita a Palazzo Scarpa, sede del Banco Popolare di Verona, fulgido esempio del totale disinteresse del famoso architetto Carlo Scarpa al tema delle barriere architettoniche

(e della poca lungimiranza dei committenti), dove sono le scale il motivo conduttore. Un moderno che si rifà al classico, senza riuscire a oltrepassarne i limiti quindi già vecchio, spero che le nuove generazioni di architetti lo studino per non commettere gli stessi errori.

Il Palazzo è comunque parzialmente accessibile, per questa visita dall’entrata sul retro in via Filzi; per l’accesso alla banca dall’entrata principale, con scivolo circolare (meglio essere accompagnati).

Alla fine del 1973, Carlo Scarpa venne contattato dagli organi direttivi dell’allora Banca Popolare di Verona, perché si occupasse della realizzazione della nuova sede dell’istituto di credito.

Tale opera, l’ultima ad essere progettata dal maestro, è considerata una delle più rappresentative e ammirate. Si tratta di uno dei pochi significativi interventi sul tessuto storico di Verona realizzati del XX secolo, tale da diventare un vero e proprio punto di riferimento nella topografia della città e attrazione per molti turisti e per studiosi di architettura provenienti da tutto il mondo.

Dopo la morte di Scarpa, nel 1978, i lavori furono diretti dal suo collaboratore Arrigo Rudi che, nel 1981, portò a conclusione la costruzione dell’edificio, secondo il progetto originale dell’architetto veneto.

Quarant’anni dopo l’incarico a Scarpa per la progettazione della sede della Banca, la scorsa estate, si è deciso di intervenire sulla facciata del Palazzo per evitare che i danni del tempo e dello smog lascino segni indelebili su un importante riferimento architettonico internazionale.

Nella facciata dell’edificio sono utilizzati materiali di pregio. All’esterno la maggior parte della superficie è intonacata, ma è presente anche Marmo Rosso di Verona e Marmo Botticino, specialmente nello zoccolo, mentre la loggia all’ultimo livello è in acciaio, impreziosito da un fregio a piccole tesserine di mosaico.

Sede della Banca Popolare di Verona

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Coordinate: 45°26′24″N 10°59′48″E / 45.44°N 10.99667°E / 45.44; 10.99667 (Mappa)

Fotografia della sede nuova.

La sede della Banca Popolare di Verona è un edificio progettato da Carlo Scarpa con la collaborazione di Arrigo Rudi, il quale ha completato l’opera del maestro dopo la sua morte. La collaborazione tra la Banca Popolare di Verona e Carlo Scarpa iniziò nel 1973 e si concluse nel 1978, anno della sua morte, mentre l’edificio venne completato nel 1981 secondo il progetto originale dell’architetto veneto. È situato in pieno centro storico a Verona, e si affaccia su piazza Nogara e vicolo Conventino.

Progettisti

L’edificio fotografato da vicolo Conventino.

Alla progettazione della nuova sede della Banca, opera principalmente di Carlo Scarpa, collaborò anche l’architetto Arrigo Rudi, che portò a completamento l’opera del grande architetto veneto dopo la sua scomparsa. Parteciparono anche due elementi dello studio di Scarpa, Bianca Albertini e Maristella Tonin, oltre all’ingegnere Renato Scarazzai, che si occupò dei calcoli strutturali e della direzione dei lavori.[1] A partire dal 1977 Scarpa studiò anche la sistemazione della vecchia sede, progetto che verrà poi realizzato postumo da Arrigo Rudi con la collaborazione di Valter Rossetto.[2]

Storia

La dirigenza della Banca Popolare di Verona contattò Carlo Scarpa verso la fine del 1973, commissionandogli la nuova sede principale della banca veronese. Il lotto su cui si sarebbe realizzato l’edificio era originariamente occupato da due edifici residenziali, e si trova compreso tra la sede precedente della Banca e un altro edificio residenziale. Trovandosi il lotto all’interno della città antica, l’edificio che si sarebbe progettato era sottoposto a numerosi vincoli, in particolare l’altezza e la cubatura del nuovo edificio non avrebbe potuto superare quelle dell’edificio originariamente presente.[3]

Il lavoro di Scarpa consistette in un continuo ridisegno del progetto e nel controllo critico delle modifiche che apportava, modifiche spesso appena percettibili. Si trattò di un lavoro molto raffinato, che portò alla sistemazione della composizione tramite piccoli aggiustamenti. Questo metodo di lavoro era tipico del modo di progettare dell’architetto veneto.[4]

I lavori iniziarono nel 1974, tuttavia nel corso degli anni il progetto subì diverse varianti dovute a nuove esigenze della committenza o a ripensamenti dell’architetto. Nel 1976 vennero elaborate alcune varianti riguardanti sia la disposizione interna che la facciata, inoltre venne proposta per la prima volta la realizzazione di un collegamento sospeso nel cortile interno, con la funzione di passaggio per giungere alla sala del Consiglio.[5] Un’altra variante, riguardante le torri evaporative e le canne fumarie, venne invece elaborata nel 1978,[6] ma Carlo Scarpa morì il 28 novembre 1978 durante un viaggio in Giappone: a questa data era ancora da completare il passaggio sospeso, la scala sulla terrazza, il giardino del cortile interno e alcuni altri particolari, tutti realizzati secondo il progetto originale di Carlo Scarpa.

Rapporto con il contesto

L’edificio che va a dividere le due piazze Nogara e San Nicolò, che Scarpa vorrebbe idealmente unire.

La sede vecchia della Banca.

Carlo Scarpa ha avuto la capacità di elaborare progetti e interventi in contesti antichi e di valore, grazie alla sua bravura nel leggere il contesto architettonico preesistente, lavorando nel costruito come i grandi architetti del passato, Andrea Palladio, Donato Bramante, Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Francesco Borromini,[7] e questo intervento non differisce dai precedenti per valore, andandosi a collocare all’interno della città antica di Verona, sito patrimonio dell’umanità, con grande armonia.

Nel suo progetto, oltre allo studio per l’inserimento delle funzioni bancarie nell’edificio, affronta due questioni di notevole importanza per il suo tipo di approccio: il coordinamento del nuovo edificio a livello planimetrico, altimetrico e di facciata con la vecchia sede, e l’inserimento del fronte principale nel paesaggio urbano veronese. Queste sono questioni che vengono analizzate durante la progettazione e che avranno diverse soluzioni.[3]

Grazie alla sua indagine critica l’architetto veneto notò che le due piazze dietro l’Arena di Verona, piazza San Nicolò e piazza Nogara, erano in realtà un unico spazio diviso in due da un edificio isolato. Partendo da questo presupposto nacque l’idea di Scarpa di acquistare ulteriore terreno, in modo che l’edificio, il cui fronte principale si trovava su piazza Nogara, oltrepassasse vicolo Conventino arrivando a spuntare su piazza San Nicolò, cosicché potesse contribuire all’unione ideale e visiva delle due piazze: non era quindi necessario abbattere l’edificio, in quanto sarebbe stata la facciata scarpiana a indicare che lo spazio continuava.[8] Alla fine la sua idea non andò in porto completamente e oggi la sede si affaccia lungo piazza Nogara e vicolo Conventino, mentre non è visibile da piazza San Nicolò.

Esterno

Carlo Scarpa affrontò due problemi di una certa importanza e connessi tra loro: primo, il rapporto che doveva nascere tra vecchia e nuova sede, e secondo (ma non meno importante), l’avere parte della facciata su piazza Nogara, quindi con una vista frontale, e parte su vicolo Conventino, quindi con una vista di scorcio sull’edificio. La risposta al primo problema fu il tentativo di comprendere l’edificio della vecchia sede senza però copiarlo, visto che la nuova sede sarebbe stata un ampliamento della vecchia e che sarebbe stata limitrofa.[8] Alla seconda difficoltà trovò soluzione concependo la parte sulla piazza come neutra, quasi piatta, con un bow window come unico elemento che emerge rispetto al filo della facciata, bow window che comunque perde di plasticità dato che la visione preferenziale dalla piazza è frontale e che oltretutto è posto in alto. Da notare inoltre che alle finestre circolari corrispondono gli uffici del direttore e del vicedirettore, quindi c’è un collegamento tra l’organizzazione e la gerarchia dell’interno e dell’esterno. La parte sul vicolo invece è dotata di elementi plastici ed effetti chiaroscurali più forti, visto che in questo caso la vista è di scorcio, e la visione obliqua esalta la lettura tridimensionale di questa parte di prospetto. Quindi è qui che inserisce i quattro bow window, il massiccio portale d’accesso e il taglio a terra. Nonostante la forte plasticità di questa parte non c’è interferenza con la sede più vecchia della Banca, in quanto la parte più neutra (attigua alla vecchia sede) fa da filtro. Rispetto a quella della sede preesistente, la facciata scarpiana è più bassa e leggermente arretrata, e apparentemente si aggancia ad essa solo a livello di basamento e zoccolo, mentre la parte intermedia è quasi autonoma.[3]

Una risposta operativa al problema delle relazioni tra vecchia e nuova seda è la rielaborazione raffinata di alcuni elementi, ad esempio le mensole dei balconi, a forma di triglifo, si allungano e restringono, diventando le sottili fasce verticali che assumono la funzione di deflusso delle acque, collegando le finestre circolari a quelle rettangolari, oppure la fascia modanata che nella sede più vecchia della Banca Popolare di Verona separa il piano terra dal primo, nel nuovo edificio si trasforma diventando la cornice su cui si imposta la loggia.[9]

La facciata è suddivisa, dal basso verso l’alto, in zoccolo in marmo, parte centrale intonacata e loggia in acciaio.

Il prospetto principale, che si affaccia su piazza Nogara e vicolo Conventino, è organizzato su tre livelli, e ognuno di questi è articolato in modo complesso:[10]

  • L’attacco a terra è caratterizzato dallo zoccolo, un basamento limitato da una massiccia cornice modanata. Qui Scarpa ha sistemato la pietra più lavorata in modo da accentuare la zoccolatura, la cui linea si interrompe nel punto di ingresso, evidenziando così il portale d’accesso.
  • La parte centrale il cui il tema conduttore è la finestra, elaborata in quattro declinazioni elaborate in modo armonico tra loro. Le più peculiari sono le finestre centriche, costruite intersecando due cerchi che hanno i centri reciprocamente slittati, in modo da rendere la finestra instabile e che sembri modificare la propria forma a seconda da dove la si guardi.
  • A chiudere la facciata si trova la loggia vetrata con un elaborato cornicione finale. Essa è ritmata da colonnine binate che traducono all’esterno la trama strutturale interna.

La parte centrale della facciata si presenta come la parete di un museo, con le aperture rettangolari che assumono la veste di quadri appesi alle finestre circolari, alle quali sembrano appese tramite le linee di deflusso delle acque, mentre i bow window sembrano teche. Quello che l’architetto vuole mostrare in questi quadri sono i riflessi della città, come dimostrano i suoi schizzi e disegni, in cui studia gli effetti del vetro e i paesaggi che inquadrano.[9]

Il massiccio portale su vicolo Conventino.

Una rielaborazione del sistema trilitico è il massiccio portale su via Conventino, in cui l’architrave alleggerito dalla modanatura e i piedritti spezzati negano la staticità di quel sistema.[11]

Sul retro dell’edificio il fronte da su un giardino. Pure questo prospetto è stato oggetto di numerose elaborazioni, e, se in un primo tempo si presentava molto aperto, in forte contrasto quindi con la facciata che dava sulla città, piuttosto chiusa, alla fine venne realizzato in modo analogo al fronte principale. In questo caso però il prospetto si arricchisce di elementi fortemente plastici, come la scala vetrata o il tunnel metallico sospeso.[12]

Interno

Scarpa riesce, in quest’opera, a organizzare spazi adatti alle funzioni bancarie e di qualità molto elevata, utilizzando soluzioni compositive complesse e materiali ricercati. Tutti i problemi vengono affronti cercando soluzioni adeguate sia rispetto al singolo elemento che rispetto all’insieme, quindi c’è un controllo continuo del dettaglio e delle scelte compositive generali. I suoi schizzi e disegni mettono inoltre in luce la ricerca di una relazione tra esterno e organizzazione interna.[11]

La griglia della pianta è impostata su due assi non ortogonali tra di loro: un asse è costituito dal muro interno della vecchia sede della Banca, mentre l’altro asse è dato dal filo di facciata degli edifici di piazza Nogara.

Fin dai primi studi planimetrici è evidente la volontà di Scarpa di integrare gli spazi preesistenti con i nuovi, volontà compiutasi tramite la realizzazione del sistema di percorsi orizzontali e verticali. È infatti la scala presente nel piano rialzato l’elemento che mette in relazione la vecchia sede con la nuova. Le varie scale presenti nell’edificio sono progettate singolarmente, quindi ognuna si presenta articolata e unica, essendo il risultato di un percorso progettuale sviluppato attraverso numerosi studi, motivo della grande qualità di questi elementi che dominano lo spazio interno.[8]

L’edificio si sviluppa su cinque livelli:[13]

  • Piano interrato (-5,61 metri dal piano stradale), ospita gli impianti tecnici.
  • Piano seminterrato (-2,14 metri), vi è localizzato il borsino, illuminato da un da un taglio in facciata (taglio molto forte sia dal punto di vista visivo che compositivo) e dal ribassamento del cortile interno. Da notare che dall’esterno la sagoma del borsino è ben leggibile.
  • Piano rialzato (1,65 metri sul piano stradale), destinato al pubblico, si organizza attorno a una grande scala e a una trama di colonne, che, salendo di piano in piano, possono sostituire o diventare setti divenendo quindi elementi regolatori dello spazio interno. Le colonne sono poligonali, in cemento armato, con una base cilindrica in acciaio e capitello formato da un collare dorato.[14]
  • Primo piano (5,75 metri), ospita gli uffici direzionali, è caratterizzato dalla forma degli elementi distributivi, come l’ascensore di forma curva, la scala, chiusa in un involucro di vetro che si intravede nella facciata posteriore, e il passaggio sospeso.
  • Ultimo piano (9,70 metri), impostato come un grande spazio libero, ritmato da setti e aperto sui due fronti tramite logge che chiudono superiormente i prospetti.

Materiali

Nella facciata dell’edificio e negli interni sono utilizzati materiali sofisticati. All’esterno la maggior parte della superficie, tratta con estrema attenzione, è intonacata, ma viene usato anche Marmo Rosso di Verona e Marmo Botticino, specialmente nello zoccolo, mentre la loggia all’ultimo livello è in acciaio, impreziosito da un fregio a piccole tesserine di mosaico.[13]

Critica

Lo storico dell’architettura Manfredo Tafuri sottolinea la chiarezza dell’organizzazione spaziale dell’edificio di Carlo Scarpa, anche se lo riconosce come un’opera limite, espressione di un lavoro estremamente complesso, soggetto a continua autocritica e quindi potenzialmente infinito.[15]

Nella poetica dell’architetto veneto la forma non è mai fine a se stessa, bensì può essere una tra le risposte che si danno a un problema che viene posto, problemi che Scarpa sottolinea nei suoi studi, prima di arrivare e descrivere una possibile soluzione. Per il caso della sede della Banca Popolare di Verona l’architetto ad esempio osservò: la cornice, la finestra, lo zoccolo, la scala (elemento dominante dello spazio interno): i luoghi che hanno sempre preoccupato i costruttori antichi. I problemi che si pongono sono quelli di sempre; è solo la soluzione che cambia.[8]

Si può dire che questa architettura incarna in modo completo il carattere misterico che Scarpa attribuiva all’architettura[16] ma allo stesso tempo sembra pure riassumere quel valore educativo intrinseco al linguaggio architettonico nelle sue forme più alte, per il quale se l’architettura è buona, chi la guarda ne sente i benefici anche senza accorgersene.[17]